venerdì 18 aprile 2008

Noi e la crisi alimentare globale


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Qualche giorno fa Marco Revelli [Professore di Scienza della politica all'Università del Piemonte orientale] si chiedeva come fosse possibile che l’allarme lanciato dalla FAO a Roma sulla crisi alimentare globale nel giorno di chiusura della campagna elettorale italiana non sia stato preso in considerazione dalla politica. In questi giorni, in trenta paesi del sud del mondo, a cominciare da Egitto e Haiti, la popolazione è in subbuglio.
Ma durante il fine settimana elettorale in Italia è anche andata in onda in prima serata sulla RAI una trasmissione di Report dedicata al cibo: importare un chilo di asparagi dal Perù che viaggiano in aereo per arrivare nel nostro piatto, hanno raccontato i redattori della trasmissione, significa lasciare nell’atmosfera sei chili di CO2; intanto paghiamo otto euro al chilo le carote grattugiate contenute in una vaschetta [di plastica], mentre a chi le produce costano pochi centesimi. Eppure quel prezzo non comprende neanche il costo che paga la natura con l’inquinamento di aria, terra e acqua.
Report ha raccontato anche alcune alternative: i gruppi di acquisto solidale [e da quel giorno centinaia di persone hanno cominciato a interpellare i promotori dei Gas], i cibi e ristoranti a «chilometro zero», l’agricoltura biologica. Forse il modello dell’industrializzazione dell’agricoltura [e quindi l’uso di pesticidi, l’importazione di prodotti non di stagione dall’altra parte del mondo, la sottrazione di terra da destinare agli agrocarburanti], tutto a vantaggio delle multinazionali dell’agrobusiness è arrivato «alla frutta». Di certo, questa crisi alimentare e l’interesse di migliaia di persone a consumare cibo buono, sano ed equo dicono che così non si può andare avanti.


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