mercoledì 23 aprile 2008

Davvero non vuoi una Coca Cola? No grazie!


In Colombia sono ventidue i sindacalisti uccisi dall'inizio dell'anno. Ultima vittima Jesùs Caballero, sotto sequestro dal 16 aprile e ritrovato senza vita in una strada di un villaggio a nord di Bogotà, con evidenti segni di tortura.
Caballero, dirigente del sindacato «Servicio Nacionalde Aprendiaje», era stato tra i promotori di una grande manifestazione popolare il 6 marzo scorso contro i paramilitari di estrema destra e contro le morti di stato, come quelle dei sindacalisti uccisi perché chiedono diritti per i lavoratori.

In prima fila la Coca Cola.
7 sindacalisti che lavoravano in varie fabbriche della Coca Cola sono stati uccisi negli ultimi dieci anni. Altri 5 sono sopravvissuti a tentativi di assassinio. 61 hanno ricevuto minacce di morte. 74 lavoratori sono stati rapiti e torturati. Con questi sistemi la Coca Cola Company compra oggi a basso costo il lavoro dei Colombiani e vende a noi bibite gustose e costose e dell'ottima pubblicità con Babbo Natale come testimonial.
Nonostante il 97% di questi omicidi rimanga impunito, il Presidente colombiano Alvaro Uribe ha messo una taglia sui responsabili, dichiarando che il fine dei guerriglieri paramilitari è di «screditare il paese e impedire l'approvazione del trattato di libero commercio con gli Usa», a cui lui e gli USA tengono tanto.

Per sottolineare le parole del Presidente, proprio ieri veniva arrestato Mario Uribe, cugino del Presidente, suo consigliere e senatore dello stato: dovrà rispondere dell'accusa di aver cospirato con gli squadroni della morte dell'estrema destra, gli stessi che il Presidente sostiene di voler combattere. Almeno così dice lui.


1 commento:

Anonimo ha detto...

dal Blog di Annalisa Melandri

Il presidente Álvaro Uribe ha ammesso ieri di essere oggetto di indagini per il suo coinvolgimento diretto in un massacro compiuto da paramilitari, che sarebbe avvenuto nel 1997 quando egli era governatore del dipartimento di Antioquia.
Nella località di El Aro, in sei giorni vennero assasinate e torturate 15 persone, distrutte 43 abitazioni, violentate donne e spinte all’esodo circa 800 persone della zona.
Le indagini sarebbero state avviate in seguito alla confessione di un testimone che lo accusa di aver preso parte ad una riunione alla quale erano presenti tra gli altri il generale Ospina, il generale Rosso e il capo paramilitare Salvatore Mancuso, riunione che aveva lo scopo di pianificare e organizzare il massacro.
Uribe, secondo il testimone, un ex paramilitare, avrebbe anche ringraziato personalmente gli autori materiali del massacro perchè nell’occasione riuscirono a liberare anche sei sequestrati tra i quali un suo cugino e che il fratello del presidente, Santiago Uribe, avrebbe “prestato” 20 paramilitari per compiere quel crimine.
Questa notizia giunge appena dopo l’arresto del cugino del presidente Uribe, Mario Uribe Escobar, in carcere oggi per vincoli con il paramilitarismo e nel momento in cui circa 30 parlamentari del congresso si trovano in carcere e una settantina sono inquisiti.
Ad essi si aggiunge adesso il Presidente in persona.
Si rende pertanto sempre più necessaria nel paese, come chiesta a gran voce in questi giorni dalle associazioni, dai movimenti sociali e dalle forze politiche di opposizione, in particolare dal Polo Democrático Alternativo, una Assemblea Costituente, con il fine di “rilegittimare le istituzioni del paese”.
Il presidente Uribe, ovviamente respinge tutte le accuse come prive di fondamento e nega la possibilità di convocare l’Assemblea Costituente.
Resta l’ipotesi delle elezioni anticipate ma è sempre più evidente che la Colombia potrebbe trovarsi ad una svolta decisiva per ristabilire la democrazia perduta tra massacri e fosse comuni.