giovedì 28 agosto 2008

Gaza: le tensioni tra Hamas e Fatah verso la guerra civile

La Striscia di Gaza, purtroppo, non finisce mai di stupire. Alcune volte in modo positivo, dando speranza e dimostrando la forza e la volontà di un popolo di uscire dalle disgrazie che gli cadono addosso, altre volte invece in modo del tutto negativo, che non fa che peggiorare la situazione. In questi ultimi mesi, le due fazioni hanno iniziato di nuovo a scontrarsi: ad un anno di distanza, quasi fosse un anniversario, sono ripresi duri scontri tra Hamas e Fatah.

In seguito all'assurdo attentato al caffé El Hilal, frequentato da Hamas, che ha provocato la morte di sei persone tra cui una bambina, sono seguite ritorsioni e violenze nei confronti dei militanti di Fatah, accusati di aver provocato la strage. I cecchini sono tornati a sparare, gruppi di uomini armati hanno fatto irruzione in molti edifici. Molti di loro sono dovuti scappare in Israele, chiedendo "asilo" (ironia della sorte) a chi li tiene ancora sotto dura occupazione. Situazione assurda e paradossale, cosi come è paradossale quello che è accaduto in seguito: dura repressione, arresti di centinaia di persone, botte e chiusura di molti centri e associazioni culturali e sportive, affiliati al Fatah o riconosciute tali. Non che questo non succeda in altri paesi, però qui siamo in un contesto molto particolare, con un' occupazione in atto, dove la popolazione é già messa a dura prova da blocchi e violenze. Chiunque oggi provoca o mette in atto queste modalità, è di fatto in contraddizione con quello che va "predicando", sulla liberta' e la giustizia. Nella Striscia di Gaza quello che viene detto non è seguito dai fatti, e questa arroganza e falsità non fanno altro che rendere ancora più instabile la situazione.

A Gaza sono presenti molti soggetti, che in passato hanno preso parte a momenti di rivolta noti alla Palestina sotto occupazione. Molti di loro sono stati deportati dalle loro città, molti arrestati. Chi è stato deportato a Gaza, sta vivendo una situazione di punizione molto dura, forte separazione, e soprattutto uno sradicamento dalle loro famiglie, dalle loro città, dai propri affetti. Chi a Gaza, chi all'estero, chi in prigione per anni, hanno dovuto ricostuirsi una vita e fare i conti con una realtà per la quale oggi molti di loro si chiedono a che cosa sia servito tutto ciò. Ma ancora il calvario non è finito.
Durante l'esilio di Gaza molti combattenti si sono ritirati a vita privata, in attesa di essere rimpatriati ma dopo la presa del potere di Hamas, la situazione è cambiata. Chi apparteneva all'autorità è stato comunque individuato e gli è stato chiesto di prendere parte alla fazione vincente. Il rifiuto di farlo ha comportato un attrito, e risposte anche punitive, come quella che ha subito Mazen la scorsa settimana.

"Stavo camminando in strada, quando si è fermata una jeep con degli uomini mascherti a bordo. Non mi hanno detto nemmeno una parola: mi hanno caricato a forza e portato in un posto appartato, dove hanno cominciato a picchiarmi con il calcio del fucili e le spranghe di ferro. Mi hanno spezzato le ginocchia e un braccio. Sono andati avanti così per venti minuti circa, tirando sassi come se mi volessero lapidare. Poi mi hanno lasciato sulla strada, dove mi ha raccolto un abitante e trasportato con l'ambulanza in ospedale. Ora sono pieno di chiodi e di ferri, con le ginocchia e le braccia spezzate, la testa rotta. Sono costretto a stare a letto assistito 24 ore su 24. Il motivo di questo pestaggio non può che essere legato al mio rifiuto di far parte di un gruppo. Già nei mesi precedenti avevo ricevuto delle minacce. Molti come me hanno fatto la stessa fine. Anche le nostre famiglie sono preoccupate, e hanno chiesto ad Abu Mazen di fare il massimo degli sforzi per poterci riportare nelle nostre città. Ma anche questo è assurdo, perchè anche Gaza era la nostra Palestina e la gente ci ha sempre dimostrato affetto e amicizia.
Ora siamo sotto il fuoco di due parti: i nostri fratelli e gli occupanti israeliani".
Questo il racconto di Mazen, uno dei ventisei deportati della Chiesa della Natività, da sei anni a Gaza, insieme agli altri combattenti. Osò sfidare l'esercito israeliano, nei giorni dell'invasione del 2002. Una invasione militare, con carri armati, F16 e Apache che bombardavano le città e i campi profughi dei territori palestinesi controllati dall'Autorità Nazionale Palestinese. Tra le città attaccate e occupate c'era anche Betlemme, e in particolare la Chiesa della Natività, dove, durante i combattimenti, molti dei ricercati della resistenza palestinese si rifugiarono.

L'assedio durò quaranta giorni poi, con una decisione congiunta e un compromesso tra le autorità israeliane, palestinesi e la comunità internazionale, si arrivò a un accordo per salvare la vita alle duecento persone rifugiate, mandando in esilio una buona parte di essi: alcuni in Europa, altri nella Striscia di Gaza. Oggi molti di loro si chiedono a cosa sia servito tutto questo, ma soprattutto perchè si sono ritrovati in questa assura situazione. Ma chi sono i mascherati che ogni giorno si affacciano sulle strade e cercano i soggetti da colpire? Chi gli da questo potere, e soprattutto chi gli da questo ordine cosi assurdo? Gli uomini mascherati che compiono questi atti fino ad ora non sono mai stati identificati e nessuno rivendica niente. Pare essere un nucleo che si occupa di "punire" duramente i militanti Fatah e tutti quelli che si rifiutano di abiurare l'autorità precedente. Non bastava l'occupazione militare, la disputa "immobiliare" sull'appartenenza di questa terra, le violenze e i bombardamenti; il conflitto è arrivato ad assumere aspetti di fanatismo e fondamentalismo religioso e di partito. E cosi, anche questo è diventato adesso motivo di disputa , he vede come unico sbocco solo il caos senza fine. Una disputa concentrata solo a non facilitare lo sviluppo, tornando indietro nell'organizzazone e nella vita quotidiana della società. Tutto in nome di Dio.


Tratto da:
Ancora la guerra civile
su
PeaceReporter, Italia, 28 agosto 2008


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