venerdì 22 agosto 2008

La Bolivia tra scioperi e bande neofasciste

Il Presidente della Bolivia Evo Morales esce dal referendum revocatorio indubbiamente rafforzato sia politicamente che come leader nazionale e regionale, tuttavia si deve ricredere chi pensava che il referendum revocatorio del 10 agosto scorso, brillantemente superato da Morales con il 64% dei voti a favore, fosse la fine di un periodo di tensioni con i prefetti ribelli sostenitori delle autonomie regionali.

Morales ha governato per 30 mesi avendo tutti i media del paese contro. Ha governato per due anni e mezzo con l’Ambasciata degli Stati Uniti che gli tramava contro e con un’opposizione eversiva e razzista che considera intollerabile che lui, un indio, governi il paese. Gli hanno impedito di fare campagna elettorale, e minacciandolo costantemente di morte, perfino di entrare in varie regioni. Eppure lui, Evo Morales, il presidente indigeno della Bolivia, ha aumentato di quasi mezzo milione i voti presi nel 2005, passando da un già straordinario 54% a un plebiscitario 64% di consensi.

Se si pensa che, nel solo anno 2007, l’agenzia governativa statunitense USAID ha speso 124 milioni di dollari per destabilizzare il governo boliviano, finanziare l’opposizione e fomentare la secessione, il risultato del referendum revocatorio di domenica in Bolivia, che ha visto riconfermare Evo Morales addirittura aumentando del 10% i propri voti, rappresenta un risultato storico per il paese e per tutta l’America latina integrazionista. Ancora una volta nel Continente, il potere dei soldi, la volontà delle multinazionali e di governi come quello statunitense o spagnolo e il controllo totale dei media da parte delle oligarchie locali, non ha potuto trionfare.

L’opposizione, che ha fatto dell’autonomismo la foglia di fico dietro la quale conservare i privilegi delle minoranze bianche e ricche, ha perso due dei sei prefetti (governatori ) che aveva, vedendo circoscritta almeno parzialmente la sua area di influenza.
Tuttavia, l’opposizione stessa ha immediatamente rilanciato, dimostrando che non intende fare un solo passo indietro e che il lugubre slogan di “tumbar el indio”, “seppellire l’indio”, continua ad essere il cuore, se non l’unico punto, del proprio programma politico.

Al centro della questione fondamentalmente c’è il prefetto della regione di Santa Cruz, la più ricca del Paese, l'agguerrito Ruben Costas. Contrario a ogni decisione governativa in materia di economia nazionale, Costas ha sfidato più volte Morales chiamando la popolazione ad esprimersi per mezzo di votazioni sull'autonomia regionale. Non solo. Costas ha lanciato il guanto della sfida a Morales mettendo da parte il capo della polizia della regione, uomo voluto dal governo. Inoltre, ultima delle sue azioni, ha indetto per oggi un nuovo sciopero generale, con relativo blocco stradale. Dunque dalla mezzanotte di oggi tre dipartimenti (Pando, Beni e Santa Cruz) si fermeranno, le strade saranno bloccate e il traffico su ruota probabilmente verrà paralizzato causando problemi in tutto il Paese. I leader dei dipartimenti di Tarija e Chuquisasca, invece, decideranno solo oggi se aggregarsi alle proteste o definire nuove misure di lotta.

Mentre il presidente Morales tende la mano ai prefetti confermati, invitandoli a garantire la legalità e a trovare la maniera di conciliare gli statuti autonomisti (illegali) con la nuova Costituzione approvata dall’Assemblea costituente, dall’opposizione i toni sono tutt’altro che concilianti. Il prefetto di Cochabamba, che è tra i revocati dal voto popolare, si rifiuta di riconoscere il risultato e apre una crisi potenzialmente violenta per la propria rimozione. Ruben Costas di Santa Cruz, che invece è stato riconfermato, prepara un corpo di polizia autonomo imperniato sulle bande neofasciste della Unión de la Juventud Cruceña (UJC) e intima al governo di non fare alcun passo per far entrare in vigore la nuova costituzione. Sarebbe la secessione strisciante.

Al centro del contendere c'è la richiesta delle regioni ricche della restituzione dell'Idh (Impuesto Directo a los Hidrocarburos). Il governo, infatti, ha deciso di abbassare la quota di proventi in arrivo dalla tassa sugli idrocarburi promessa alle zone della produzione. Ma l'abbassamento della quota non è un'idea campata in aria. Morales, infatti, ha deciso di finanziare un progetto per gli anziani boliviani che vivono in situazione di estrema povertà. Una decisione, quella del presidente che ha fatto storcere il naso ai prefetti ribelli. E non sono mancate le violenze: già nella giornata di ieri gruppi di giovani armati di bastoni appartenenti all'Union Juvenil Crucenista hanno causato numerosi incidenti scontrandosi con i fedelissimi del presidente. Alto il bilancio dei feriti a fine giornata. Inoltre, nel popoloso quartiere Plan 3000 alcuni giornalisti e fotografi sono stati selvaggiamente malmenati e le loro auto distrutte.

A questo punto è evidente che la maggioranza è di fronte alla necessità di far valere il risultato straordinario del referendum revocatorio, che dimostra che Evo Morales è il presidente di tutti i boliviani e che ha dalla sua uno straordinario appoggio popolare, e avanzare con l’entrata in vigore della nuova Costituzione che sposterà gli equilibri e permetterà la riforma agraria e la redistribuzione delle rendite delle principali ricchezze del paese.

Dialogo, dialogo e ancora dialogo. Sembra essere questa la strada che seguirà l'esecutivo boliviano, nonostante tutto. Il ministro Alfredo Rada ha condannato gli episodi di violenza di ieri e l'annuncio di un imminente nuovo sciopero previsto per oggi. “Abbiamo sentito minacce contro la sicurezza e contro la tranquillità e la convivenza pacifica” ha detto Rada che ha aggiunto: “Adesso si mettono a dire che bloccheranno nuovamente le strade del Paese. Queste non sono misure utili alla nazione che ha bisogno di estrema tranquillità e non di scontri fisici e verbali”.

Un presidente che di fronte alla violenza generalizzata della destra rinuncia a poter viaggiare in varie regioni del paese (che è quello che è successo in questa campagna elettorale) resta un presidente dimezzato. I movimenti sociali, le grandi maggioranze, la piazza è con Evo. Il revocatorio ha dimostrato che è giunto il momento della controffensiva.


Tratto da:
Alta tensione di Alessandro Grandi
su
PeaceReporter, Italia, 20 agosto 2008
Un plebiscito per Evo Morales in Bolivia di Gennaro Carotenuto
su
LatinoAmerica, Italia, 12 agosto 2008

Articoli di riferimento:
Bolivia: cosa è in gioco col referendum revocatorio di domenica


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