Questo articolo è stato pubblicato sul numero 44/2009 di Notizie Verdi
È una guerra sconosciuta quella che dal 1969 insanguina la parte meridionale delle Filippine. Oltre 120mila morti e 2 milioni di profughi non sono bastati a farne un conflitto degno di attenzione tanto che nemmeno i filippini sanno davvero cosa succede nelle foreste a sud, in Mindanao, dove la vita della gente moro è tanto diversa da quella che scorre frenetica nella popolosa Manila.Per questo non fa notizia che il governo decida di chiudere i campi allestiti per dare soccorso ai profughi interni (IDPs, internally displaced people) che negli ultimi mesi si sono riversati fuori dalle zone dove infuriano i combattimenti tra truppe governative e separatisti musulmani del Milf (Moro Islamic Liberation Front).
Le autorità sostengono che l’obiettivo è far tornare i profughi nelle loro comunità, un benevolo ritorno a casa per migliaia e migliaia di contadini per i quali da sempre la guerra è la normalità e la povertà è la regola. Dicono che in questo modo sarà più facile per le agenzie governative prendersi cura delle popolazioni colpite dai combattimenti. Polizia ed esercito provvederanno alla sicurezza dei profughi nel loro viaggio di ritorno. Come se fosse facile prendersi cura di oltre 112mila contadini poveri che da sei mesi fuggono dai bombardamenti. Come se tornare a casa fosse una parola, un concetto, un’idea, non una realtà che ha bisogno di case ancora in piedi, di villaggi non abbandonati, di campi da coltivare, di una rete sociale, tutte cose che non esistono più perché la guerra è passata come un tifone e ha distrutto tutto.
Di tutto questo poco sa la maggioranza cattolica e occidentalizzata del Paese che si oppone alla minoranza musulmana tradizionalista, i moro, così chiamati dagli spagnoli a causa della pelle scura. Una minoranza che lotta per la sua identità culturale fin dai tempi della colonizzazione, nel Cinquecento. Non è mai stata solo una questione di religione perché tutto il sostrato culturale, dalla lingua all’organizzazione civile, fa dei moro un popolo a parte che mai accettò altre autorità all’infuori delle proprie.
Il processo di indipendenza delle Filippine non tenne conto di queste diversità e per questo le tensioni montate nel corso dei decenni sfociarono in una guerra secessionista alla fine degli anni Sessanta.
I combattenti moro lottano per avere pieno controllo delle terre ancestrali, quelle dove ancora il loro popolo vive in maggioranza rispetto agli immigrati cristiani dal nord del Paese. Il governo filippino, forte del sostegno militare americano, non ha al contrario nessuna intenzione di cedere il controllo delle vaste risorse naturali del Mindanao. Chiudere i campi profughi è un atto di forte pressione politica sui vertici del Milf per sottrargli consenso tra le popolazioni locali e far sì che accettino un’autonomia fittizia fatta solo di parole e definizioni, in alternativa ad una guerra interminabile di cui, ormai da decenni, i contadini moro sono prigionieri e vittime.
Bruno Picozzi
venerdì 27 febbraio 2009
Tornare a casa senza avere una casa
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Filippine (Mindanao)
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