Questo articolo è stato pubblicato sul numero 105/2009 di Terra
La linea Maginot fu forse la barriera più imponente mai concepita dall’uomo contro l’uomo. Fortificazioni, blocchi di artiglieria e bunker sotterranei dal Belgio meridionale al Mediterraneo, il muro di fuoco voluto dal ministro della guerra André Maginot negli anni Venti avrebbe voluto garantire l’integrità del suolo patrio anzitutto contro il minaccioso fascismo italiano. Inutilmente. In soli sei anni di governo Hitler avrebbe trasformato la Germania nella più potente macchina bellica mai vista. La Blitzkrieg tedesca aggirerà la linea a nord, attraverso il Belgio, annichilando la Francia in tre settimane.
La storia insegna che qualsiasi muro, per quanto solido, può spaventare il nemico per un po’, gli può rendere la vita difficile, ma il momento del confronto arriva sempre. La pace affidata alla passività di un recinto che respinge ed esclude non è vera pace ma solo la quiete che precede la tempesta. Solida è invece la condivisione di regole e principi che rendano possibile a tutti la convivenza. È ciò che in fondo significano il trattato di Roma e gli accordi di Schengen: un’Europa senza confini in cambio di pace. Ma poiché difficile è costruire concordia e compartecipazione mentre facile è versare cemento nelle casseforme, i governi continuano a separare i popoli dai popoli usando la forza bruta laddove meglio varrebbe usare il dialogo e l’ascolto.
E allora si costruiscono muri, di mattoni, di sabbia, di spine, purché solidi e impenetrabili. Per frenare l’immigrazione illegale dal Marocco, la Spagna ha circondato Ceuta e Melilla di un muro alto tre metri sormontato da filo spinato, facendo prosperare i mercanti di uomini capaci di permetterne l’attraversamento.
Barriere simili esistono tra il povero Botswana e il poverissimo Zimbabwe; tra la Malesia e il Brunei; tra gli Emirati Arabi Uniti e l’Oman. Migliaia di chilometri di barriere anticontrabbando: 1700 tra Turkmenistan e Uzbekistan; 1800 tra Arabia Saudita e Yemen; 1600 tra India e Birmania. Il Texas border fence tra Usa e Messico supera i 3mila km. Quello tra India e Bangladesh raggiunge i 4mila.
Poi vi sono le barriere di guerra. 21 km di muri separano i quartieri cattolici da quelli protestanti a Belfast, Irlanda del Nord. 740 km di filo spinato dividono in due il Kashmir, musulmani da un lato e indù dall’altro. 240 km di cemento armato segnano la tregua armata tra nord e sud della Corea. A Nicosia, capitale di Cipro, i muri tra greci e turchi stanno pian piano cadendo sotto il peso di accordi veri e duraturi.
Invece non ci sono accordi che fermino la costruzione degli oltre 700 km di barriera che chiudono Israele alla popolazione cisgiordana, attraverso Gerusalemme. Né rimuovere la gabbia completamente chiusa che circonda la Striscia di Gaza, anche dal lato mare. E nemmeno eliminare il berm, 2700 km di sabbia, pietra e mine antiuomo che dividono il Sahara Occidentale in due parti: da un lato città e terre coltivabili, occupate dal Marocco, dall’altro il deserto, lasciato ai saharawi del Polisario.
Bruno Picozzi
giovedì 14 maggio 2009
Muri della discordia
Labels:
Cultura di guerra,
Cultura di pace
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