giovedì 7 maggio 2009

Emirati Arabi Armati...

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 101/2009 di Terra

Secondo i dati pubblicati nell’annuario del Sipri, l’autorevole Istituto di ricerca per la pace di Stoccolma, la Cina si aggiudica il titolo di maggior importatore di armi convenzionali al mondo nel periodo dal 2003 al 2007, con il 12 per cento dello share mondiale, seguita dall’India con l’8 per cento. Nulla di straordinario per le due economie emergenti che da sole rappresentano oltre un terzo dell’umanità. Al terzo posto, con il 7 per cento dell’import d’armi al mondo, si piazzano a sorpresa gli Emirati Arabi Uniti, piccola federazione di sette monarchie dove vivono gli sceicchi delle favole, quelli la cui ricchezza non finisce mai e che possono pagarsi qualsiasi capriccio, costruirsi isole artificiali a forma di palma o farsi assegnare un Gran premio di Formula 1.

Una nazione governata da paperoni dove tutto ciò che è in vendita può essere comprato. E poiché, come si dice, tra gli adulti e i bambini l’unica differenza è la dimensione dei giocattoli, ecco che negli ultimi quattro anni gli Eau, dopo essersi dotati di una trentina di elicotteri d’assalto Apache, hanno acquistato ottanta caccia da combattimento F-16E dagli Usa e dalla Francia cinquanta Mirage 2000-9, meraviglie della tecnologia moderna, contribuendo all’aumento del volume complessivo del commercio di armi convenzionali in Medio Oriente di quasi il 40 percento nel periodo considerato. Una spesa militare che continua a crescere per la piccola nazione araba e che nel solo 2009 dovrebbe superare i 7 miliardi di dollari, cifra ragguardevole superiore al 3 per cento del prodotto interno lordo nazionale, in proporzione quasi il doppio dell’Italia, missioni all’estero comprese.

Prossimamente alla corte degli sceicchi arriveranno sistemi di difesa ultramoderni e 40 elicotteri d’assalto Black Hawk, per la modica cifra di 9 miliardi di dollari. Con questi ultimi investimenti la United Arab Emirates Air Force potrà contare su 368 apparecchi da combattimento e da trasporto in forza a un corpo di circa 1800 uomini. Eppure nel non lontano 2003 gli Emirati erano solo al quindicesimo posto tra gli importatori d’armi al mondo e schieravano una forza aerea molto meno minacciosa.

La verve di modernizzazione dell’apparato militare è ovviamente legata ai livelli record raggiunti dal prezzo del petrolio subito prima della crisi finanziaria mondiale, e vi è chi trovi normale che in tempi di vacche grasse si tenda a rinforzare l’apparato difensivo dello stato.

Ciononostante la performance da primato preoccupa non poco gli analisti, i quali sottolineano che gli Eau, avendo ormai appianato diplomaticamente le dispute territoriali col vicino Oman e con l’Arabia Saudita, si stanno dotando di tecnologie adatte a respingere minacce che provengono dal mare. Ultimo acquisto un pacchetto di 3,3 miliardi di dollari in missili terra-aria Patriot, gli stessi che durante la guerra del Golfo abbattevano gli Scud iracheni lanciati su Israele.

Gli Eau si trovano esattamente di fronte alla costa iraniana, e difatti disputano con la teocrazia sciita di Teheran la sovranità su alcune isole nel Golfo Persico, proprio all’entrata dello stretto di Hormuz. Una vicinanza non rassicurante vista la gittata dei missili terra-terra iraniani ampiamente capaci di colpire sia le città che i ricchi pozzi petroliferi degli Emirati.

Anche per questo la controversia sullo sviluppo della tecnologia nucleare fortemente voluta dagli ayatollah rischia seriamente di trasformarsi in conflitto armato preventivo. I conservatori musulmani degli Eau sono infatti da decenni tra i più fedeli alleati degli Stati Uniti d’America, dai quali sono considerati un territorio altamente importante dal punto di vista strategico. La base aerea di al-Dhafra è ampiamente usata dall’aeronautica statunitense per attività militari nel vicino Iraq. Vi stazionano anche 10 Tornado italiani e 4 Mirage francesi. In una base vicina vi sono forze canadesi.

In ballo i milioni di barili di petrolio che ogni giorno attraversano lo stretto di Hormuz alla volta dei grandi consumatori, oltre il 40 per cento dell’approvvigionamento petrolifero mondiale e la quasi totalità della produzione dei Paesi del golfo. Se l’Iran dovesse tentare, come minacciato, di chiudere lo stretto grazie anche alla sovranità de facto sulle isole contestate, sarebbe una catastrofe non da poco per il prezzo del barile sui mercati internazionali.
Per questo motivo navi statunitensi e britanniche incrociano senza sosta nella zona.

A questo quadro non confortante si unisce ovviamente la lunga lista di tensioni che attraversano il Medio Oriente in tutte le direzioni, per cui l’attuale corsa agli armamenti nella regione, sebbene non raggiunga le punte segnate alla metà degli anni Ottanta, è un fattore di destabilizzazione che non può essere sottovalutato.

Da un punto di vista regionale, gli Eau da soli contano per il 34 per cento dell’import di armi convenzionali. Seguono Israele con il 22 per cento e l’Egitto con il 14 per cento. Il pericoloso Iran invece arriva appena al 5 per cento dello share.

Bruno Picozzi


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