lunedì 2 marzo 2009

Khmer rossi, è l’ora della lady di ferro

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 45/2009 di Notizie Verdi

Alla sbarra la lady di ferro dei Khmer rossi. Al processo per genocidio davanti a un tribunale internazionale iniziato contro il regime del Partito comunista della Cambogia, siede al banco degli imputati Ieng Thirith, 76enne cognata di Pol Pot. La donna, ex ministro degli Affari sociali, è in carcere dal novembre 2007 insieme al marito, l’ex ministro degli Esteri Ieng Sary. «Sono qui per dire la verità, non ho fatto nulla di male», ha dichiarato davanti al giudice, e tentando di scaricare la responsabilità su uno dei suoi quattro coimputati, Nuon Chea, ideologo dei Khmer rossi ed ex capo di Stato. «Ogni cosa era decisa da Nuon Chea - ha affermato Ieng Thirith -. Io ho fatto del mio meglio per la nazione e per la mia patria».

Sono passati dieci giorni dall’inizio dello storico processo che dovrà giudicare i responsabili ancora in vita del regime cambogiano Khmer, considerati colpevoli del massacro di quasi un terzo dell’intera popolazione negli anni Settanta. Trent’anni fa fu il Vietnam a mettere fine all’utopia agraria comunista dei Khmer rossi, alimentata dal sangue e fortemente appoggiata all’epoca dalla Cina e dalle sinistre occidentali. Nel gennaio 1979 gli stessi vietcong che qualche anno prima avevano sconfitto il gigante americano attaccarono la Cambogia e, al fine di dimostrare lo spirito umanitario dell’invasione, misero in piedi in quattro e quattr’otto dei tribunali per giudicare il dittatore Pol Pot e i vertici Khmer in fuga. Molti giudicarono il processo una mascherata per coprire il tentativo di annessione della vicina Cambogia. Presso le corti giudicanti le vittime furono ascoltate, le testimonianze messe a verbale e varie condanne furono emesse in contumacia.

Ci furono guerra, guerriglia e terrorismo. Giunsero poi gli accordi di Parigi e le truppe dell’Onu nel 1991, insieme con il ritorno dall’esilio del re Sihanouk. Vennero le elezioni e oltre dieci anni di negoziati per l’istruzione di un vero tribunale internazionale. Pol Pot, il dittatore, morì nell’attesa, agli arresti domiciliari. Solo nel 2006 si raggiunse un difficile accordo tra l’Onu e il governo cambogiano sul luogo e le modalità di azione della corte. Un altro anno è servito per stabilire il regolamento del tribunale, in parte affidato alle leggi nazionali e in parte al diritto internazionale. Sono seguiti infine 5 mandati d’arresto per altrettanti notabili Khmer, e dopo decenni di negoziazioni e ostruzionismo degli accusati e nonostante i problemi tecnici, legali e di budget, è finalmente iniziato il processo.

Oggi quei funzionari siedono al banco degli imputati, accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Sono Nuon Chea, ministro della Propaganda Khmer e braccio destro di Pol Pot; Ieng Sary, ministro degli Esteri e terzo uomo del regime; Khieu Samphan, politico di spicco prima, durante e dopo il regime comunista, presidente del Paese al tempo dei massacri; Ieng Thirith, moglie di Ieng Sary e ministro degli Affari sociali del regime; Kaing Guek Eav, direttore del famigerato centro di tortura S21, dove morirono oltre 16mila persone. Fino a oggi, tra gli accusati solo quest’ultimo si è dichiarato colpevole.

Bruno Picozzi


Nessun commento: