venerdì 10 aprile 2009

Il Mend non firma il rapimento dell'Italiano

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 80/2009 di Terra

Rapito in Nigeria a scopo di riscatto l’ingegnere Giuseppe Canova, al lavoro da anni nel Paese africano presso un’azienda italiana. La notizia nella notizia è che i responsabili sono banditi comuni e non i guerriglieri del Mend, Movimento per l’emancipazione del delta del Niger, che fino ad oggi non hanno mai rapito lavoratori stranieri a scopo di lucro ma per fare pressione sulle multinazionali del petrolio, con le quali l’ingener Canova non ha nulla a che fare.

Il Mend chiede per le comunità locali che vivono in estrema povertà e senza servizi di base una maggiore partecipazione agli enormi guadagni derivanti dall’estrazione del petrolio. Le comunità dovrebbero anche ricevere forme di compensazione per il grave inquinamento che ne ha distrutto il territorio azzerando le fonti tradizionali di sostentamento basate su agricoltura e pesca. Il Mend chiede inoltre la smilitarizzazione del territorio per mettere fine ai continui abusi sulle popolazioni locali da parte di militari e paramilitari agli ordini delle multinazionali e il rilascio dei prigionieri politici. Il tutto dovrebbe realizzarsi in un accordo di pace omnicomprensivo sotto la supervisione di mediatori internazionali.

A fronte di queste richieste il presidente nigeriano Yar’Adua ha offerto solo amnistia e riabilitazione a tutti quei gruppi che rinunceranno alla lotta armata, certo con l’intenzione di indebolire le fila dei ribelli offrendo una scappatoia alle frange più moderate o ai singoli militanti che sperano di rifarsi una vita magari nei ranghi della polizia governativa.

Ma la forza e gli obiettivi dei gruppi armati rappresentano un grande pericolo per il governo. Gli attacchi alle installazioni petrolifere e i rapimenti di lavoratori stranieri hanno infatti causato negli ultimi tre anni la riduzione del 25% delle esportazioni nigeriane di greggio, un colpo devastante all’economia del Paese. I giganti del petrolio sono in difficoltà a causa della guerriglia e, nonostante il supporto concreto dei governi del G8, Shell, Exxon e Chevron hanno dovuto allontanare dalla regione la maggior parte del personale straniero. Anche l’italiana Eni non se la passa bene.

Si aggiungano i guai con la giustizia internazionale che, sotto pressione delle organizzazioni di difesa dei diritti umani, si interessa da tempo di quel che succede nella regione. Un processo si è già aperto negli Usa contro la Shell per l’uccisione di nove attivisti del popolo Ogoni, avvenuta nel 1995. Un’altra inchiesta riguarda l’Eni per la corruzione di funzionari pubblici e burocrati nigeriani al fine di garantirsi la costruzione di una serie di impianti di estrazione e trasporto di gas liquefatto. Le indagini toccano addirittura l’ex vicepresidente Usa Dick Cheney, all’epoca dei fatti manager del colosso petrolifero Halliburton.

Bruno Picozzi


Nessun commento: