venerdì 14 marzo 2008

Parliamo ma non ci capiamo


Vai alla pagina di wikipedia Lingue parlate in Italia

Un recente studio di Survival International afferma che ogni mese muoiono due delle 6.000 lingue madri esistenti al mondo. A questo ritmo il patrimonio linguistico dell’umanità sarà dimezzato alla fine di questo secolo. Per evitare questa catastrofe culturale le Nazioni Unite hanno proclamato il 2008 Anno internazionale delle lingue.

La morte di una lingua è un fenomeno complesso, spesso relazionato all’irruzione di lingue dominanti, come l’inglese, l’arabo o lo spagnolo, che costituiscono, secondo il linguista Michael Krauss, «un autentico gas nervino culturale». Oggi, il 96 per cento della popolazione mondiale parla solo il 4 per cento delle lingue.
In pratica una lingua muore quando muore l'ultima persona che la parla, ma si tratta sempre di una morte annunciata. La sopravvivenza di una lingua è legata ad un numero minimo (centomila) di persone che la parlano. Al di sotto di questo numero esiste il rischio di morte.
Alla base di questo fenomeno c'è quasi sempre un atteggiamento politico distorto: la salvaguardia delle lingue minori non si fa con convegni e dibattiti, ma permettendone e valorizzandone l'uso. Spagna, Russia, India e Sudafrica rappresentano alcuni esempi di effettivo riconoscimento e tutela della diversità linguistica. Nel 2001 è stata firmata la Dichiarazione universale sulla diversità culturale, che pone come obiettivo «tutelare il patrimonio linguistico dell’umanità e difendere le capacità espressive e la diffusione del maggior numero possibile di lingue. Incoraggiare la diversità linguistica, nel rispetto della lingua madre e stimolare l’apprendimento del multilinguismo fin dalla tenera età». Al contrario quasi ovunque troviamo un'idea 'totalitaria' di Stato che si esprime, tra l'altro, nella valorizzazione esclusiva della lingua ufficiale, a danno delle singole lingue madri, spesso trascurate, declassate e respresse. L'Italia è un ottimo esempio a riguardo.

La scomparsa di una lingua non è un danno teorico ma una catastrofe sociale. Ogni lingua è espressione di un sistema di pensiero che scompare non potendo più esprimersi. La repressione di una lingua porta tensioni sociali inarrestabili poiché intere generazioni vengono private della possibilità di studiare con profitto, dialogare con le istituzioni, prendere parte alla vita pubblica e, in definitiva, integrarsi nella società civile, poiché gli è vietato farlo nella propria lingua madre.
La repressione di una lingua madre porta sempre e comunque a un fenomeno di esclusione di donne e uomini che non hanno scelto quale lingua parlare.


1 commento:

Anonimo ha detto...

Avendo parlato fin dall'infanzia solo italiano, la mia lingua madre, devo ammettere che da principio non riuscivo a capire l'importanza di quelle lingue di nicchia, quelle spesso chiamate con disprezzo "dialetti"..
Viaggiando invece ho afferrato la grande importanza anche delle piu' piccole lingue: ognuna esprime un modo di vedere il mondo, di relazionarsi con quello che c'e' intorno..una ricchezza inestimabile insomma. Mi viene in mente il filosofo inglese Mill che diceva « Se tutti gli uomini, meno uno, avessero la stessa opinione, non avrebbero diritto di far tacere quell'unico individuo più di quanto ne avrebbe lui di far tacere, avendone il potere, l'intera umanità. » Si riferiva alla liberta' di espressione dato che per lui era importantissimo che anche l'ultima e piu' assurda delle opinioni o visioni trovasse modo di essere espressa.
Sono d'accordo quindi sul fatto che la sparizione di una lingua sia un danno molto piu' grande di quanto possa sembrare, danno per tutti coloro che sanno capire l'importanza e la bellezza della varieta' che c'e' nel mondo.