mercoledì 15 aprile 2009

Tigri tamil pronte alla tregua con il governo

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 83/2009 di Terra

L'esercito di liberazione delle Tigri tamil, è pronto a un «incondizionato e permanente cessate il fuoco». Nel comunicato emanato ieri l’Ltte, il Liberation tigers of tamil ealam, da anni in lotta contro le autorità di Colombo, denuncia che, nonostante la tregua di due giorni imposta dal presidente Mahinda Rajapakse, l’esercito ha continuato a bombardare postazioni tamil e a colpire civili e villaggi. Le Tigri chiedono dunque un cessate il fuoco e ettivo, che possa portare a reali negoziati di pace e che consenta agli aiuti umanitari di raggiungere le zone di guerra.

in coincidenza con le celebrazioni del nuovo anno singalese avrebbero dovuto permettere la fuga alle decine di migliaia di civili intrappolati in un fazzoletto di foresta sulla costa nord del Paese con quel che resta del Liberation Tigers of Tamil Ealam, Ltte. Purtroppo solo in pochi sono riusciti a lasciare la zona di pericolo, trovando finalmente acqua, cibo e medicine presso le strutture umanitarie.

Sembra confermato che i combattenti tamil bloccano l’esodo dei civili e arruolano a forza i bambini, voci ripetutamente smentite dal Ltte che accusa invece l’esercito di sparare sui villaggi bersagliando i civili. In realtà la sensazione è che, nonostante le smentite reciproche, stia avvenendo di tutto e senza riguardo per nessuno. Nel 2005, in campagna elettorale, Rajapakse aveva promesso la fine delle tigri tamil e negli ultimi due anni le truppe governative hanno effettivamente riconquistato gran parte dei territori controllati dal Ltte. Da novembre scorso, con una rapida avanzata costata migliaia di morti, l’esercito ha circondato i ribelli e tagliato loro i rifornimenti via terra e via mare. I separatisti adesso sono decisamente messi all’angolo, caduti a centinaia nelle ultime settimane, e il presidente ha ordinato la resa incondizionata ai gruppi superstiti per evitare l’attacco finale.

Ma negli anni le tigri hanno dato prova di inaspettata vitalità essendo una forza disciplinata, organizzata e bene armata, grazie ai cospicui finanziamenti che arrivano dall’enorme comunità tamil sparsa nel mondo. Risale all’ottobre scorso l’ultimo attacco aereo sulla capitale Colombo. E pur essendo rimasti in poche migliaia, i combattenti potrebbero spargersi nelle foreste o fuggire in India e ricompattarsi col tempo. Alcuni analisti li considerano persino in grado di aprire un secondo fronte nel sud del Paese, anche se l’obiettivo unico della lotta rimane la creazione di uno stato indipendente nelle zone a maggioranza tamil nel nordest dell’isola. Dopo ventisei anni di guerra, 70mila morti e un milione di sfollati, non è ancora detta l’ultima parola.

Lo Sri Lanka è un paese multi-etnico grande quanto Sicilia, Sardegna e Corsica messe insieme, con una popolazione di 18 milioni di persone. Singalesi e tamil parlano lingue diverse e hanno culture diverse; diversi sono abitudini, stili di vita e attività economiche; i primi sono in prevalenza buddisti mentre i secondi sono per la maggior parte indù o cattolici. Due popoli diversi che vivono nella stessa isola.

Per qualche ragione i colonizzatori inglesi privilegiarono i tamil per i quadri amministrativi, ragione per la quale al momento dell’indipendenza, nel 1948, scoppiò il risentimento dei singalesi che occuparono tutta l’organizzazione dello stato, emarginando e discriminando l’etnia avversaria. In teoria le due comunità hanno oggi uguali diritti e doveri, fino al punto che la lingua tamil è lingua ufficiale dello stato, sebbene parlata solo da un quarto della popolazione. Essa viene usata per l’insegnamento, per la giustizia e per tutti i documenti ufficiali. Eppure vi è per i tamil un grave problema di accesso al lavoro e all'istruzione, una mancanza di partecipazione politica e di presenza a livello decisionale. Che sia il risultato di un progetto politico o meno, in Sri Lanka tutti sono uguali ma i tamil arrivano sempre secondi. Da questa esclusione nasce la guerra che da decenni insanguina l’isola.

Il clero cattolico locale di recente ha inviato una lettera al Segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, chiedendo di fermare «gli indiscriminati bombardamenti su insediamenti civili» che «non risparmiano nemmeno scuole, ospedali, luoghi di culto e altri obiettivi civili». Nella lettera viene espressa la seguente motivazione: «Alla radice di questa guerra vi è la strutturale ingiustizia e la veemente negazione dell'uguaglianza e della dignità della popolazione tamil dello Sri Lanka, perpetrate per decenni dai governi che si sono succeduti in Sri Lanka guidati dalla maggioranza singalese».

Sostegno alla causa tamil è venuto da manifestazioni in tutto il mondo. La settimana scorsa oltre 100mila dimostranti hanno protestato a Londra davanti Westminster causando scontri con la polizia e arresti. Manifestanti tamil hanno anche fatto irruzione nell’ambasciata dello Sri Lanka a Oslo, in Norvegia, causando seri danni.
Il governo singalese ha quindi chiesto alla Norvegia di abbandonare il quartetto di mediazione che comprende anche Usa, Regno Unito e Giappone. Una mossa volta a indebolire ulteriormente i canali diplomatici del Ltte, già considerato un’organizzazione terrorista in Usa, India e Europa.

Ora tutti guardano con preoccupazione alla fine della tregua, quando migliaia di civili si troveranno tra due fuochi. L’unica cosa certa al momento è che le tigri non hanno nessuna intenzione di deporre le armi.

Bruno Picozzi


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