lunedì 30 giugno 2008

I ribelli ivoriani preparano l'offensiva contro i dissidenti


ABIDJAN, 29 giugno (Reuters) – Un portavoce delle forze ribelli che sostengono il processo di pace in Costa d'Avorio (il più grande produttore di cacao al mondo) ha affermato che i ribelli hanno portato avanti una contro-offensiva domenica scorsa per riprendere il controllo di due città nella zona occidentale della ‘cintura del cacao’, occupata da seguaci di un rinnegato.

Un giornalista della televisione locale ha dichiarato che tre civili e un ribelle dissidente sono morti in scontri sabato tra ribelli e dissidenti in Seguela, più di 400 km (248,5 miglia) a nord-ovest della strada principale verso la città di Abidjan. (
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Scontri sono stati anche segnalati in un altro villaggio occidentale, Vavoua, dove i militanti dissidenti si erano ribellati contro l’allontanamento il mese scorso del loro comandante militare Kone Zakaria da parte dei capi ribelli delle Forze Nuove che controllano il nord.

"Questa mattina la situazione è tranquilla, non vi sono stati scontri durante la notte," ha detto alla Reuters il portavoce delle Forze Nuove Issa Flepy.

I ribelli delle Forze Nuove, che approvano un processo di pace sostenuto dalla comunità internazionale, erano in attesa di rinforzi prima rispondere agli attacchi.

"I rinforzi dovrebbero arrivare oggi e dopo si avvierà la contro-offensiva di riprendere il controllo della città", ha detto il portavoce.

Secondo la Reuters, alcuni testimoni hanno visto veicoli militari andare verso Seguela.

La situazione generale

Fino al 1990, la Costa d'Avorio è stata un modello di pace e di prosperità, essendo il più grande produttore di cacao al mondo e un grande esportatore di caffè. Le sue fertili terre a sud-ovest hanno attirato gli agricoltori dai paesi confinanti e dal nord del Paese.

Ma da quando i prezzi del cacao sono scesi, a metà degli anni ‘80, l'economia è calata gradualmente, portando alla luce le tensioni tra i lavoratori immigrati dall’estero, gli Ivoriani del nord e quelli nativi del sud.

Queste tensioni hanno prodotto una escalation che ha portato ad una ribellione totale contro il governo nel 2002, una guerra civile che ha diviso il paese a metà, con le Forze Nuove a controllare il nord e il governo del presidente Laurent Gbagbo a sud. Una zona cuscinetto è stata creata tra le due regioni, pattugliata da soldati francesi e delle Nazioni Unite. Le due parti hanno firmato un accordo di pace e riunificazione nel mese di marzo 2007.

Gli scontri recenti nella parte occidentale si sono verificati quando la coalizione di governo di Gbagbo, che ora comprende i ribelli delle Forze Nuove, a cominciato a portare avanti i preparativi per le elezioni nazionali del 30 novembre con lo scopo di riunificare finalmente il Paese.

Gbagbo e il suo primo ministro, il leader delle Forze Nuove Guillaume Soro, nominato nell'ambito degli accordi di pace del 2007, si sono impegnati a tenere elezioni pacifiche.

Sia l’esercito governativo che i ribelli delle Forze Nuove hanno ritirato i propri soldati dalle posizioni di prima linea nel quadro di una smobilitazione pre-elettorale e di un processo di disarmo che mira a stabilire una nuova unità delle forze armate nazionali sotto gli accordi di pace.

Ma negli ultimi mesi ci sono state alle volte violente proteste tra le fila dei ribelli da parte di combattenti che lamentano di non aver ricevuto la ricompensa in denaro promessa per la smobilitazione.


Tratto da:
Ivorian rebels prepare offensive against dissidents di Ange Aboa
e Ivory Coast unrest
su
Reuters AlertNet, Regno Unito, 29 giugno 2008

Articoli di riferimento:
Scheda sul conflitto in Costa d'Avorio



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domenica 29 giugno 2008

Nove anni dopo Seattle


Nel 1999 a Seattle cominciò una rivolta morale. Dopo l'attacco contro il summit del WTO milioni di persone in tutto il mondo dichiararono che il globalismo capitalista è un fattore di devastazione psichica e ambientale. Per due anni il movimento globale attivò un efficace processo di critica delle politiche neo-liberiste, aprendo la strada alla speranza di un cambiamento radicale.

Poi, dopo la battaglia di Genova cambiò lo scenario narrativo di fondo e la guerra conquistò il posto centrale della scena. Il movimento non fermò allora la sua azione, ma la sua efficacia fu rapidamente ridotta a zero, come dimostrò l'immensa manifestazione mondiale del 15 febbraio del 2003, che non riuscì a fermare la guerra criminale lanciata dai peggiori assassini che la storia umana conosca.(
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Il movimento non riuscì a diffondersi allora nella vita quotidiana della società di tutto il mondo, non riuscì a dar vita a un processo di autorganizzazione del lavoro tecnico-scientifico.

Sapporo e il fallimento delle politiche neoliberiste

Oggi, nove anni dopo Seattle, mentre i padroni del mondo si riuniscono a Sapporo per prendere atto di un fallimento colossale delle loro politiche, ma anche per ribadirle nonostante tutto, dobbiamo inventare una nuova strategia per il movimento, anzi forse due.
Una strategia (anzi forse due) che parta dalla consapevolezza che il potere globale è oggi fondato sulla guerra, e che una dittatura militare sta prendendo forma nel mondo: una dittatura le cui radici sono profonde nei processi di produzione, nella cultura razzista e nell'odio interetnico e inter-religioso che i papi e gli ayatollah hanno seminato nella mente spaventata e ignorante della maggioranza dell'umanità.

La politica neoliberista ha distrutto l'idea stessa di una sfera pubblica nel campo dell'economia e in quello dei media. Ha privatizzato ogni frammento della produzione, della comunicazione, del linguaggio e perfino dell'affettività. La competizione ha preso il posto della solidarietà in ogni aspetto della vita e il crimine è divenuto la forma prevalente della relazione economica. La guerra globale è il compimento naturale di questa mutazione criminale del modo di produzione capitalista. E la devastazione sistematica dell'ambiente fisico e psichico è l'effetto naturale di questa mutazione.

L'impero del Caos

Le forze democratiche si aspettano qualche sollievo dalla possibile vittoria di Barack Obama alle prossime elezioni americane. Ma vediamo bene il paradosso della situazione. Gli Stati Uniti d'America hanno perduto la loro egemonia militare, perché il fanatismo religioso, il fondamentalismo islamico, il nazionalismo russo risorgente, e il terrore sono strategicamente vincenti nel territorio euro-asiatico. Dall'Afghanistan al Pakistan dall'Iraq all'Iran al Libano, dal Caucaso all'Ucraina, l'egemonia occidentale sta perdendo terreno. Inoltre, la crisi finanziaria apre la strada a un collasso del potere americano, e la recessione inflattiva che si sta diffondendo dovunque produce disordine e sfiducia nelle società occidentali, e queste, prive di una prospettiva egualitaria, si trasformano in razzismo.

Nel decennio della presidenza Clinton era possibile parlare (seppure mai in maniera molto convincente) di un Impero americano, ma dopo l'inizio della guerra infinita, coloro che avevano parlato di impero americano hanno dovuto parlare di un colpo di stato all'interno dell'impero. Se le cose sono così dobbiamo ammettere che questo colpo di stato ha ottenuto il suo scopo. I guerrafondai hanno perso le loro guerre (la guerra in Iraq è stata un fallimento completo, la guerra in Afghanistan si trascina verso la sconfitta, la guerra in Iran non si vincerà mai). Cionostante hanno vinto la guerra per il profitto da petrolio e per un aumento della spesa militare, e quel che è peggio hanno vinto la loro guerra contro la pace e contro l'umanità.

Oggi, mentre alla Casa Bianca si può attendere che entri una persona di sentimenti democratici, l'Impero americano cade a pezzi e il Caos è l'unico Imperatore del mondo.

Una strategia del monastero felice

Che possiamo fare in un panorama distopico di questo tipo? Quale strategia possono elaborare le donne e gli uomini che vogliono la pace e la giustizia? Forse non una strategia è quello che ci occorre, ma due. Nessuna speranza è in vista, dal momento che la svolta criminale del capitalismo sta producendo effetti irreversibili nella cultura e nel comportamento della società planetaria, dividendola in tre sezioni prive di ogni universalità e di ogni sentimento solidale.

Un terzo dell'umanità è un pericolo di vita: la fame si sta diffondendo come mai prima. La crisi energetica diffonde aggressività e inflazione. La guerra devasta le case e le terre.

Un terzo dell'umanità vive in condizioni di sfruttamento semi-schiavistico, con orari di lavoro che non hanno più limiti e con salari decisi unilateralmente dai capitalisti. Ma sono talmente terrorizzati dalla precarietà e dalla paura di finire nell'abisso della fame e dell'emarginazione che sono costretti ad accettare qualsiasi ricatto.

Un terzo dell'umanità è armata fino ai denti per difendere i suoi livelli di vita e di consumo contro l'esercito dei migranti che premono ai confini della società occidentale.
Io penso che dobbiamo ritirarci ed evitare ogni scontro, ogni conflitto che sarebbe oggi inevitabilmente perdente. Dobbiamo creare una sfera autonoma e sicura per quella piccola minoranza della popolazione del mondo che vuole salvare l'eredità della civilità umanista e le potenzialità dell'Intelletto generale, che sono in serio pericolo di una militarizzazione definitiva.

Dobbiamo preparaci a una lunga fase di barbarizzazione e di violenza. Nel primo decennio del secolo siamo entrati in un'era che assomiglia a quella che in Europa chiamiamo Medio Evo. Mentre il territorio era devastato da invasioni e l'eredità delle civiltà antiche era distrutta, gruppi di monaci salvarono la memoria del passato e soprattutto i semi di un possibile futuro.

Noi non possiamo sapere se l'epoca barbarica durerà per decenni o per secoli, nè possiamo dire se l'ambiente fisico e psichico del pianeta sopravviverà all'attuale devastazione criminal-capitalista. Ma sappiamo di sicuro che non abbiamo né le armi per affrontare i distruttori, e dunque dobbiamo salvare noi stessi e la possibilità di un futuro umano.

L'imprevedibile

Questa è la strategia che io propongo. Ma una sola strategia non è sufficiente quando le cose sono caratterizzate da un indeterminismo profondo e le prospettive sono così imprevedibili come nel momento attuale. Non possiamo al momento dire quali conseguenze produrrà la fine dell'egemonia americana, nè quali sviluppi avrà la guerra che si svolge dal Pakistan alla striscia di Gaza. E non possiamo immaginare quali effetti produrrà la guerra civile a bassa intensità che si sta combattendo in Europa per motivi etnici, né quali conseguenze produrrà la recessione che corrode l'economia e la sopravvivenza dei lavoratori occidentali. Per il momento abbiamo assistito ad un'evoluzione razzista e fascista della cultura operaia in Europa, ma domani chi lo sa.

Bene, io penso che mentre ci ritiriamo nei nostri monasteri non dovremmo dimenticare di prepararci per un improvviso rovesciamento delle prospettive.

Dobbiamo essere pronti alla prospettiva di un lungo periodo di sottrazione monastica, ma anche alla prospettiva di un improvviso rovesciamento del panorama politico globale.

Provate a immaginarvi la rivolta degli operai cinesi contro il capitalismo nazional-socialista, o l'esplosione di una aperta guerra razziale in Europa, il collasso del sistema militare americano incapace di far fronte a una nuova ondata di terrorismo. Provate a immaginare il collasso apocalittico degli eco-sistemi di zone nevralgiche del mondo.

Questi scenari sono perfettamente realistici nel prossimo futuro e potrebbero provocare un mutamento radicale dell'atteggiamento politico della maggioranza della popolazione mondiale. Dobbiamo essere preparati a questo, dobbiamo preparare la narrazione per un simile rovesciamento, e soprattutto dobbiamo creare l'esempio vivente di un altro stile di vita che non sia basato sul consumismo e sull'ossessione della crescita e sulla nevrosi della competizione.

Il nostro compito centrale nel prossimo futuro è la ridefinizione dell'idea stessa di benessere, di ricchezza e di felicità. Il nostro compito è la creazione di monasteri in cui si sperimenti il benessere frugale. Critica della naturalizzazione del paradigma della crescita, elaborazione culturale di un nuovo paradigma basato sull'abbandono dell'ossessione della crescita, finalizzato alla frugalità, alla produzione ad alta intensità di sapere, alla solidarietà, e alla pigrizia, e al rifiuto della competizione.

Il capitalismo ha identificato il benessere e l'accumulazione, la felicità e il consumismo la ricchezza e lo spreco delle risorse naturali e psichiche.

Dobbiamo diventare l'esempio vivente di uno stile di vita in cui il benessere sia unita alla frugalità, la felicità alla generosità, e la produzione sia unita con la pigrizia e il dolce far niente.

La ricchezza non ha nulla a che fare con il consumo compulsivo e con l'accumulazione ossessiva.


Tratto da:
Nove anni dopo Seattle di Bifo
su
Cani Sciolti, Italia, 28 giugno 2008

Articoli di riferimento:
Il “Popolo di Seattle”

Le risposte al popolo di Seattle


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Rivolta in Cina per la morte di una adolescente


Sabato 28 giugno una folla inferocita ha attaccato alcuni edifici governativi nel sud-ovest della Cina, nella contea di Wengan, nella provincia montagnosa di Guizhou, per protestare contro la morte di una adolescente di 15 anni.

Secondo l'agenzia Nuova Cina diversi edifici amministrativi e automobili sono stati bruciati per protestare contro i risultati dell'indagine sulla morte della ragazza. Le autorità hanno sostenuto che la ragazza si fosse suicidata gettandosi nel fiume mentre secondo la famiglia è stata violentata e probabilmente uccisa dal nipote di un notabile della regione. Alcuni forum su internet hanno sostenuto che la ragazza era stata violentata e uccisa nove giorni fa e che la polizia ha cercato di nascondere il caso e proteggere il principale sospetto. (
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Un funzionario locale ha detto alla agenzia Reuters che "circa 10.000 persone hanno circondato e incendiato gli uffici del partito della contea e altri uffici governativi."

"Essi hanno anche bruciato circa 20 veicoli, tra cui alcune auto della polizia," ha detto il funzionario.

Fotografie pubblicate su internet hanno mostrato diverse migliaia di persone riunite davanti al commissariato di Wengan. Le foto mostrano le finestre rotte e del fumo che esce dall'edificio. Secondo l'agenzia di stampa AFP i disordini sono scoppiati sabato, quando lo zio della ragazza, ribellatosi nei confronti dei risultati dell'indagine che ha optato per il suicidio, è andato a chiedere giustizia per sua nipote ed è stato picchiato a morte.

"Suo zio, che è stato picchiato dalla polizia o da criminali pagati dalle forze di polizia, è morto sabato," ha detto una residente, parlando sotto la copertura dell'anonimato. "Siccome lo zio insegnava in una scuola locale, decine di studenti si sono recati a chiederne conto alle forze di polizia, e a questo punto alcuni di loro sono stati picchiati. Dopo essere stati picchiati hanno messo a fuoco alcuni locali e alcune auto della polizia", ha aggiunto.

La maggior parte delle pagine web che fa riferimento ai disordini sono inacessibili da domenica. Alcuni funzionari locali sono stati irraggiungibili domenica mattina. Alcuni abitanti del villaggio hanno indicato che fino a 200 membri delle forze di sicurezza sono arrivati nella notte tra sabato e domenica in Wengan, e che le linee telefoniche sono state interrotte.

I giornali cinesi dicono che i leader provinciali si sono recato nella zona per far fronte ai disordini.

L'agenzia ufficiale Nuova Cina non ha fornito dettagli circa l'origine dei disordini in Wengan, ha semplicemente descritto come "criminali" gli autori di atti di violenza in seguito al "malcontento" circa le indagini per la morte della ragazza. La folla è stata dispersa domenica mattina e l'incidente "non ha avuto prosieguo", secondo la stessa fonte.

L'agenzia di stampa Xinhua riferisce che lentamente sta tornando l'ordine man mano che la folla ha comincia a disperdersi nella mattina di domenica.


Tratto da:
Des émeutes éclatent en Chine après la mort d'une adolescente
su
Le Monde.fr, Francia, 29 giugno 2008
Chinese riots over girl's death
su
BBCNEWS, Regno Unito, 29 giugno 2008
traduzione di Bruno Picozzi


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venerdì 27 giugno 2008

Corea del nord, stop al nucleare, giù la torre della centrale 'simbolo'


La Corea del Nord ha abbattuto oggi la torre di raffreddamento della sua centrale nucleare di Yongbyon. A riferirlo è la rete televisiva sudcoreana Mbc che ha assistito all'evento insieme a diversi media internazionali, tra cui la Cnn. La distruzione della torre è il primo atto concreto, e "altamente simbolico" secondo gli esperti, del processo di smantellamento del programma nucleare intrapreso da Pyongyang in cambio di un ammorbidimento del suo isolamento internazionale. Una prova della volontà nordcoreana di adempiere agli impegni assunti con i protagonisti dei colloqui a sei - i cosiddetti "six party talks" - sul suo programma nucleare: Usa, Russia, Cina, Giappone e Corea del Sud. (continua a leggere)

L'esplosione della torre di quello che è il principale complesso nucleare nordcoreano è avvenuta alle 16 ora locale, le 9 in Italia. Il gesto è anche una risposta agli Stati Uniti che ieri avevano deciso di revocare parte delle sanzioni commerciali nei confronti del Paese asiatico e di eliminarlo dalla lista nera dei "Paesi canaglia" che sponsorizzano il terrorismo. Un annuncio che Washington aveva dato dopo la consegna da parte di Pyongyang alla Cina di un documento sui suoi programmi nucleari, seppure con sei mesi di ritardo rispetto a quanto pattuito in origine: sessanta pagine nelle quali illustra nel dettaglio il proprio programma atomico.

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A questa dichiarazione della Corea, però, deve seguire "una verifica". A dirlo è il segretario di Stato americano Condoleezza Rice. Il capo della diplomazia Usa oggi ha fatto presente che lo statuto del congresso americano prevede che ci sia "un periodo di 45 giorni prima che la decisione" del presidente George Bush sulla Corea del Nord "diventi efficace". "Abbiamo lavorato su un protocollo di verifica", ha chiarito la Rice.

Intanto, da Tokyo, dove sono riuniti, arriva il sostegno dei ministri degli esteri del G8 ai "Six party talks". I capi delle diplomazie del G8 si dicono soddisfatti della consegna del documento nordcoreano alla Cina e chiedono a Pyongyang di "abbandonare tutte le armi nucleari e i programmi nucleari esistenti, insieme ai programmi missilistici balistici e di tornare al pieno rispetto degli obblighi previsti dal trattato di non proliferazione nucleare". L' accordo firmato dai "sei" a Pechino nel febbraio 2007 prevede, tra l'altro, che Pyongyang abbandoni completamente il programma atomico in cambio di aiuti che le permettano di rimettere in sesto la propria economia, che non si è mai ripresa dalla crisi degli anni novanta, quando una devastante carestia causò la morte di due-tre milioni di persone.

Il ministro degli esteri Franco Frattini, al termine della riunione del G8 a Tokyo, ha definito il comportamento di Pyongyang "un grande passo in avanti", ma ha sottolineato che serve cautela soprattutto per quanto riguarda il tema della restituzione degli ostaggi giapponesi rapiti dal regime comunista nordcoreano durante gli anni della guerra fredda.


Tratto da:
Corea del nord, stop al nucleare, giù la torre della centrale 'simbolo'
su
la Repubblica.it , Italia, 27 giugno 2008

Articoli di riferimento:
Nucleare: attesa per oggi dichiarazione Corea del nord

Nordcorea: Da g8 appello al disarmo


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Senegal: trovare incentivi per la pace in Casamance


I civili hanno sempre più desiderio di ritornare ai propri villaggi in Casamance, ma con il proseguire delle violenze e col processo di pace "ancora in una situazione di stallo" secondo i negoziatori, alcuni vedono pochi motivi di speranza.

"Il processo di pace non è andato avanti per molto tempo - anzi io direi che ora sta andando indietro invece che avanti", ha detto Landing Diedhiou, presidente della Organizzazione Non Governativa locale APRAN-SDP che per lungo tempo ha fatto da intermediario tra il governo senegalese e ribelli del Movimento delle Forze Democratiche del Casamance (MFDC). (
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La regione meridionale del Casamance è in una situazione di conflitto a bassa intensità DA 25 anni, il che ne fa la regione dell'Africa con la più lunga guerra civile in corso e un numero di persone sfollate che supera le 60.000, con un massimo di 10.000 tra costoro rifugiati in Gambia e Guinea-Bissau.

I ribelli dell'MFDC lottavano inizialmente per l'indipendenza del Casamance, ma le loro richieste adesso sono cambiate. Un accordo di pace Governo-MFDC non ha tenuto, e mentre la violenza era diminuita verso la fine del 2007 vi è stato un aumento di attacchi violenti, saccheggi, omicidi e ferimenti da mine antiuomo nel 2008.

Solo la settimana scorsa un ragazzo è stato ucciso da presunti ribelli MFDC vicino Tendième, 33 km a nord di Ziguinchor.

La gente è stanca

Il 10 giugno scorso famiglie di sfollati hanno marciato per le strade di Ziguinchor, la capitale, a fianco della comunità, dei leader religiosi e di funzionari locali per chiedere che il governo faccia di più per rilanciare il processo di pace in modo che possano tornare alle loro case.

"Essi [i donatori e il governo] hanno promesso di attuare i piani per aiutarci a tornare a una vita normale, ma finora non è stato fatto nulla", ha detto Abdoulaye sane, un ex rifugiato che ora è sfollato a Fanda, a 12 km da Ziguinchor.

Aminata Badji Syafd, rappresentante di una ONG locale, ha letto una dichiarazione di fronte al palazzo del governo locale. "Le nostre famiglie sopravvivevano una volta con l’agricoltura, ma ora siamo diventati dipendenti da altri… e il nostro tessuto sociale e le nostre famiglie si stanno disfacendo".

Ciò è confermato da recenti ricerche condotte da Martin Evans, geografo presso l'Università di Leicester, che ha rivelato che la capacità delle famiglie di continuare ad accogliere i loro parenti sfollati dopo tanti anni sta cominciando a calare, e come risultato le tensioni sono in aumento. Le tensioni sono aggravate dalla situazione economica depressa e dal forte aumento dei prezzi alimentari in tutta la regione.

Ma mentre i civili hanno sempre più fame di pace, e vi è una crescente evidenza che anche i ribelli dell’MFDC sono stanchi di combattere, secondo Evans, tuttavia i colloqui di pace sono a un punto morto e le prospettive di pace nel prossimo futuro sono sempre più fievoli.

Portare i negoziati a un livello più alto

Uno dei motivi per cui la situazione non è migliorata rimane la profonda divisione in fazioni dei diversi rami dell’MFDC e tra le sue ali militari e politica, il che ostacola la capacità del Governo di negoziare con loro, secondo Diedhiou.

"Il problema, in primo luogo, era che il Governo negoziava con alcuni leader ribelli e non con altri, in modo che il processo era visto come parziale - ora è necessario fare di più per portare queste fazioni insieme", ha detto Diedhiou.

Secondo Famara Goudiaby, membro della fazione Sadio dell’MFDC, colui che dirige la fazione nel sud del Casamance, Salif Sadio, ha lasciato i negoziati con il Governo perché ritiene che il Governo stia cercando di mettere le fazioni una contro l’altra.

Il Governo deve cercare maggiormente il consenso e deve porre i suoi negoziati a un livello più alto, secondo Diedhiou. "Mentre il Presidente Wade ha compiuto seri sforzi per affrontare il conflitto, negoziati di livello superiore sono necessari tra il Governo senegalese e la MFDC e per raggiungere questo obiettivo abbiamo bisogno di negoziatori più credibili da entrambe le parti".

Problema regionale, soluzione regionale

Secondo Demba Keita, consulente di APRAN-SDP, un altro punto cruciale è che il governo ha voluto affrontare la questione Casamance tranquilla come un problema interno mentre è un problema regionale.

"Guinea-Bissau e Gambia non possono essere ignorati nel processo di pace… la soluzione a tre governi è l'unica soluzione".

Per il portavoce dell’MFDC Famar Goudiaby, trovare una soluzione regionale, con l'aiuto dei mediatori internazionali è l'unico modo di procedere. "Il conflitto si è esteso da Casamance oltre la frontiera col Senegal ed è indispensabile coinvolgere i paesi stranieri nella ricerca di una soluzione… risolvere la questione come un problema interno non potrà mai essere una soluzione", ha aggiunto.

I capi dell’MFDC controllano gran parte delle loro truppe da oltre frontiera mentre i soldati e i ribelli realizzano una notevole quantità di scambi tra loro in ciò che Evans definisce ‘economia di guerra'.

I profitti della guerra

Questa economia di guerra avvantaggia i combattenti di entrambe le parti, dice Evans, i soldati senegalesi e i ribelli commerciano in legname, cannabis e anacardi al di là delle frontiere. Molte delle foreste di anacardi sul confine con la Guinea-Bissau, ad esempio, si trovano in territorio ribelle con soldati senegalesi di stanza nelle vicinanze. Sebbene i profitti siano modesti, in una regione talmente povera sono meglio di niente.

Molti analisti attribuiscono l’ aumento di violenza del 2008 alla percezione tra i ribelli che i soldati senegalesi stanno prendendo piede in questo prezioso territorio.

Secondo un rappresentante internazionale dei donatori la concorrenza su questo territorio fertile è determinante nel prosieguo del conflitto, cosicché "la riforma fondiaria è uno dei pilastri fondamentali della pace in Casamance". Ma finora "non sono state messe sul tavolo soluzioni praticabili per una riforma fondiaria". Invece le questioni riguardo la proprietà terriera stanno diventando sempre più politicizzate dal momento che i confini dei villaggi sono ridisegnati per accogliere le zone minate, e fino a 242 villaggi rimangono abbandonati a causa della presenza di mine.

E gli attori locali, inclusa la società civile e i funzionari del Governo centrale senegalese, approfittano di un prolungato processo di pace continuando ad accumulare gli aiuti che lo sostengono. "Dal 2000 è arrivato un sacco di denaro da accordi multilaterali e bilaterali per sostenere il processo di pace, il ritorno degli sfollati e la ricostruzione… può essere un buon affare per tutti", ha detto Evans.

Vantaggi economici della pace

Un donatore internazionale ha affermato che per smuovere lo stagnante processo di pace il Governo e i donatori devono rendere più evidenti i vantaggi economici della pace.

Il Casamance è la regione più fertile del Senegal e potrebbe contribuire in maniera significativa alla produzione agricola del Paese. Questo, secondo Evans, è un dato ancora più pertinente all’obiettivo del Presidente Wade di rendere il Senegal un produttore netto di grano, piuttosto che un importatore, nel corso del prossimo decennio.

Secondo Marie Augustine Badiane della ONG locale Kabon Kator dedita a operazioni di peacebuilding, la produzione di riso nella regione è aumentata, nonostante il conflitto in corso, con sempre più terra conquistata alla coltivazione di riso. "Con una pace estesa e con investimenti in infrastrutture adeguate e in cambiamenti delle pratiche agricole, si potrebbe aumentare la produzione di gran lunga", ha detto Evans.

Ma si tratta di trovare soluzioni per il possesso della terra che sia i civili che i ribelli possano tenere in piedi, secondo Badiane.

Nel frattempo qualsiasi proposta di pace deve aiutare i ribelli a cercare mezzi di sussistenza alternativi, secondo Evans, anche se questi ammette che questa fase è ancora lontana.

Progresso

Ci sono stati alcuni progressi negli ultimi anni sul fronte regionale secondo Evans, il quale afferma che dal 2000 il governo della Guinea-Bissau si è maggiormente allineato con il Senegal sulla questione Casamance. Quindi "i flussi di armi verso i ribelli si sono ridotti in maniera significativa, i ribelli estremisti sono stati allontanati dal loro territorio e c'è ora una buona cooperazione in materia di sicurezza oltre il confine".

Secondo Diatta, i negoziatori hanno l'opportunità di spingere sulla voglia di pace tra gli abitanti del Casamance per stimolare i colloqui di pace, coinvolgendoli direttamente nei negoziati. "Il governo si incontra con i signori della guerra nella macchia ma dimentica che in Casamance anche le persone devono avere una voce al tavolo dei negoziati", ha detto Diatta a IRIN.

Nel frattempo gli incentivi per la pace dovrebbe essere resi più chiari agli stessi intermediari, secondo un rappresentante internazionale dei donatori. "Il Presidente Wade vede se stesso come uno statista mondiale e fautore di una pace globale - così quando si parla del Casamance bisogna chiedergli quale eredità lascerà".


Tratto da:
SENEGAL: Finding incentives for peace in Casamance
su
IRIN, Ufficio dell’ONU per gli Affari Umanitari, 25 giugno 2008
Traduzione di Bruno Picozzi

Articoli di riferimento:
Scheda del Centro AmilcarCabral sul Senegal

Scheda di UnAltroMondo ONLUS sul Senegal



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giovedì 26 giugno 2008

Gibuti "non consentirà all'Eritrea" di occupare parte del suo territorio


Gibuti "non consentirà all'Eritrea di occupare una parte del (suo) territorio" e "sarà obbligato a sloggiare" le truppe di questo paese se non si ritireranno dalla linea di confine, ha dichiarato il Presidente Ismaël Omar Guelleh al quotidiano francese Le Monde pubblicato giovedì.

"Mi aspetto una risoluzione vincolante da parte delle Nazioni Unite. Se l'Eritrea non si conforma saremo obbligati a sloggiarli, qualunque sia il prezzo da pagare per la nostra popolazione", ha detto Guelleh. (
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"Non li lascieremo occupare una parte del nostro territorio", ha aggiunto.

Il 12 giugno scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato "l'azione militare dell'Eritrea contro lo Stato di Gibuti" avvenuta due giorni prima alla frontiera tra i due paesi e ha esortato entrambe le parti a impegnarsi a un cessate-il-fuoco, esortandoli, in particolare l'Eritrea, a riportare le loro forze alle posizioni precedenti l’azione militare eritrea.

Il Consiglio di Sicurezza ha ribadito questo appello ad Asmara il 24 giugno.

Nove soldati gibutiani sono stati uccisi durante lo scontro fra le truppe dei due paesi nel nord di Gibuti.

La tensione tra Eritrea e Gibuti è molto forte da dopo una incursione, il 16 aprile scorso, di truppe eritree a Ras Doumeira (Gibuti del nord), promontorio strategico che domina l'ingresso al Mar Rosso.

I due paesi si erano scontrati già due volte nel 1996 e nel 1999 per questo territorio.

Il Presidente Guelleh si è detto fiducioso su una futura risoluzione vincolante da parte delle Nazioni Unite. "I nostri amici del Consiglio di Sicurezza hanno detto che dobbiamo aspettare il tempo che le varie missioni informative mandate sul campo inviino i risultati delle indagini”, ha detto.

Il Presidente di Gibuti ha anche assicurato di aver cercato di contattare il Presidente eritreo Issaias Afeworki. "Dopo gli scontri (...) ha tagliato tutti i contatti e ha rifiutato di parlarmi al telefono", ha detto. "Ho cercato di riprendere il dialogo attraverso un amico comune, l'emiro del Qatar. Issaias gli ha mentito, dicendo che tutto si sarebbe aggiustato", ha detto Guelleh.

Il 17 giugno scorso il Presidente Afeworki aveva respinto ogni dialogo con Gibuti.

Il Presidente di Gibuti ha inoltre espresso soddisfazione per il sostegno della Francia in questa crisi.

"Nel quadro degli accordi sulla difesa, i francesi hanno fornito supporto logistico e medico. Essi ci inviano cibo e informazioni. Ci sono pattuglie militari congiunte. E hanno accettato di fornirci munizioni", ha detto.

La Francia ha nel territorio di Gibuti la sua più grande base militare permanente all'estero con circa 2.900 militari.


Tratto da:
Djibouti "ne laissera pas l'Erythrée" occuper une partie de son territoire
su Le Monde.fr, Francia, 26 giugno 2008
Traduzione di Bruno Picozzi

Articoli di riferimento:
Gibuti-Eritra: scontri al confine, schermaglie politiche
La Francia supporta l'esercito nei combattimenti con l'Eritrea



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martedì 24 giugno 2008

La parte ricca della Bolivia boicotta il referendum sulla gestione di Morales


I governatori delle quattro regioni ricche di petrolio contro il Presidente

I governatori della “mezza luna boliviana” -le quattro regioni che hanno approvato in maniera unilaterale la loro autonomia- non sono disposti ad accettare la convocazione da parte di Evo Morales per il prossimo 10 agosto del giudizio popolare in forma di un referendum di revoca del mandato. Riuniti ieri a Tarija, nei pressi della prefettura di Cochabamba, i leader delle regioni di Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija hanno messo in dubbio la partecipazione dei loro territori a una consultazione nella quale Morales si rifugia per dimostrare che continua a godere del sostegno delle urne e che ha il diritto di effettuare le riforme istituzionali radicali proposte nella nuova Costituzione, non ancora ratificata. (
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Morales ha risposto, invitando la base del Movimento Al Socialismo (MAS) al fine di garantire lo svolgimento della votazione in tutto il paese. Il Presidente boliviano ha finora scelto di accettare l'inevitabile e non opporsi in pratica allo svolgimento di quattro consecutivi referendum per l’autonomia, nonostante li consideri separatisti e illegali, in quanto il governo centrale è l'unico che abbia il diritto di chiamare alle urne i cittadini. Ma non può permettersi che l’importantissima consultazione del mese di agosto non venga effettuata in più della metà del territorio boliviano. In pratica, la nuova sfida autonomista e la risposta del governo sono un ulteriore aumento della tensione tra due visioni del paese completamente opposte e senza punti di incontro fin quando non si troverà un accordo.

Le province ribelli hanno creato un nuovo organismo, il Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia, e chiedono che Morales accantoni il referendum per firmare invece un accordo di riconciliazione nazionale che riconosca i testi adottati unilateralmente nei rispettivi territori. Il Consiglio si è riunito ieri a Tarija, dove meno di 24 ore prima è stato approvato uno statuto di autonomia con l’80% dei voti ma con una forte astensione che va dal 30%, secondo le autorità locali, al 60% secondo il governo centrale. Il Presidente boliviano ritiene che i governatori che formano il Consiglio rappresentino le oligarchie locali e ha minacciato di ricorrere alla "pressione sociale".

Per la prima volta dopo lo scoppio del conflitto autonomista che ha segnato il suo mandato, Morales gioca d’anticipo. Per vedere il suo mandato revocato, il Presidente dovrebbe ricevere contro un numero di voti maggiore di quelli con cui è stato eletto. Ma visto che Morales raggiunge il 54% dei consensi -tra i più alti mai registrati- è molto improbabile che perda la consultazione. Inoltre ha costretto ad entrare nel gioco i governatori delle nove province del paese, che devono sottomettersi al verdetto popolare in un referendum che promette una partecipazione massiccia.

"La consultazione è stata chiesta da persone che non hanno nulla a che fare con la mia gestione", ha spiegato il governatore di Tarija, Mario Cossío, il quale tuttavia ha dichiarato: "Non abbiamo paura" di questa convocazione. Da parte sua Leopoldo Fernandez, governatore di Pando, ha sottolineato che il referendum di revoca del mandato "non conviene a nessuno perché non risolve nulla." Questi argomenti sono per il governo inequivocabili segni di paura della sconfitta da parte dei governatori disubbidienti. "Sanno già di perdere il 10 agosto" ha detto il vice ministro della Giustizia, Wilfredo Chavez.

Con una vittoria in mano, Morales avrà la luce verde per riprendere l'approvazione della controversa Costituzione adottata nel dicembre scorso in una caserma e con la sola presenza dei membri del Movimento Al Socialismo (MAS), la formazione del presidente. Per entrare in vigore, il testo -che sancisce la rivoluzione indigena progettata da Morales- deve ancora essere approvata in un referendum popolare, e il Presidente vuole arrivare a questa consultazione attraverso un trionfo e non dopo una catena di votazioni contrarie.


Tratto da:
Las zonas ricas de Bolivia boicotean la consulta sobre la gestión de Morales
su
EL PAIS.com, Spagna, 24 giugno 2008
Traduzione di Bruno Picozzi


Articoli di riferimento:
Giorni contati per il presidente?


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lunedì 23 giugno 2008

In Nigeria il MEND annuncia un cessate-il-fuoco


Il gruppo di ribelli responsabili di alcuni dei peggiori attacchi alle infrastrutture petrolifere della Nigeria e del sequestro di vari lavoratori petroliferi ha annunciato un cessate-il-fuoco.

Il gruppo conosciuto con la sigla MEND (Emancipazione del Delta del Niger) ha comunicato di voler ascoltare un appello lanciato dagli anziani della regione per dare un'altra possibilità alla pace e al dialogo.

La comunicazione dice che non ci saranno più attacchi dalla mezzanotte di martedì fino a nuovo avviso. (continua a leggere)


Solo la scorsa settimana il gruppo aveva lanciato il primo attacco su un sito petrolifero offshore (al largo delle coste nigeriane).

Il Presidente della Nigeria Umaru Yar'Adua aveva ordinato misure di sicurezza più severe nel Delta del Niger dopo l'attacco dei ribelli del MEND alle installazioni della compagnia americana Shell nel campo petrolifero del Bonga, 120 km al largo della Nigeria, che aveva tagliato la produzione petrolifera nigeriana del 10%. In seguito a questo attacco il prezzo del petrolio a Londra e a New York era aumentato di oltre un dollaro a barile.
Per la prima volta i militanti del MEND avevano colpito i preziosissimi campi petroliferi in alto mare, considerati relativamente al sicuro da attacchi esterni.

Inoltre, durante il fine settimana, il gigante petrolifero americano Chevron aveva bloccato la produzione di petrolio a terra (onshore) dopo un attacco a un oleodotto nei suoi campi petroliferi di Escravos.

Le continue interruzioni alla produzione nigeriana di petrolio causate dagli attacchi dei militanti del MEND sono state un importante fattore trainante in tutto il mondo dell'impennata del prezzo del petrolio.

Pieni di armi

Il cessate il fuoco unilaterale, annunciato dal MEND domenica in un messaggio email ai mezzi d'informazione, ha segnato una brusca inversione di rotta per il gruppo, che all'inizio della settimana aveva ammonito tutti i lavoratori petroliferi stranieri di lasciare il Delta del Niger.

Secondo Alex Last, inviato della BBC a Lagos, siccome il governo nigeriano prevede di tenere un grande Vertice dei leader del Delta del Niger grazie al quale più denaro dovrebbe fluire verso il Delta del Niger, forse questo sembra un buon momento ai gruppi armati locali per mostrare quanto il loro accordo sia indispensabile a ogni possibilità di pace.

Giunto al potere il 29 maggio 2007, il Presidente Yar'Adua aveva fatto del Delta del Niger - una regione miserabile, nonostante i miliardi di petrodollari che genera - una delle sue principali priorità. Da due anni la Nigeria, l'8° più grande esportatore di petrolio del mondo, perde un quarto della sua produzione giornaliera (attualmente 2,1 milioni di barili) a causa di insicurezza e attacchi armati.

In un'intervista dello scorso 15 maggio, il Presidente nigeriano aveva ribadito che un vertice del Delta del Niger sarà convocato "al massimo entro otto settimane" per pacificare questa regione vitale, "con tutto ciò che stiamo facendo, credo che si dovrebbe vedere la fine del conflitto entro i prossimi tre anni."

Il nostro corrispondente afferma che l'esercito della Nigeria è mal equipaggiato mentre le armi proliferano nelle regioni petrolifere nigeriane.

Ad ogni attacco, il MEND precisa che si tratta di azioni facenti parte della "Operazione Ciclone" volta a "sabotare le esportazioni di petrolio dalla Nigeria." Questa volta, l'attacco è stato 'dedicato' "all'amministrazione del Presidente Umaru Yar'Adua che, dopo un anno, non è riuscito a portare pace, sicurezza e riconciliazione nel Delta del Niger".

Il MEND afferma di combattere in nome della popolazione locale per ottenere una migliore distribuzione di miliardi di dollari derivati dal petrolio, e di voler garantire una maggiore autonomia e controllo delle risorse per il Delta del Niger, ma attualmente il conflitto è una rete complessa che coinvolge bande armate, corruzione politica e racket criminali.


Tratto da:
Nigerian militants call ceasefire
su
BBCNEWS, Regno Unito, 22 giugno 2008
Nigeria: nouvelle attaque des rebelles du MEND contre Shell
su
20minutes.fr, Francia, 23 giugno 2008
Traduzione di Bruno Picozzi


Articoli di riferimento:
Multinazionali del petrolio sul delta del Niger
Italiani rapiti in Nigeria. "Il Mend rappresenta la volontà della gente del Delta...


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venerdì 6 giugno 2008

Alzarsi e camminare


È ormai da tanto che il BIPPIblog non parla, che io non parlo. Ho imparato che prima di parlare bisogna ragionare e quindi ho ragionato, a lungo e con onestà.
Una sconfitta non è sempre un fallimento. Diventa fallimento se non si è capaci di capirne i perché e trarne insegnamento. Al contrario una sconfitta può diventare null’altro che l’inizio di una nuova avventura intrapresa con più conoscenze e più capacità.

Dalle pagine del BIPPIblog nascerà nelle prossime settimane un piccolo laboratorio di Informazione ScatenaTA che lentamente si evolverà in un progetto giornalistico. Grazie alla collaborazione di un gruppo di volontari, compariranno qui articoli tratti dai giornali del mondo che ci parleranno della complessità del mondo, ci insegneranno forse a leggerlo e ad ascoltarlo. Ci mostreranno quanto il mondo può essere duro ma anche quanta bellezza e diversità ci accompagna, qui, sulla stessa nave in mezzo all’universo.

Non vi è educazione senza conoscenza, quindi l’educazione alla cultura della pace non può prescindere dalla conoscenza del mondo.

Buona lettura
Bruno



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