mercoledì 29 aprile 2009

Centro Asia, un vuoto vertice sulla crisi idrica

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 95/2009 di Terra

Si sono incontrati ieri 28 aprile ad Almaty i presidenti di Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan. Un incontro al vertice per affrontare insieme le tante problematiche specifiche della regione centroasiatica, dalla sicurezza energetica alla cooperazione con gli Stati uniti d’America, i cui cargo con gli approvvigionamenti destinati alle truppe combattenti in Afghanistan usano attraversare gli spazi aerei e terrestri della zona.

In cima all’agenda la spartizione delle scarse risorse idriche regionali, punto chiave delle relazioni diplomatiche tra i cinque stati ex sovietici. Relazioni non idilliache, vista la rarità degli incontri sia bilaterali che multilaterali, a dispetto della prossimità geografica e della quantità di interessi convergenti.

L’acqua è comunque il primo e più importante elemento di contenzioso, essendo tutta la regione stepposa a nord dell’Afghanistan una tra le più aride del mondo. Durante l’era sovietica un accordo regolava gli scambi di risorse, acqua ed energia tra i cinque stati, ma il vecchio sistema non è più in atto. I vari corsi d’acqua nascono dalle montagne che coprono gran parte di Tagikistan e Kirghizistan. Lì vengono incanalati e sbarrati per produrre energia, necessaria per combattere gli inverni freddissimi della zona, e per costituire una risorsa continua a beneficio delle popolazioni a monte. I due stati posseggono in questo modo l’80 per cento delle risorse idriche di tutta l’area.
A valle giacciono invece Kazakistan e Turkmenistan che, pur affacciandosi sul Mar Caspio, hanno territori troppo vasti per poter contare su quest’unica fonte di approvvigionamento. L’Uzbekistan è invece completamente privo di sbocchi e può dissetarsi solo grazie ai pochi fiumi che lo attraversano.

L’incontro dei cinque presidenti ha fatto nascere grandi aspettative, anche se tutti sono consapevoli che sul tavolo non vi sono problemi risolvibili in poco tempo. «La mancanza di acqua, risorsa che in futuro potrebbe essere più richiesta del petrolio e del gas naturale, è già diventata una realtà in molte province interne del continente eurasiatico», affermava lo scorso 23 aprile una nota della Ong canadese Global research.

Un primo vertice già ebbe luogo nel 1994, quando i cinque stati si impegnarono a destinare l’1 per cento del Pil alla salvaguardia del mitico lago d’Aral. Stretto tra Kazakistan e Uzbekistan, una cinquantina di anni fa questo era il quarto bacino al mondo e lo si considerava una inesauribile risorsa di acqua nel centro dell’Asia. Ma dal 1960 in poi ha visto il suo volume ridursi fino al 70 per cento e più della quantità originaria a causa dei prelievi massicci per l’irrigazione delle immense monocolture di cotone, fiore all’occhiello dell’economia tardosovietica. Da qui giungono le enormi quantità di materia grezza che vengono poi lavorate in Cina e trasformate nei tessuti che vestono a basso costo tutti noi occidentali e i popoli di mezzo mondo.

Oggi l’interminabile bacino idrico di Aral è solo un ricordo. Al suo posto vi sono tre laghi di dimensioni decisamente inferiori, quasi privi di flora e di fauna a causa dell’altissima concentrazione salina e dello straordinario inquinamento dovuto alle attività industriali, militari e agricole. Una catastrofe ambientale cui il governo del Kazakistan sta cercando di porre rimedio quanto possibile alimentando il Piccolo Aral, il più settentrionale dei tre bacini superstiti, per diminuirne la salità.

Il più povero e popoloso Uzbekistan si consola invece con il titolo di massimo esportatore di cotone al mondo, ma è ovviamente una vittoria di Pirro. Le comunità che una volta prosperavano sulle coste del lago, grazie alla pesca e alla fertilità del terreno, oggi muoiono di strane incurabili malattie, e l’approvvigionamento idrico del Paese è affidato agli accordi internazionali. Se ad esempio il Kirghizistan non rinuncerà ai già progettati sbarramenti idroelettrici a monte dei corsi d’acqua, l’Uzbekistan a valle si troverà in balia delle regolazioni di flusso idrico gestite dallo stato confinante.

Ecco perché il vertice nella metropoli kazaka di Almaty ha in gioco la stabilità geopolitica della regione, e di questo i leaders sono perfettamente consapevoli. Essi guidano democrazie non abbastanza consolidate da poter reagire pacificamente ad una crisi idrica e inoltre condividono la presenza di forti minoranze etniche, 15 per cento di Uzbeki in Kirghizistan, 5 per cento di Tagiki in Uzbekistan e via dicendo. E una gran quantità di russi dappertutto, generalmente la classe media.

La Russia da sempre guarda ai cinque stati in questione come parte della sua sfera di influenza. Mosca quindi ha grande interesse a giocare un ruolo in questi vertici regionali, che siano incentrati su gas e petrolio, sui tracciati degli oleodotti o anche sull’acqua. Il fatto che nessun rappresentante russo sia stato invitato all’incontro di Almaty è quindi un segno evidente che gli equilibri politici stanno cambiando, anche se al momento nessuno sa verso quale direzione.

Bruno Picozzi


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