domenica 30 marzo 2008

La guerra dell'acqua a Cochabamba



Guarda il film sulla
guerra dell'acqua a Cochabamba

Basta fare una semplice ricerca su google 'cochabamba acqua' e si trova ogni informazione su questa incredibile storia. Tutti gli attivisti ambientalisti del mondo la conoscono.
Vergogna vergogna vergogna a tutti gli imprenditori e a tutti i politici che spingono verso la privatizzazione dell'acqua, ovunque sia nel mondo!

L'acqua è indispensabile alla vita. Senza acqua si muore in tre giorni.
L'acqua è un diritto fondamentale di tutti gli esseri umani come l'aria e la libertà: nessuno può possederla.

Se le guerre del ventesimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del ventunesimo si combatteranno per l’acqua
Ismail Serageldin, vicepresidente della Banca Mondiale



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sabato 29 marzo 2008

Per cena educazione alla pace



Ieri anche io, come milioni di persone, ho partecipate all'evento Earth Hour promosso dal WWF. Ho spento le luci che potevo spegnere e abbiamo cenato a lume di candela, io, una EVS Italiana atea, uno studente Tedesco protestante e un ricercatore Pakistano musulmano.
A cosa
è servito spegnere tre lampadine?
Ce lo siamo chiesti e abbiamo parlato dell'importanza di questo gesto simbolico che non crea un risparmio significativo di risorse ma crea coscienza della necessità di risparmiare risorse e tagliare del 30% le emissioni di gas serra da qui al 2020.
Frase dopo frase, tra un bicchiere di rosso e un'aletta di pollo, tra astemi e vegetariani, abbiamo parlato dell'immoralità di certi prodotti che compriamo, come le banane o il cioccolato, coltivate da schiavi nel sud del mondo. Abbiamo parlato del cotone pakistano e del commercio equo in Europa, del diritto del lavoro nei Paesi in via di sviluppo, della catena del commercio in stile liberista e di quell'anello ultimo della catena, la scelta del consumatore, su cui ciascuno di noi ha potere di agire.
Venivamo da culture e stili di vita diversi ma abbiamo saputo trovare parole simili per definire la società in cui viviamo e che contribuiamo a formare ogni giorno con le nostre scelte.
Era solo una cena tra amici e si è trasformata in una meravigliosa occasione di affermazione di una cultura di pace.



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Cos'è l'autodeterminazione?



Traduco un testo sul diritto di autodeterminazione tratto dal sito web della UNPO. La negazione di questo diritto è causa di decine di conflitti armati in tutto il mondo.

Fondamentalmente, il diritto di autodeterminazione è il diritto di un popolo a determinare il proprio destino. In particolare, questo principio permette a un popolo di scegliere il proprio status politico e di determinare la propria forma di sviluppo economico, culturale e sociale. L'esercizio di questo diritto può risultare in una varietà di forme che vanno dall'indipendenza politica alla piena integrazione con uno Stato già esistente. Ciò che è veramente importante è il diritto di scelta, al punto che il riconoscimento del diritto di un popolo alla scelta non deve dipendere dal possibile risultato della scelta che il popolo potrà fare. Nella pratica, invece, il possibile risultato di un esercizio di auto-determinazione spesso determina l'atteggiamento dei governi nei confronti delle effettive rivendicazioni di un popolo o di una nazione. Così, mentre le rivendicazioni di autonomia culturale possono essere più facilmente riconosciute dagli Stati, le pretese di indipendenza hanno più probabilità di essere respinte da questi. Ciononostante, il diritto di autodeterminazione è riconosciuto dal diritto internazionale come un diritto al processo indipendentemente dal risultato, i cui depositari sono i popoli e non gli Stati o i governi.


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venerdì 28 marzo 2008

Chi sa dov'è il Nepal?



Guarda il documentario La realtà del Nepal (in inglese, con accento Nepalese !o!)

Il Nepal è un Paese bellissimo, ricco di storia e di cultura, dove una rivolta ideologica è alla fine e uno scontro interetnico è all'inizio.
Un articolo su BBCNEWS, molto interessante, ci dà un esempio di come tutela ambientale, pace e interessi privati possono essere fortemente collegati. Cerco di riassumerlo brevemente.

Il Nepal è la patria delle montagne più alte del mondo e di una ricca diversità di flora e di fauna, ma la maggior parte del lavoro di conservazione di queste ricchezze è invischiato in controversie politiche. Il Fondo Nazionale per la Conservazione della Natura è stato fino all'anno scorso intitolato a un ex re, Mahendra, ed è stato presieduto dal principe ereditario Paras con suo padre, re Gyanendra, come patrono.
Un'indagine ha concluso che la famiglia reale del Nepal, per diversi anni, ha dirottato ingenti somme di denaro appartenenti al fondo su spese di carattere personale, per viaggi all'estero, ricevimenti fastosi e check-up ospedalieri per la Regina Komal in cliniche britanniche.
L'indagine è stata condotta interamente da ex ribelli maoisti, che sono ora al governo e controllano il Fondo, ma non sono un fonte del tutto obiettiva. La relazione sullo stato del Fondo arriva due settimane prima delle elezioni dell'assemblea costituzionale che dovrebbe sancire l'abolizione della monarchia, al governo da 240 anni.
Se la storia fosse vera, sarebbe un esempio degli abusi commessi dalla famiglia reale, causa dei dieci anni di guerra ideologica in Nepal in cui, secondo le stime, da 12.000 a 13.000 persone sono morte nel periodo 1996/2006.

Leggi il dossier BIPPI sulla guerra civile in Nepal (in inglese)


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giovedì 27 marzo 2008

PMC. Mamma mia!!!



Ricevo da MB (le iniziali sono per motivi di sicurezza) un saggio sulla realtà dell'Iraq nel 2008, così come l'abbiamo voluta noi occidentali.

L’Italia si è mai disimpegnata dall’Iraq?
Dal disimpegno dell’esercito regolare all’impegno attraverso le Private Military Companies.

Si parla di mercenari e contractors, del coinvolgimento delle compagnie private (Private Military Companies) e del comportamento di queste ultime "consono alla condotta politica" degli Stati coinvolti nella guerra.
Si parla di contratti, si citano nomi e cifre, fatti sconosciuti ai tanti opinionisti della «missione di pace».
Si parla di Barbara Contini, governatore per la Coalition Provisional Authority, (CPA, la coalizione occupante), della provincia di Dhi Qar, nel sud dell’Iraq.
Si parla di "di uomini armati, indipendenti da qualsiasi giurisdizione civile o militare, che spadroneggiano impunemente in un territorio devastato dalla guerra".

Un lavoro dettagliato e preciso, tutto da leggere.

Per capire meglio di quale tipo di cultura stiamo parlando aggiungo il link allo spot della StartSicurezza srl, una delle maggiori agenzie italiane di security privata, e un altro link ad Arcoiris TV per vedere una battuta di caccia all'uomo in Iraq da parte di un gruppetto di "contractors" americani della AEGIS, agenzia privata superspecializzata.



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mercoledì 26 marzo 2008

Succede nel mondo



Mohamed Bacar, Presidente eletto di Anjouan

Piccole notizie dal mondo ignorate dai mezzi di disinformazione.

Circa 450 soldati dell'esercito comoriano supportati da 1.500 soldati dell'Unione Africana hanno invaso martedì scorso l'isola di Anjouan, la seconda delle isole Comore, e ne hanno preso il controllo. Vari sostenitori del governo separatista sono stati uccisi, alcuni ufficiali sono stati catturati. Il presidente eletto di Anjouan, il colonnello Mohamed Bacar, è ancora introvabile. La sua rielezione nel giugno 2007 è stata dichiarata illegale dal governo federale delle isole Comore.

Il parlamento russo, la Duma, ha approvato una risoluzione non vincolante che chiede al governo di riconoscere l'indipendenza di Abkhazia e Ossetia del Sud, due province filorusse della Georgia europea de facto indipendenti.
La Duma sottolinea il rispetto per la sovranità della Georgia, pur affermando che la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo ha cambiato le regole del gioco.
Nel ragionamento della Duma russa entra anche la Transnistria, regione filorussa della Moldavia, anch'essa de facto indipendente.

Un altro membro dell'etnia Degar (cosiddetti Montagnards) ha trovato la morte nelle prigioni vietnamite dove era rinchiuso a causa delle sue convinzioni religiose. I Degar, ex alleati degli USA durante il disastro del Vietnam, sono perseguitati dal governo centrale per ragioni di identità culturale legate alla terra che occupano e alla religione che praticano, cause di spinte autonomiste.

Taiwan, altro stato de facto indipendente ma senza nessun riconoscimento internazionale, ha scelto con un referendum di non perseguire per ora l'ingresso nell'Organizzazione delle Nazioni Unite, scegliendo l'incontro (economico) piuttosto che lo scontro (militare) con la Cina.



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martedì 25 marzo 2008

Sii tu il cambiamento che chiedi al mondo



Per me educazione alla cultura della pace ha un grande significato: scoprire in che modo ciascuno di noi può rendere il mondo un luogo migliore per tutti; in che modo ciascuno di noi può fare la differenza.

Non è necessario essere estremisti, non bisogna mirare a essere perfetti perché perfetti non si è mai!
Ma è fondamentale lottare per migliorare i propri comportamenti, partendo dalla conoscenza delle cose del mondo. La più importante di tutte le cose è essere consapevoli dell'impatto che ogni nostra azione ha sul mondo intero. Fatto questo, possiamo sempre fare la scelta migliore facendo i conti con le nostre opinioni e con le nostre necessità.

Il vero nemico della pace è colui che lascia agli altri il compito di costruirla.

"Sii tu il cambiamento che chiedi al mondo." (Mahatma Gandhi)



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lunedì 24 marzo 2008

Braccio di Ferro, uomo di pace



Leggi l'articolo Carne amara di Daniela Condorelli

Tutti siamo responsabili di quanto avviene nel mondo attraverso le nostre scelte e i nostri consumi.
Prendo spunto da un articolo di Repubblica per parlare di un argomento attinente alle vacanze di Pasqua: il consumo di carne.

Il consumo di carne - in particolare di carne rossa -
è un lusso in termini di risorse impiegate per la nutrizione: un ettaro coltivato a cereali produce cinque volte più proteine di un ettaro destinato alla produzione di carne; un ettaro coltivato a spinaci 26 volte più proteine.
Nel mondo ci sono 1,3 miliardi di bovini, un'immensa mandria che occupa, direttamente o indirettamente, il 24% della superficie terrestre e consuma una quantità di cereali sufficiente a sfamare centinaia di milioni di persone.


E'
stato calcolato che servono 1000 grammi di proteine vegetali per avere 60 grammi di proteine animali. Che un chilo di manzo "beve" 3.200 litri d'acqua. Che ci vogliono 22 grammi di petrolio per produrre un chilo di farina contro 193 per produrre un chilo di carne.
Il bestiame è dunque una fonte di alimentazione altamente idrovora ed energivora, una massa bovina che ingurgita tonnellate di acqua ed energia. E lo fa per nutrire solo il 20% della popolazione globale del pianeta. Quel 20% che sfrutta l'80% delle risorse mondiali.


Se tutto questo non bastasse a ridurre il consumo di carne rossa, bisogna pensare che una parte consistente dei cereali dati in pasto ai bovini vengono importati a basso costo da Paesi dove la fame uccide esseri umani. I bambini dei Paesi poveri non hanno cereali a sufficienza perch
é noi possiamo mangiare la nostra bistecca.
Braccio di Ferro mangiava spinaci. Se lo imitassimo il mondo sarebbe migliore.



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domenica 23 marzo 2008

La prima lezione che ho imparato



Il papa, supremo pastore della chiesa cattolica romana e capo spirituale di circa un miliardo di individui, lancia un appello per la ricerca di «soluzioni che salvaguardino il bene e la pace» nelle regioni del pianeta tormentate da conflitti, nelle quali include il Darfur e la Somalia, il «martoriato Medioriente», la Terra Santa, l'Iraq, il Libano, «e infine il Tibet».
L'
infallibilità papale espressa dal Concilio Vaticano I riguarda solo la dottrina religiosa in senso stretto e non la vita così come noi la viviamo.
Infatti il papa ha sbagliato.
Ha dimenticato nel suo appello il Caucaso, Haiti, lo Yemen, il Sahara Occidentale, il delta del Niger, il Nepal, il Mindanao e tutti gli altri 70 e oltre luoghi nel mondo dove persone uccidono altre persone per il diritto di governare.
O forse non ha sbagliato il papa, sbagliano giornali e televisione che ci ricordano le cose del mondo solo quando ci coinvolgono da vicino. Ma forse non siamo tutti coinvolti in tutti i conflitti del mondo?
No?
Chi vende le mine anti-uomo al Marocco per tenere i Saharawi lontani dai giacimenti di fosfati?
Chi sostenne e sostiene i governi filippini nei tentativi di assimilazione culturale del Mindanao?
Chi sfrutta le cospicue risorse Nigeriane lasciando solo briciole alla povertà estrema della popolazione locale?
Chi fornisce copertura politica e militare a regni ed emirati semi-dittatoriali del Medio Oriente?
Chi va a stipulare accordi commerciali miliardari con governi che ignorano i fondamentali diritti umani?
Chi si inventa sinonimi diminuitivi della parola guerra per andare a distruggere e poi a ricostruire?

Educazione alla cultura della pace, prima lezione: siamo tutti responsabili, attraverso le nostre scelte e i nostri consumi, di tutto ciò che avviene nel mondo globalizzato.
Tutti significa ciascuno di noi!



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sabato 22 marzo 2008

Che Caucaso dici?



Leggendo un articolo di Repubblica mi sono ricordato che nel Caucaso si combattono varie guerre separatiste dimenticate: Cecenia, Inguscezia, Daghestan, Ossetia, Abkhazia, Nagorno-Karabakh, e forse anche altre che non conosco.

Guerre molto dimenticate. Infatti chi ne vuole riportare i fatti e magari affermare un punto di vista diverso da quello governativo rischia la vita. Ecco perché di questi popoli sfortunati si sa poco, se non che sono Russi (anche se di russo non hanno né la lingua, né la religione, né la storia, né i tratti somatici, né soprattutto i sentimenti).

Sfido chiunque a sapere in modo semplice cosa è successo esattamente in questi luoghi negli ultimi due anni. Chiunque abbia notizie complete vince un sorridente grazie da parte mia e dal mondo dei blog e del libero pensiero.


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venerdì 21 marzo 2008

Medaglia di disapprovazione al valor militare



Chi si ricorda di Franco Piperno e di Potere Operaio? Chi si ricorda degli anni '70 in Italia, quando magistrati, poliziotti e politici cadevano sotto i colpi di ideologi, rivoluzionari e peones della lotta armata?
I primi li chiamammo "servitori dello Stato".

I secondi li chiamammo "terroristi".

Fu una piccola guerra e lo Stato la vinse, scrivendone la storia che noi oggi leggiamo.

Non voglio che qualcuno dei miei 5 lettori pensi che io giustifico il terrorismo. Io anzi affermo con forza il principio sancito da quel meraviglioso articolo 11 della Costituzione Italiana: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Io anzi lo trovo incompleto, lo cambierei volentieri in: "Il popolo italiano ripudia ogni forma di violenza e di offesa come mezzo di risoluzione di ogni controversia", senza se e senza ma!

Franco Piperno, intervistato in TV, ha affermato: "La morale è multipla. Ci sono persone che vanno a bombardare una città, e sono considerate degli eroi, e persone che sparano su un bersaglio determinato, che sono considerate dei criminali. Nel secondo caso, solo perché sconfitti".
Qualche giornalista ha ridicolizzato questa frase.


Enrico Cialdini fu un eroe dell'indipendenza italiana. Durante il periodo di lotta al brigantaggio fu responsabile di punizioni collettive e esecuzioni di massa ai danni di intere popolazioni del sud. Ma questo è scomparso dalla storia.

William Tecumseh Sherman fu un eroe della guerra di secessione americana. Durante le guerre indiane fu responsabile di punizioni collettive e esecuzioni di massa ai danni di intere popolazioni delle pianure. Ma questo è scomparso dalla storia.


Gengis Khan, Napoleone e Cesare furono eroi o assassini? Di quanti morti innocenti furono responsabili? Di quanti morti innocenti furono responsabili Stalin e Mao? Di quanti morti innocenti furono responsabili Roosevelt e Churchill?

I nostri condottieri di oggi, i grandi alleati e nemici del nostro tempo, sono eroi o assassini? Per saperlo dobbiamo solo aspettare che uno vinca e un altro sia sconfitto. Il vincitore scriverà la storia e ce lo dirà.


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giovedì 20 marzo 2008

Fuori dal mio cortile



Sull'editoriale di Carta del 14 marzo c'era il seguente brano.
Non c'è forse modo peggiore per affrontare i nodi posti dai movimenti territoriali emersi in Italia negli ultimi anni che ridurli a numeri.
Il Sole24Ore di oggi riporta i risultati di uno studio sui presunti casi di «sindrome Nimby», l'etichetta molto mediatica appiccicata ai movimenti di cittadini che contestano opere «pubbliche» solo in apparenza. Secondo il rapporto, ci sono in Italia 193 opere «bloccate»
per le proteste delle popolazioni locali. E va da sé che, per il giornale confindustriale, tutto questo è inaccettabile. Centrali elettriche, inceneritori, discariche e rigassificatori sono i progetti più contestati. I numeri sono fuorvianti, in molti modi: non dicono nulla della qualità dei progetti, né dei motivi delle critiche, né della storia dei territori e dei movimenti. Tutto è riassunto in una cifra, un dato da filtrare e da interpretare «economicamente». E invece, molto spesso, dietro ogni «no» c'è un «sì», a modelli energetici diversi, a gestione dei rifiuti più sensate o ad altre formule di mobilità, che la politica corrente e la narrazione del paese che fanno i grandi media relega, quando va bene, nelle note di colore dedicate a «movimenti» difficili da interpretare e impossibili da legittimare.
Come se la «sindrome» portasse a fare discorsi sconnessi, deliri ecologisti o miraggi di democrazia energetica.
Parafrasando il ragionamento, ridurre a cifre e slogan gli innumerevoli movimenti, violenti o meno che siano, di contestazione dei poteri costituiti significa cancellare le ragioni delle contestazioni in favori di giudizi etici o politici affrettati e incompleti. Ecco dunque che quelli sono terroristi, quegli altri assassini, lassù non conoscono la storia, laggiù non rispettano la geografia, e nessuno si cura del perché delle persone prendono un'arma e uccidono altre persone.

Ricordo una frase che ho ascoltato tre volte nella vita, detta con parole leggermente diverse ma non troppo: "Quelle sono persone ignoranti, contadini che picchiano le proprie mogli e maltrattano i propri figli."
La prima volta fu un ragazzo russo, parlando degli indipendentisti Ceceni.
La seconda volta fu una ragazza turca, parlando dei nazionalisti Kurdi.
La terza volta fu un ragazzo indiano, parlando dei separatisti Kashmiri.

Suppongo che ci sia solo torto quando si parla di bombe e carri armati, ma mi sembra di capire che quasi sempre chi spara contro il potere costituito lo fa per dire "Nimby", Not In My Back Yard: fuori dal mio cortile! Se i poteri costituiti ascoltassero le parole forse nessuno avrebbe bisogno di sparare...



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mercoledì 19 marzo 2008

A Leopardi il premio Nobel per la pace



Stamattina ho preso qualche minuto per chattare con un'amica dalla Lituania. Una ragazza giovane, intelligente e preparata, sicuramente una delle persone migliori che abbia incontrato in questi anni.
Riporto una parte del nostro discorso.
io - che ne pensi del BIPPIblog?
lei - mi piace, solo che queste cose mi fanno davvero paura
io - paura?
lei - mhm
non saprei proprio come essere d'aiuto per cambiare qualcosa
è come tenere gli occhi chiusi
ci deve essere un'altra maniera di fare qualcosa più adatta a gente semplice come me
io - la cosa più importante, questo vale per ciascuno di noi, è cambiare se stessi
chiudere gli occhi non è la strada giusta
se ognuno di noi cambiasse anche solo un po', il mondo sarebbe un posto di gran lunga migliore
lei - lo so, ma stare qui seduta in una bella casa piena di comodità a dire che sono molto preoccupata per quel che succede è come tenere gli occhi chiusi
Vedo questo atteggiamento un po' dappertutto. I ragazzi si sentono piccoli e incapaci d'intervenire nelle grandi questioni del mondo che è una giungla malvagia e senza legge e allora meglio occuparsi di cose più vicine e semplici, di sport, del cellulare e del Grande Fratello. La stessa democrazia, che è attivismo e partecipazione, si trasforma in inconsapevole e annoiata espressione di voto, con grande felicità di uomini famosi che non hanno nulla da dire.
Perché ribellarsi è inutile tanto nulla cambierà, meglio vivere in pace con sé stessi e opporsi al dolore chiudendo gli occhi, come dicono del giovane Giacomo Leopardi.
Leopardi, ci insegnano a scuola, è un pessimista triste e infatti tutti i ragazzi ne hanno le tasche piene.

Invece Leopardi, il grande Leopardi, a 38 anni, poco prima di morire e nella sua età più cosciente, matura l'auspicio di una società rinnovata in senso solidale, non per astratti insegnamenti di morale o di religione, ma per la presa di coscienza che solo la resistenza comune verso il nemico naturale, il male, possa rendere gli uomini veramente uomini, e la vita degna di essere vissuta.
Questo Leopardi, il grande Leopardi, lo vestirei con l'ombrellino di BIPPI per vederlo in prima fila a dire no alla guerra, al sopruso, all'imposizione, alla violenza, alle torture, all'ingiustizia, alla xenofobia, all'assimilazione forzata delle culture minori, alla distruzione dell'ambiente, no alle bugie, alle paure telecomandate, ai bisogni indotti, all'ignoranza di governo.
Questo Leopardi verrebbe con me a manifestare contro i megaprogetti distruttivi, contro le occupazioni militari, contro le caste governative, contro le disfunzioni pilotate.
Questo Leopardi sarebbe un grande attivista per la pace.
Propongo per Leopardi il premio Nobel per la pace, alla memoria!



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martedì 18 marzo 2008

E il Perù si vende l'amazzonia



Vai al sito www.aiutalanatura.it/

Riporto alcuni brani di un articolo apparso su Articolo 21 del 29 gennaio 2008 dal titolo "E il Perù si vende l'amazzonia". (leggi l'intero articolo)

Il presidente peruviano Alan García ha annunciato che vuole vendere alle multinazionali del legname 8 milioni di ettari di foresta primaria in Amazzonia. Secondo Alan García solo con la privatizzazione la foresta potrà produrre "ossigeno, legname e lavoro a beneficio di tutti i peruviani". Ma per dirlo è dovuto andare ad annunciarlo a Madrid, nella cosiddetta madre patria dove ha trovato l’appoggio convinto delle multinazionali del legname. Queste finalmente vedrebbero superare i limiti sanciti dalle leggi degli anni '70, che davano le terre solo in concessione e non in vendita, e solo in piccoli lotti di modo che lo stato potesse controllarne l’uso e favorire lo sfruttamento artigianale delle risorse della selva amazzonica.
Il progetto di privatizzazione dell'Amazzonia peruviana sta trovando forte opposizione da parte delle popolazioni locali, comunità indigene e contadine che si considerano non solo escluse, ma addirittura a rischio di estinzione in un modello industriale di sfruttamento della foresta quale quello neoliberale voluto da Alan García. Gli abitanti dell’Amazzonia peruviana convivono da sempre con un modello estensivo di economia forestale che coincide con lunghi periodi di riposo della selva. È il modello che ha preservato fino ad oggi la foresta primaria evitandone lo sfruttamento intensivo che caratterizza vaste zone dell’Amazzonia brasiliana.
Nel leggere l'articolo mi viene in mente quella che ho sempre considerato una indispensabile premessa ad ogni ragionamento: ogni impresa finanziaria o commerciale in scala grande - megaconcessione di sfruttamento, colosso finanziario, ipermercato o mega centro commerciale, gigantesca infrastruttura, megaprogetto di intervento sul territorio, - ogni iper, mega, giga, super impresa di questo tipo ha come unici veri beneficiari i grandi gruppi di potere nei quali si concentra la ricchezza di un Paese a discapito della gente comune, delle necessità, del benessere e del futuro della gente comune.


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lunedì 17 marzo 2008

Un'Italia di cui essere fiero



Guarda il brano più interessante di Una scomoda verità, di Al Gore.
Guarda un esempio di propaganda contro-ambientalista.

Mi ha colpito un articolo del 13 marzo su Repubblica.

Un piccolo gruppo di nazioni, in continuo aumento, sta concorrendo a una gara non scritta per diventare un "Paese neutro" nelle emissioni di anidride carbonica. Una gara contro l'effetto serra che viene idealmente chiamata "Carbon-neutral World Cup" e che, attualmente vede in testa Costa Rica, Norvegia, Nuova Zelanda e Islanda.
Raggiungere la "neutralità" delle emissioni di anidride carbonica significa bilanciare le emissioni di gas serra che si producono bruciando i combustibili fossili, con qualcosa che sia in grado di catturarli, come ad esempio un'estesa foresta.
In questi giorni Roberto Dobles, Ministro costaricano dell'Ambiente e dell'Energia, sostiene che il suo Paese si è aggiudicata la gara avendo raggiunto l'obiettivo di essere un "paese neutro".

Poco importa se il Costarica sia stato primo o meno, la notizia non è questa. Nel leggerla mi sono venuti in mente i tantissimi detrattori dei cambiamenti climatici: lobbies industriali, scienziati deviati o comprati, opinionisti ignoranti, ministri irresponsabili e tantissima gente comune, anche colta, che non ritiene questa una questione degna di attenzione.
Ricordo di aver parlato tempo fa con un professore di scuola media che stimo, il quale mi diceva con convinzione che l'uomo si arroga la potenza di cambiare il clima sul pianeta mentre queste son cose naturali a cui dobbiamo solo adattarci. Quest'uomo dovrebbe lavorare all'edicola all'inizio della salita di Salvator Rosa, a Napoli, e poi ne potremmo riparlare.

Mi domando: se solo in Italia attuassimo quella bella legge che prevede un nuovo albero ogni nuovo nato, se potenziassimo la rete ferroviaria (non la TAV - Di Pietro! - ma i regionali!) invece di investire in autostrade da dare a Benetton, se il Parco del Vesuvio per magia si trasformasse in un vero parco da quell'immondezzaio che oggi è (Bassolinoooooo!!!), se si facesse più raccolta differenziata e meno inceneritori (Bassolinoooooo!!!), più eolico e meno carbone, se i piccolo-borghesi comprassero meno SUV, se spegnessimo le luci quando non ci servono, se la mentalità della gente fosse meno rivolta al proprio bene immediato ed esclusivo... forse anche l'italia sarebbe fiera di gareggiare col Costarica nella "Carbon-neutral World Cup" invece di disperarsi per l'eliminazione dell'Inter mercenaria.
Di un'Italia così sarei fiero anche io!



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domenica 16 marzo 2008

Libiamo! Libiamo!



Guarda il report della TV cinese

Tibet. Ne parlano tutti e ne parlo anche io, però mi vien da dire tutto, povero me!

Premessa: a partire dal 1949 il Tibet fu progressivamente e illegalmente invaso dall'esercito cinese maoista. Il risultato di quella invasione fu una scia di sangue e dolore che, a distanza di oltre cinquanta anni, non ho timore di riassumere nella parola 'etnocidio'.

I numeri e i fatti (purtroppo non verificabili) denunciati dai movimenti pro-Tibet sono i seguenti:
- oltre un milione di morti
- 130.000 rifugiati (soprattutto in Nepal e India)
- 6.000 monasteri distrutti
- migliaia di Tibetani incarcerati per delitti politici
- progressiva distruzione dell'ambiente tradizionale in favore di un'industrializzazione selvaggia
- massiccia militarizzazione
- assimilazione culturale forzata
Vedi:
http://www.comunitatibetana.org/it/uno-sguardo-sul-tibet.pdf

Tutto vero o parzialmente vero che sia, è uno schifo e gli spaccherei anche io tutte le vetrine. Ma...
...prima dell'invasione cinese, il Tibet indipendente era una monarchia teocratica (oggi l'ultimo esempio, credo, è il Vaticano) ed era tra i Paesi più poveri e arretrati del mondo, ancora ancorato ad un regime feudale di sfruttamento. La casta dei monaci viveva sul lavoro della popolazione che era generalmente analfabeta, povera e soggetta ad una vita dura.
Il Tibet non era, come si crede, uno stato pacifico nè pacifista, aveva un'esercito (male in arnese nel 1949, ma pur sempre esercito) ed aveva una storia militare di tutto rispetto, fatta di guerre, invasioni, conquiste, disfatte, trattati, occupazioni e via dicendo.
La Cina, come ogni Paese coloniale, rivendica la costruzione in Tibet di infrastrutture, ospedali, scuole, case moderne, e di aver migliorato il tenore di vita medio dei Tibetani affrancandoli dalla servitù della gleba.

Io preferirei vivere libero nella miseria piuttosto che sottomesso nella tranquillità. Ma scriverlo su un computer è facile, poi vado in cucina a mangiare il tiramisù. Non so quanti Tibetani la pensano come me. Sicuramente sono d'accordo quelli che oggi rischiano la vita nelle strade di Lhasa.

Il Dalai Lama, premio Nobel per la pace, guida spirituale del Tibet e capo del Governo Tibetano in esilio, è un grande filosofo della nonviolenza e, in generale, una persona eccezionale. Leggere uno dei suoi libri è una esperienza illuminante. Molti concordano nell'affermare che il suo alto tenore di vita e la sua forza propagandistica siano dovuti ai finanziamenti della CIA americana.

Epilogo.
Sono un atleta della domenica, di quelli che lo sport lo vedono in TV, e sicuramente non andrei a celebrare lo 'spirito olimpico' nella Cina dell'oppressione politica e delle 5.000 condanne a morte ogni anno, ma nemmeno nel Marocco dei 2.500 km di muro contro i Saharawi, nella Russia della guerra cecena, negli USA di Guantanamo e Abu Ghraib, in Birmania, a Cuba, in Vietnam, in Sudan, in Uzbekistan, nemmeno nella Francia della legione in Chad e della privatizzazione dell'acqua, e forse nemmeno nell'Italia di Bolzaneto e Savignano Irpino perchè nemmeno da noi i diritti umani son rose e fiori.
Però, per dirla tutta, se fossi un atleta professionista che ha solo 10 anni per dare un senso a tutti i suoi sacrifici e le Olimpiadi fossero l'occasione della vita, forse andrei a gareggiare a Pechino e lascerei i diritti umani ai politici che condannano e s'indignano ma infine stringono accordi commerciali cantando "Libiamo! Libiamo!".



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sabato 15 marzo 2008

Sapere prima di parlare



Qualcuno mi ha scritto chiedendomi cosa penso delle operazioni di pace/guerra (de según como se mire todo depende, cantavano i Jarabe De Palo) in Iraq e Afghanistan.

Premetto che ritengo Afghanistan e Iraq due luoghi della stessa avventura, con le dovute differenze.
Ciò detto, credo che la migliore risposta sia questo articolo su Reséau Voltaire scritto da Michael Schwartz, professore alla Stony Brook University dello stato di New York, che presenta la celebre ricerca della prestigiosa rivista medica americana "The Lancet" sul numero di vittime in Iraq e parla di quelle che noi chiamiamo "regole d'ingaggio" dei soldati americani in Iraq.
Tutto da leggere: http://www.voltairenet.org/article150746.html

A riguardo qualcuno mi segnalava qualche giorno fa questo film su youtube: Uno scandalo americano.

Sul blog Alessio in Asia leggevo invece il seguente commento:

"I feel that if we withdrawl from IRAQ, there might be terror."
wow… if there might be terror… I wonder… what’s going on since “we” invaded Iraq ?



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venerdì 14 marzo 2008

Parliamo ma non ci capiamo



Vai alla pagina di wikipedia Lingue parlate in Italia

Un recente studio di Survival International afferma che ogni mese muoiono due delle 6.000 lingue madri esistenti al mondo. A questo ritmo il patrimonio linguistico dell’umanità sarà dimezzato alla fine di questo secolo. Per evitare questa catastrofe culturale le Nazioni Unite hanno proclamato il 2008 Anno internazionale delle lingue.

La morte di una lingua è un fenomeno complesso, spesso relazionato all’irruzione di lingue dominanti, come l’inglese, l’arabo o lo spagnolo, che costituiscono, secondo il linguista Michael Krauss, «un autentico gas nervino culturale». Oggi, il 96 per cento della popolazione mondiale parla solo il 4 per cento delle lingue.
In pratica una lingua muore quando muore l'ultima persona che la parla, ma si tratta sempre di una morte annunciata. La sopravvivenza di una lingua è legata ad un numero minimo (centomila) di persone che la parlano. Al di sotto di questo numero esiste il rischio di morte.
Alla base di questo fenomeno c'è quasi sempre un atteggiamento politico distorto: la salvaguardia delle lingue minori non si fa con convegni e dibattiti, ma permettendone e valorizzandone l'uso. Spagna, Russia, India e Sudafrica rappresentano alcuni esempi di effettivo riconoscimento e tutela della diversità linguistica. Nel 2001 è stata firmata la Dichiarazione universale sulla diversità culturale, che pone come obiettivo «tutelare il patrimonio linguistico dell’umanità e difendere le capacità espressive e la diffusione del maggior numero possibile di lingue. Incoraggiare la diversità linguistica, nel rispetto della lingua madre e stimolare l’apprendimento del multilinguismo fin dalla tenera età». Al contrario quasi ovunque troviamo un'idea 'totalitaria' di Stato che si esprime, tra l'altro, nella valorizzazione esclusiva della lingua ufficiale, a danno delle singole lingue madri, spesso trascurate, declassate e respresse. L'Italia è un ottimo esempio a riguardo.

La scomparsa di una lingua non è un danno teorico ma una catastrofe sociale. Ogni lingua è espressione di un sistema di pensiero che scompare non potendo più esprimersi. La repressione di una lingua porta tensioni sociali inarrestabili poiché intere generazioni vengono private della possibilità di studiare con profitto, dialogare con le istituzioni, prendere parte alla vita pubblica e, in definitiva, integrarsi nella società civile, poiché gli è vietato farlo nella propria lingua madre.
La repressione di una lingua madre porta sempre e comunque a un fenomeno di esclusione di donne e uomini che non hanno scelto quale lingua parlare.


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mercoledì 12 marzo 2008

Invisible colours of Benetton



Guarda la presentazione
Vai al sito della campagna
The invisible colours of Benetton

Da un articolo apparso un anno fa su
Selvas.org:

Il 14 febbraio (2007) sono giunti prima dell'alba e hanno chiesto alle forze della natura di poter interagire con loro, si sono poi costituiti in Comunità rifacendosi agli antenati che "vivevano liberi su quelle terre e che ora sono oggetti nei musei e trofei di una cultura che distrugge il diverso". I Mapuche tornano ad occupare la terra che reclamano da anni e che fa parte del latifondo dei Benetton nella Patagonia argentina.

Su un
sito Mapuche si legge:

La compagnia italiana di capi d'abbigliamento Benetton e' ben conosciuta per le sue campagne promozionali provocative e socialmente critiche. Ma la compagnia a livello internazionale e' a sua volta coinvolta in affari sporchi. Nel sud dell'Argentina Benetton ha comprato oltre un milione di ettari di terra. La popolazione locale, per la maggior parte indigeni Mapuche, sono costretti con la forza ad abbandonare le terre.

Invasioni ottocentesche, vendite illegali, donazioni a premi nobel... Una vera telenovela sudamericana. Per capirci qualcosa basta fare una semplice ricerca su google: "Benetton vs Mapuche". E leggere.
Un capo Benetton è bello e relativamente economico, ma cosa c'è dietro quel cotone o quella lana?
Per quanto possiamo lavarli, certi oggetti non saranno mai puliti.



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Verschärfte Vernehmung



Lettera dall'America (estratto)
Sabato, 8 marzo 2008
di David Wright

Oggi si è verificato un evento davvero ignobile, davvero privo di tutto ciò che chiamiamo decenza; un evento così invasivo che la sua ricaduta potrà influenzare ogni angolo della società. Ricordate questa data, sabato, 8 marzo 2008: gli Stati Uniti d'America hanno approvato l'uso della tortura. Con la firma del veto al progetto di legge del Congresso che mette al bando la tortura, il presidente Bush ne ha approvato l'uso. Il Presidente ha brutalizzato la sua società. E questo avrà una ricaduta.
Il 'via libera' alla violenza di Stato alla fine toccherà tutti noi. Col passare del tempo, la brutalità di stato stravolgerà tutti. Il nostro Stato non la chiama tortura, ovviamente, preferendo il termine "Tecniche Avanzate di Interrogatorio".
Leggiamo da Wikipedia:
Andrew Sullivan, ex redattore del giornale The New Republic, ha affermato che 'l'interrogatorio duro' ha una notevole somiglianza con le tecniche che la Gestapo chiamava "Verschärfte Vernehmung", per la cui applicazione alcuni sono stati rinviati a giudizio dopo la seconda guerra mondiale e sono stati "riconosciuti colpevoli di crimini di guerra e condannati a morte". Oltre la somiglianza delle pratiche, il termine tedesco "verschärfte Vernehmung" può essere tradotto letteralmente con "interrogatorio duro".
Nel 1948 un tribunale norvegese ha descritto l'uso di ipotermia con parole identiche a quelle delle relazioni da
Guantanamo. La difesa usata dai nazisti per giustificare l'applicazione delle tecniche "è quasi testualmente quella dell'amministrazione Bush". In particolare il concetto di "combattente nemico illegale" è invocato per giustificare l'applicazione di queste tecniche su "ribelli prigionieri senza uniforme". L'ormai familiare scenario da bomba a orologeria usato come logica per consentire la tortura ha avuto il suo precursore nel "Terzo grado" della Gestapo. Ma se da un lato i metodi di interrogatorio dei nazisti sono stati definiti "tortura", il New York Times scrive che i metodi degli Alleati a quel tempo erano molto più efficaci e molto meno invasivi di quelli utilizzati ora dagli Stati Uniti.
Resta a loro eterna vergogna che Obama e Clinton (candidati democratici alle presidenziali 2008, ndr) erano troppo occupati a cercare di farsi eleggere per tornare a Washington e votare per la messa al bando della tortura. Questo mostra la misura in cui la nostra società ha già accettato la forza, il dolore e il male. Ma se pensiamo che questo sia stato uno sbaglio, guardiamo oltre. John McCain (candidato repubblicano alle presidenziali 2008, ex prigioniero di guerra in Vietnam dove ha subito torture,ndr) è tornato indietro e ha votato contro il progetto di legge. Sei anni di torture da parte dei cittadini dell'ultimo Paese che gli Stati Uniti hanno invaso e McCain non ha imparato nulla. Che sia attraverso la loro negligenza o la loro azione, coloro che vogliono guidare questa nazione nei prossimi quattro anni hanno iniziato in maniera veramente indecente.



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martedì 11 marzo 2008

La 'generazione rubata'



Guarda il video (in inglese)

Si sente spesso parlare del primato della cultura occidentale che ha portato libertà e democrazia nel mondo, sconfiggendo nel tempo dittature sanguinarie, ideologie totalitarie e imperi del male.
Come esempio della superiorità culturale del libero Occidente, ecco alcuni brani di un articolo tratto dal Berliner Zeitung del 29 febbraio 2008 sulla cosiddetta '
generazione rubata'.

"
Tra il 1910 e il 1970 diecimila bambini aborigeni furono portati via con la forza dalle proprie case per essere adottati da famiglie 'bianche', secondo un programma legittimato dallo Stato. Per il bene stesso dei bambini, come ancora oggi ritiene una minoranza degli Australiani.
Nel 1997 una ricerca dal titolo 'Riportiamoli a casa' rese pubbliche queste eclatanti violazioni dei diritti umani. Gli storici parlano di tentato genocidio. L'allontanamento dei bambini avrebbe avuto come unico scopo impedire la trasmissione della cultura e della lingua degli Aborigeni.
Ancora nei tardi anni '80 gli Aborigeni in alcune zone dell'Australia rischiavano la vita.
Dieci anni sono passati duranti i quali l'allora Primo Ministro John Howard rifiutò agli Aborigeni le scuse davanti al Parlamento. Soltanto il suo successore Kevin Rudd ha rotto il silenzio istituendo da poco il 'Giorno Nazionale delle Scuse' da celebrare il 13 febbraio e scusandosi più volte sia personalmente che in nome delle istituzioni. Per i circa 450.000 Aborigeni australiani l'essere finalmente riconosciuti ha un immenso significato.
Non tutti però sono euforici per le scuse del Presidente. Il governo infatti non avrebbe ancora sprecato nemmeno una parola in merito alle terre sottratte e ai massacri avvenuti. Un numero sempre più grosso di Aborigeni rivendica inoltre una compensazione economica.
"




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lunedì 10 marzo 2008

Il terrorismo funziona!


Negli ultimi giorni abbiamo potuto leggere sui giornali della minaccia degli Uighuri, terroristi musulmani, alleati di Al Qaeda, che potrebbero colpire durante i Giochi Olimpici. Almeno così si legge nei titoli dei giornali.

A leggere con maggiore attenzione si scopre che si tratta dei separatisti del cosiddetto Turkestan orientale, ma i Cinesi si arrabbiano a sentirlo chiamare così, per loro è lo Xinjiang.
Si scopre che questo popolo turcofono, musulmano da sempre, imparentato con i Turcomanni e per nulla con i Cinesi, ha una storia antica.
Si scopre che dalla metà dell'800 alla metà del '900 la provincia ha cercato piu volte la sua indipendenza, fino ad essere liberata/invasa dall'Esercito di Liberazione Popolare cinese, lo stesso che liberò/invase il Tibet. Questione di punti di vista!
Nei libri la cinesizzazione del Turkmenistan Orientale è conosciuta come la pacifica liberazione dello Xinjiang, solo che gli abitanti non sono tutti d'accordo. Ad approfondire si scopre che questo popolo ha subito forti repressioni culturali e politiche da parte del governo cinese, almeno a sentire Amnesty International e Human Rights Watch.
Le tensioni culturali e sociali provocano periodicamente scontri violenti: nel 1962 ci furono scontri che causarono l'esodo di 60.000 persone; nel 1990 ci furono 50 morti; nel 1997 ci furono rivolte e attentati dinamitardi.

Ridurre tutto questo ai cattivi musulmani alleati di Al Qaeda è il risultato del peggiore giornalismo che riempie pagine di Grande Fratello e concede sbuffando trafiletti di storia.
Se non fossero stati minacciati i sacri Giochi Olimpici, chi mai avrebbe sentito parlare dei cattivi Uighuri e dello Xinjiang?
Il terrorismo dunque funziona.



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domenica 9 marzo 2008

Imbecilli senza appello



Il video è offensivo e non può essere visto senza registrazione

Per essere imbecilli non c'è bisogno di essere soldati né di essere Americani, e questi due imbecilli del video non devono essere considerati né in quanto soldati, né in quanto Americani. Sono solo due emeriti imbecilli.

Del resto imbecilli ci sono in tutti i Paesi e in tutte le categorie. Sicuramente, ad esempio, ci sara' in Guatemala un carrettiere imbecille.
Solo che un carrettiere guatemalteco non pretende di portare civiltà e democrazia nel mondo e se è imbecille peggio per lui, ma sicuramente non farà grandi danni.


Ascolta le reazioni sulla CNN (in inglese)


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sabato 8 marzo 2008

Obiettivo 3




Il miglior modo per fare gli auguri a tutte le donne è parlare del terzo Obiettivo di sviluppo del Millennio: promuovere l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne, principalmente eliminando la disuguaglianza di genere nell’istruzione primaria e secondaria in tutto il mondo preferibilmente entro il 2005 e a tutti i livelli di istruzione entro il 2015.

Le disuguaglianze di genere sono un dato inequivocabile.
Il 60% dei 115 milioni di bambini che non vanno a scuola sono femmine. Il tasso di analfabetizzazione tra le donne adulte nei Paesi poveri è altissimo. I due terzi degli analfabeti in tutto il mondo sono donne.
Le donne effettuano i due terzi delle ore di lavoro nel mondo ma guadagnano solo il 10% del reddito mondiale.
Le donne posseggono solo l’1% della terra coltivabile al mondo.
Nel mondo, le donne occupano solo il 14% dei seggi parlamentari e raggiungono il 30% solo in sette Paesi.
Una donna su tre al mondo è vittima nella sua vita di abusi fisici o sessuali; circa la metà delle vittime di violenze sessuali al mondo ha meno di 16 anni.


L'Obiettivo 3 non è fatto di parole vuote. Chi vuole farsi un'idea di come intervenire praticamente sull'Obiettivo 3 può leggere questo articolo tratto dal sito del Dipartimento federale svizzero degli affari esteri.



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venerdì 7 marzo 2008

Pensare globalmente e agire localmente



Ricevo da Stefano Varlese, Coordinatore Nazionale di YAP Italia, questo articolo apparso su Selvas.org del 9 dicembre 2007. Parla dell'Ecuador come un esperimento di economia regolata, democrazia partecipativa, redistribuzione sociale, integrazione regionale, socialismo del XXI° secolo, e soprattutto di moratoria di estrazione petrolifera dalla zona ITT - Ishpingo-Tiputini-Tambococha, nel parco di Yasunì. Tutto da leggere.
Ne pubblico un brano:

"Non è solo un tentativo di proteggere una zona unica al mondo per la sua biodiversità ma l'introduzione di un modello nuovo che ribalta il modo in cui l'uomo, fino ad oggi, ha utilizzato le risorse naturali. Sperimenteremmo un modello che ci abituerebbe a vivere senza petrolio, cosa che sarà probabilmente la normalità nel futuro; dovrebbe diminuire già da ora a causa dei danni ambientali che provoca. La sfida non riguarda solo l'Ecuador ma tutta l'umanità."

Sullo stesso argomento, ma da un punto di vista un po' diverso, segnalo anche un articolo apparso su Andinamedia del 27 ottobre 2007 e un altro articolo apparso su Global Project del 12 novembre 2007.

Il quadro generale di questo problema viene chiarito dalla campagna Salviamo lo Yasuní diffusa in Italia da associazioni come Asud.




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giovedì 6 marzo 2008

Giochiamo alla pace



Guarda il video

Da bambino mi piaceva giocare alla guerra. Era divertente.

Quando sono diventato adulto ho capito, assolutamente da solo e senza nessun aiuto da parte della società, che la guerra non è un gioco e non è per nulla divertente.

La cultura della pace parte dall'affermazione che la guerra non è un gioco.
Facciamo che i bambini cerchino le proprie gerarchie senza pistole e spade giocattolo, senza fare stragi sui videogames. Che non ammazzino per gioco.
Non ci si diverte in guerra. Si fa del male e si riceve del male.


Ho trovato su Réseau Voltaire un'intervista a Jimmy Massey, un ex soldato di ritorno dalla guerra. Un articolo lungo ma invito tutti a leggerlo con attenzione. Non è importante di quale esercito e in quale guerra fosse Jimmy. Tutti i soldati in guerra fanno quello che lui racconta perchè la guerra non è un gioco. Si fa del male e si riceve del male.

"Ero stato addestrato per eseguire ciecamente gli ordini del presidente (...) e portare al paese ciò che lui aveva richiesto senza una qualsiasi considerazione morale. Ero uno psicopatico perché ho imparato prima a sparare e poi a domandare, come un malato e non come un soldato professionista che deve affrontare solo un altro soldato. Se bisognava ammazzare donne e bambini, noi lo facevamo."
Su una rivista francese lessi questa frase: se la risposta è la guerra, la domanda deve essere sbagliata!



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mercoledì 5 marzo 2008

Parlando di Tibet



Ascolta la canzone

Riporto alcune parti di un articolo di BBC NEWS il cui titolo è: Bjork fa un gesto per il 'Tibet libero'

Bjork, ha suscitato polemiche tra i fan in Cina gridando "Tibet! Tibet!" alla fine di un concerto a Shanghai. Il grido ha seguito una poderosa performance della sua canzone 'Dichiara Indipendenza'. Parlare di indipendenza del Tibet è considerato un tabù in Cina, che governa il territorio dal 1951.


Dopo il concerto alcune reazioni negative sono state pubblicate su siti web cinesi.
"Mi piace Bjork", ha detto uno, "è OK per lei avere un diverso punto di vista, ma da parte sua mostrarlo qui è irrispettoso per i fan, un comportamento molto egoista".
Un altro fan di Bjork aveva detto "si è comportata come una ragazzina arrabbiata, che agisce in maniera furtiva, non come Brad Pitt e Richard Gere, che sono ben conosciuti come sostenitori di un Tibet libero".


La canzone Dichiara Indipendenza è già stata utilizzata da Bjork per evidenziare altre lotte per l'autodeterminazione.
Il mese scorso in Giappone ha dedicato una performance della canzone al Kosovo. Ha utilizzato anche la stessa canzone per inneggiare alla Groenlandia e alle Isole Fær Øer, territori controllati dalla Danimarca.
Negli Stati Uniti nel 1990 Bjork ha cantato in due concerti di propaganda per un Tibet libero.


Devo aggiungere poche parole.
Il Tibet non era affatto uno stato perfetto ma era pur sempre uno stato indipendente quando è stato "liberato" dall'esercito cinese nel 1951. (Leggi la cronologia della BBC). Wikipedia in inglese ha un articolo sull'invasione del Tibet: "Il governo cinese, è stato accusato di una campagna di terrore, dopo l'invasione, che ha portato all'uccisione di un massimo di 1,2 milioni di tibetani e alla distruzione di 6000 monasteri. Il Governo cinese nega queste accuse. Accuse di genocidio, crimini contro l'umanità, terrorismo di Stato e tortura sono attualmente oggetto di indagine da parte di un tribunale spagnolo."


Il Kosovo, ha dichiarato la propria indipendenza il 17 febbraio 2008 (leggi l'articolo su BBC NEWS), nonostante le proteste da parte di Serbia, Russia e Cina.

La Groenlandia è una provincia d'oltremare autonoma della Danimarca dal 1979. Ha originariamente aderito alla Comunità Europea con la Danimarca nel 1973, ma ne è uscita nel 1985 dopo una disputa sui diritti di pesca e un referendum sulla questione. Una parte sostanziale della popolazione della Groenlandia è favorevole all'indipendenza.

Le Isole Fær Øer sono una provincia autonoma della Danimarca dal 1948. Non fanno parte dell'Unione Europea e i Danesi che vivono nelle isole Faer Øer non sono cittadini dell'Unione Europea. Gli abitanti sono all'incirca equamente divisi tra coloro che favoriscono l'indipendenza e quelli contrari. Il supporto all'indipendenza è recentemente cresciuto ed è l'obiettivo del governo.


Aggiungo il link ad un interessante articolo di Repubblica sulla questione, segnalato anche da altri blog.



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martedì 4 marzo 2008

Gioca fiori risponde bastoni



In questi giorni c'è stato un interessante scambio epistolare tra i Coordinatori nazionali della Tavola della pace e il candidato premier del centro-sinistra italiano Veltroni.

Dalla
lettera aperta all'on. Walter Veltroni: Perché il mondo resta ancora una volta fuori dalla campagna elettorale?
"Dopo tanti anni di generoso impegno per la pace, dopo l'ennesima Marcia per la pace Perugia-Assisi ci vogliamo interrogare sull'efficacia politica e culturale del movimento per la pace. Marceremo ancora da Perugia ad Assisi? Per ottenere cosa? A cosa serve marciare per la pace se la politica è sempre più cieca e sorda?
Lo scorso 7 ottobre abbiamo marciato in più di 200.000 per costruire «una politica nuova e una nuova cultura politica nonviolenta fondata sui diritti umani». Ma col calare della notte, quello stesso giorno, è calato anche il sipario su quel straordinario evento di popolo. Media e politica l'hanno subito archiviato senza batter ciglio. Come se nulla fosse stato.
"

Dalla
lettera di risposta dell'on. Walter Veltroni
"Condivido l'appello ad un rinnovato impegno della politica per la pace. L'urto cieco delle opinioni non trova altro modo per esprimersi se non la violenza.
Io credo che il nodo cruciale del nostro secolo sia lo scontro non tra civiltà, ma tra tolleranza e fanatismo. E questo è vero per le grandi tensioni che attraversano il mondo come anche per le vicende gridate del nostro Paese: spesso la distanza incolmabile non è tanto tra chi è portatore di questa o quella identità, ma tra chi sceglie di stare in trincea e chi discute, tra chi ha messo l'elmetto e chi cerca sintesi virtuose. L'impegno per la pace se non vuole restare enunciazione parte da queste considerazioni. E così è per l'impegno che la politica deve prendere nei confronti delle donne e degli uomini che aspirano a vivere serenamente.
"




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lunedì 3 marzo 2008

Venti di guerra in Sudamerica



Perché milioni di cittadini colombiani sono fuggiti dalle loro case?


In Colombia si produce tanta cocaina, questo lo sanno in molti. C'è la guerra ma lo sanno in pochi, anche se ha causato 40.000 morti e 3 milioni di rifugiati, seconda emergenza rifugiati al mondo dopo il Sudan. Tra i pochi che sanno, alcuni parlano di terrorismo (che oggi va bene a tutte le salse) altri semplicisticamente di narcotraffico, come in Russia si semplifica la Cecenia parlando di banditi e come Cavour semplificava il sud Italia parlando di briganti.

Álvaro Uribe è il Presidente della Colombia. Dalla sua elezione nel 2002 ha mantenuto una linea politica di fermezza contro i ribelli marxisti delle FARC, che gli uccisero il padre durante un tentativo di rapimento. La politica di Uribe gli ha procurato grande amicizia con gli USA e miliardi di dollari in aiuti contro il narcotraffico.

A est della Colombia c'è il Venezuela che, non tutti sanno, è tra i primi dieci produttori di petrolio al mondo. Hugo Chávez è il presidente del Venezuela, leader carismatico della nuova sinistra latino-americana, seguace di Simón Bolívar e Che Guevara. La politica di Chavez, così vicina al cubano Fidel Castro, lo ha reso "antipatico", per così dire, negli USA. Chavez del resto condivide l'antipatia visto che fa di tutto per allontanare il continente sudamericano dalle politiche nordamericane (NAFTA, guerra al terrorismo...).

Le FARC considerano Chavez un alleato, per questioni ideologiche e politiche.
Chavez e Uribe non si piacciono. Men che meno da quando Chavez ha usato la sua influenza sulle FARC per far liberare alcuni ostaggi, tra cui la collaboratrice della cittadina francese Ingrid Betancourt, ex candidata alle presidenziali colombiane.

Due giorni fa aerei colombiani hanno bombardato un campo delle FARC oltre il confine con l'Ecuador e ucciso due tra i massimi leader del movimento. Il presidente dell'Ecuador, Rafael Correa, buon alleato di Chavez, ha rotto le relazioni diplomatiche con la Colombia per protesta contro la violazione della sua sovranità nazionale, e ha inviato truppe al confine. Chavez, a sostegno di Correa, ha schierato dieci battaglioni di carri armati al confine con la Colombia e ha messo in stato d'allerta l'aviazione, oltre a rompere le relazioni diplomatiche.
Dicono gli analisti che una guerra tra i tre Paesi è improbabile ma non impossibile.

Chi vuole capirne qualcosa può leggere un ampio dossier su Reuters AlertNet, in inglese.





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domenica 2 marzo 2008

Cultura di guerra



Il 14 dicembre scorso il principino del Regno Unito, Harry, è andato a combattere con le truppe britanniche in Afghanistan. La cosa non è tanto originale se anche lui, come tanti, crede che la pace si porti facendo la guerra. Richiamato anzitempo in patria per motivate ragioni di sicurezza, la stampa filogovernativa e patriottica si è affrettata a raccontare le meraviglie di coraggio che questo ragazzo ha saputo dimostrare.

Il Sun ha stampato un poster con la sua immagine di pattuglia a fucile spianato, invitando la popolazione ad esibirlo. Lo stesso giornale in prima pagina racconta come Harry avrebbe ucciso, o perlomeno contribuito a uccidere, trenta talebani, dirigendo tre attacchi aerei per telefono sulle postazioni nemiche. Oppure che Harry, attaccato dai Talebani su una postazione mobile in cui si trovava con i suoi commilitoni, si è prontamente piazzato davanti a una mitragliatrice pesante, che non aveva mai usato in precedenza, e ha aperto il fuoco, respingendo l'attacco.
Il quotidiano italiano La Repubblica cita alcune interviste.

"Ha tenuto una condotta esemplare", è il commento del generale Dannott. "Tutta la Gran Bretagna è orgogliosa di lui", afferma il primo ministro Brown.
Commenta invece Harry: "Finalmente ho la possibilità di fare il soldato sul serio, come avrei voluto. (...) Spero che anche la mia mamma sia orgogliosa, spero che mi abbia guardato dal cielo".

Ironia della sorte, Lady Diana Spencer, madre di Harry, fu in prima linea nella campagna per mettere al bando le mine antiuomo. Per questo fu candidata al premio Nobel per la pace.
Oggi le mine antiuomo sono oltre 100 milioni nel mondo, 10 milioni proprio in Afghanistan. Nel 2006 le mine hanno ucciso, ferito o mutilato 5.751 persone, per 1/3 bambini, in 68 Paesi e territori. Il prezzo di una mina varia tra $3 e $30, il costo di sminamento unitario varia invece tra $300 e $1.000. Per rendere inattive 110 milioni di mine servirebbe una spesa di 33 miliardi di dollari; gli esperti hanno stimato che all’attuale velocità di sminamento servirebbero più di 1.100 anni per bonificare l’intero pianeta, qualora nessuna nuova mina venisse posata. Ma per ogni mina disinnescata ne vengono posate sul terreno altre 20, nel 1994 ne furono rimosse 100.000 e seminate 2 milioni.

Fatte le dovute considerazioni mi permetto di dubitare che Lady Diana, guardando il figliolo Harry dal cielo, sarebbe fiera di lui.



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sabato 1 marzo 2008

Percorso di Pace



Sul blog Scuole per la pace ho trovato questo post del 22 settembre 2004.

"L’idea che vorremmo condividere è che la pace non sia un’entità astratta ma qualcosa che vada costruito insieme e che si componga di diversi aspetti.

Parlare di pace significa anche occuparsi di alcuni aspetti della nostra vita sociale, di come essi impattano sul resto del mondo e di come sia possibile limitare questo impatto almeno nei suoi aspetti più negativi.

Per questo credo che parlare di pace voglia dire anche affrontare questi temi:
- Diritti umani (educare alla giustizia)
- Energia, produzione, consumo ed inquinamento
- Consumo consapevole e stili di vita
- Diritto al sapere, diffusione della conoscenza, proprietà intellettuale
- Digital divide, nuove tecnologie, accesso all'informazione, accessibilità

E parlandone provare a modificare i nostri comportamenti, anche quelli piccoli, ma soprattutto chiedersi sempre se quelle che ci si presentano come “necessità impellenti” non siano in realtà bisogni indotti o desideri di “bambini viziati” che a noi sembrano accessibilissimi ma che ci togliamo sulle spalle di altri.

Pensare prima di agire e se è così modificare il nostro agire per renderlo più equo e compatibile nei confronti dei bisogni di chi ancora soffre la fame, le privazioni e la violenza.

Perché "non c’è pace senza giustizia" e non c’è giustizia se non ci rendiamo conto che il nostro stile di vita “avanzato” è frutto di secoli di sfruttamento di popoli e predazione di risorse che non ci appartengono.

Non è necessario per questo trasformarsi in neoluddisti o tornare anche noi al medioevo (ricordate le dichiarazioni di qualcuno sul piombare l’Iraq nel medioevo? Obiettivo raggiunto direi..) ma è possibile orientare diversamente i nostri consumi, ridurre gli sprechi ed i bisogni.

Questo non ci consegnerà automaticamente un mondo migliore ma ci metterà sulla strada giusta per rendere possibile un mondo diverso!"



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