Questo articolo è stato pubblicato sul numero 118/2009 di Terra
Solo qualche mese fa lo Zimbabwe aveva toccato il fondo. I dipendenti pubblici non venivano pagati, si stampavano banconote da un trilione con cui non si poteva comprare nulla e del resto i negozi erano vuoti. La disoccupazione era al 94 per cento, la gente aveva fame, la politica era all’impasse e si rischiava la guerra civile.
A dire di tutti, colpa del padre-padrone Robert Mugabe che nel 1980 aveva preso in mano un Paese governato dai colonizzatori britannici quasi in regime di apartheid, ma con un’economia solida e prospera, tanto da essere chiamato la “Svizzera d’Africa”. In quegli anni tutta la ricchezza, il potere e la conoscenza erano nelle mani dei bianchi i quali, a misurare col metro del dollaro, facevano le cose per bene. Ciò che non seppero fare fu preparare una classe dirigente locale in un Paese multietnico e tribale. Il passaggio di potere fu invece di matrice violenta, una partita giocata col fragore delle armi.
Mugabe lottò contro i bianchi e vinse. Poi colpì le etnie rivali e vinse. E cominciò, pezzo a pezzo, a smantellare l’impalcatura ingiusta ma efficiente dello Stato coloniale per sostituirla con una struttura dittatoriale, altrettanto ingiusta e largamente inefficiente. Negli anni Novanta furono presi di mira i latifondisti bianchi. Nel 2000 partì la riforma agraria per espropriare le enormi aziende agricole e distribuire le terre tra i contadini neri. Ma la ridistribuzione delle terre non fu accompagnata da misure adeguate, l’economia crollò e la crisi cominciò a galoppare fino a provocare iperinflazione, povertà generalizzata e l’estinzione della valuta locale a fine 2008. Ora, dopo che il nuovo governo di unità nazionale ha superato la magica pietra miliare dei 100 giorni, le cose vanno un po’ meglio. Negli scaffali dei supermercati sono ritornate le merci e i prezzi dei prodotti essenziali stanno lentamente scendendo.
Il nuovo governo è riuscito a ottenere crediti per oltre un miliardo di dollari Usa, ha pagato i dipendenti pubblici e ha consentito agli insegnanti di tornare al lavoro, versando loro un assegno mensile di 100 dollari. Non è abbastanza per vivere ma è sempre meglio delle inutili banconote da un trilione di nulla che si stampavano prima. Secondo Jameson Timba, ministro delle telecomunicazioni, «il nuovo governo ha creato una speranza per il popolo dello Zimbabwe».
Ma il governo di unità nazionale è in fondo un matrimonio d’interesse emerso dal braccio di ferro successivo alle elezioni del 2008, quando l’Mdc, il Movimento per il cambiamento democratico del sindacalista Morgan Tsvangirai, ha vinto sia le presidenziali che le parlamentari. Mugabe non ha riconosciuto la sconfitta e un difficile accordo è stato mediato dalla Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale, organizzazione che promuove la cooperazione tra i 15 Paesi dell’Africa australe. Tsvangirai è diventato quindi primo ministro ma Mugabe continua in carica come presidente, e in fondo il potere è rimasto nelle mani dell’élite del suo partito, lo Zanu-Pf. Per questo i due litigano su ogni nomina o passaggio politico e continuano a negoziare all’infinito i criteri di spartizione del potere mentre dovrebbero discutere di ricostruzione e creazione di posti di lavoro.
Ora per la maggior parte le scuole pubbliche sono aperte, ma negli ultimi due anni 20mila insegnanti hanno lasciato il Paese. In alcune scuole 15 bambini condividono un solo libro di testo, in altre semplicemente non ci sono libri.
La situazione è molto fragile e la democrazia resta un miraggio. La mancanza di libertà di stampa e le violazioni dei diritti umani dominano la vita politica, molti giornalisti, avvocati, esponenti dell’opposizione e attivisti per i diritti umani lamentano di essere stati molestati dalla polizia. Le attività agricole continuano a essere occupate, mettendo in pericolo la sicurezza alimentare del Paese. Con poco cibo e ancor meno acqua impazza il colera. La recente epidemia è arrivata a 100mila infezioni e 4300 decessi.
Solo l'assenza di un'alternativa ha impedito finora la caduta del governo. L’Mdc ha dimostrato di mantenere gli impegni mentre lo Zanu-Pf è fuori controllo, ma tutti hanno troppo da perdere e dunque l’accordo di spartizione del potere verrà tirato e spinto da ogni lato fin quando non potrà funzionare.
Il Paese ha già ricevuto 2 miliardi di dollari in aiuti da banche e governi africani, ma ha bisogno ancora di oltre 8 miliardi di dollari. I donors occidentali non si fidano e rifiutano di fare credito al governo. Il segretario di Stato degli Usa, Hillary Clinton, sostiene che sarebbe meglio nell’interesse di tutti se Mugabe rassegnasse le dimissioni. Usa e Ue rifiutano di revocare le sanzioni mirate quali il divieto di viaggio e il congelamento dei beni imposte a Mugabe e all’élite dominante del suo partito. Anche il Fmi e la Banca mondiale hanno promesso sostegno, ma vogliono vedere un programma di governo credibile prima di distribuire grandi quantità di denaro contante.
Vedremo cosa succederà nei prossimi 100 giorni.
Bruno Picozzi
venerdì 29 maggio 2009
In Zimbabwe tutto bene, peggio non si poteva
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