venerdì 27 marzo 2009

Il vento in America soffia da izquierda

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 68/2009 di Terra

Solo nel 1992 il Fronte Farabundo Martì per la liberazione nazionale, Fmln, ha abbandonato la lotta armata ed è diventato un partito della sinistra parlamentare nel popoloso Salvador, 6 milioni e mezzo di abitanti in un territorio grande quanto l’Emilia Romagna.

Da allora i consensi sono cresciuti costantemente, fino alla netta vittoria nelle scorse elezioni municipali e legislative seguita come previsto dal trionfo del candidato della sinistra Mauricio Funes alle presidenziali di domenica scorsa. Ora il vento del cambiamento soffia su questa piccola nazione che da un secolo si dibatte tra fascismo militare e semidittatura democristiana, emanazioni del potere economico concentrato nelle mani di poche famiglie di latifondisti, a loro volta legate alle lobbies di Wall Street.

Il popolo salvadoregno è solo l’ultimo tra quelli che, a sud di Mexico City, hanno scelto di abbandonare il modello economico nordamericano. L’agonia del reaganismo, consumatasi nei dolorosi anni di Bush junior, ha significato la progressiva crescita in tutto il continente di una coscienza partecipativa che ha consegnato la maggioranza degli stati a solidi progetti riformisti di sinistra, fieramente appoggiati dai Castro a Cuba.

A tirare il carro in prima fila è sicuramente il ricco Venezuela dove il discusso Chavez, tra populismo e democradura, difende dal 1998 a colpi di crescente consenso popolare la rivoluzione bolivariana socialista e antimperialista, fatta di democrazia diretta e partecipativa, riforme agrarie, diritti ai popoli indigeni e lotta a povertà e disuguaglianza, il cui prezzo è pagato dai ricchi giacimenti di petrolio sottratti legalmente alle multinazionali statunitensi.
Sulla stessa strada viaggiano la controversa avventura del leader sandinista Ortega in Nicaragua e i progetti indigenisti di Correa in Ecuador e Morales in Bolivia, schierati a difesa delle culture contadine ancestrali e contro il liberismo economico proposto dal G8.
Governi moderati e riformisti di centrosinistra lottano per ridurre la forbice tra ricchi e poveri in Brasile, Argentina e Cile, ma anche in Costa Rica, Perù, Uruguay e Paraguay, contro le aspirazioni delle oligarchie neoliberiste di destra.
In Messico i conservatori mantengono il controllo dello stato ma sono sempre più indeboliti dall’insurrezione zapatista nel sud e dalla visibile sconfitta su economia e sicurezza.
Alcuni ascrivono persino l’ascesa di Obama a questa ventata socialdemocratica, sebbene con i distinguo del caso.

Mauricio Funes ha vinto grazie all’appoggio di sindacati, associazioni e di vasti settori professionali, oltre che di seicento pastori evangelici. Una vittoria al centro che gli è valsa un mandato a nome di un movimento combattente accusato di terrorismo e di crimini contro lo stesso popolo che ha fatto la fila per votarlo. Ora l’imperativo è spingere anche El Salvador verso politiche di solidarietà sociale e protezione dell’ambiente, sconfiggendo le lobbies economiche, le caste conservatrici, le oligarchie terriere e dodici anni di guerra civile.

Bruno Picozzi


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