Questo articolo è stato pubblicato sul numero 139/2009 di Terra
Della schiavitù abbiamo una visione romanzesca, a volte poetica, dall’epopea di Kunta Kinte al buon Venerdì di Robinson Crusoe, dal pantalone stracciato di Jim, amico inseparabile di Hukleberry Finn, alle catene di Massimo Decimo Meridio, in arte “il gladiatore”.
Tutt’al più ci viene insegnato che la schiavitù fu abolita nel 1862 da Abramo Lincoln, e ci commuoviamo a vedere Via col vento non per la vita disgraziata dei lavoratori neri ma per il sorriso e le lacrime dell’opportunista Rossella. Pochi si soffermano a pensare che la schiavitù è sopravvissuta alle galere romane e alle piantagioni di cotone, per giungere ai giorni nostri in forme altrettanto sordide e disumane.
Nel 2003 il Codice penale italiano ha introdotto il reato di riduzione in schiavitù, che comporta una condanna da otto a vent’anni di reclusione. Esso riprende la Convenzione di Ginevra del 1926, secondo la quale la riduzione in schiavitù in buona sostanza è il fatto di trattare un essere umano come un oggetto di proprietà. La Corte di Cassazione ha in seguito stabilito che lo sfruttamento di una persona più debole, assoggettata e costretta contro la sua volontà a forme di lavoro forzato, quali ad esempio prostituzione o accattonaggio, è equiparata alla riduzione in schiavitù, precisando che «la riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona».
La schiavitù oggi si presenta sotto varie forme, tutte legate dall’idea di costrizione: lavoro nero, accattonaggio, prostituzione, mendicità, furto, spaccio. Persino il lavoro svolto da domestiche e badanti nelle nostre case perbene può nascondere, in casi estremi, la tremenda realtà della schiavitù. Secondo la Direzione antimafia, tra il 2003 e il 2007 sono state 300 le vittime accertate di questo reato in Italia e circa 1000 persone sono state processate. In Francia e Spagna invece le vittime accertate negli ultimi anni sono oltre duemila. La schiavitù non è più quindi un fatto storico, legato a schemi sociali e culturali antichi, ma un fatto ricorrente di cronaca giudiziaria.
Il diritto internazionale si occupa da molto tempo del problema e da tempo si cerca di uniformare le legislazioni e le azioni dei Paesi interessati al fenomeno. Nelle scorse settimane l'amministrazione statunitense ha pubblicato la lista aggiornata dei Paesi sospettati di non fare abbastanza per combattere la tratta di esseri umani, un lungo elenco di nazioni che potrebbero venir colpite da sanzioni se non migliorano le loro performance in materia.
La lista dei “cattivi” iscrive 52 tra Paesi e territori, soprattutto in Africa, Asia e Medio Oriente, con molte new entries rispetto all’anno scorso: Angola, Bangladesh, Cambogia, Iraq, Libano, Nicaragua, Pakistan, Filippine, Qatar, Senegal, Emirati Arabi Uniti e persino le Antille Olandesi. L’aumento del 30 per cento rispetto alla lista precedente è motivato in gran parte dalla crisi economica, che colpisce non solo i supermanager di Wall Street ma anche e soprattutto gli strati più vulnerabili delle popolazioni, dalle periferie industriali ai deserti del sottosviluppo. Ed è proprio la povertà incalzante che sta spingendo milioni di persone in tutto il mondo a cercare soluzioni estreme per sopravvivere, venendo a patti con le reti criminali che ingrassano i canali di migrazione clandestina. Secondo il Segretario di Stato Hillary Clinton, «la pressione economica, soprattutto in questa fase di crisi globale, rende le persone più sensibili alle false promesse dei trafficanti».
Così, dalle spiagge della Libia ai cantieri di Dubai, dai bordelli di Bangkok alle imprese tessili dell’entroterra vesuviano, uomini e donne costretti dalla fame e dalla necessità si lasciano assoggettare e sfruttare, ridotti in catene immateriali che spesso hanno la forma del ritiro del passaporto. In alcuni luoghi, essere clandestino significa essere schiavo.
L’inclusione nella lista degli osservati speciali redatta dal governo Usa riguarda quei Paesi i cui governi non agiscono in maniera pienamente conforme ai requisiti minimi stabiliti dalla legge statunitense per la cooperazione nel quadro degli sforzi mirati a ridurre il traffico di esseri umani, soprattutto in materia di commercio del sesso, lavori forzati e reclutamento di bambini soldato. Un Paese presente per due anni di seguito nella lista può essere sottoposto a sanzioni quali il blocco degli aiuti non-umanitari e degli scambi commerciali con gli Usa, o l’opposizione a prestiti da parte del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale.
Attualmente sono 17 i Paesi colpiti da sanzioni. Alcuni tradizionali nemici degli Stati Uniti, come Cuba, Iran, Myanmar, Corea del Nord, Sudan e Siria, ma anche amici e alleati americani, come l'Arabia Saudita e il Kuwait.
Bruno Picozzi
lunedì 22 giugno 2009
Un quarto del mondo a rischio schiavitù
Labels:
Diritti umani
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