sabato 30 agosto 2008

Il ritorno della guerra in Cecenia

Oggi alcuni quotidiani internazionali, anche in Russia, riportano in prima pagina notizie tragiche proveniennti dalla Cecenia, territorio caucasico ufficialmente parte della Russia e confinante con l’Ossezia. Dopo il massacro di bambini del settembre 2004 nella scuola elementare di Beslan, in Ossezia del Nord, nei media italiani non si è più sentito parlare della causa indipendentista Cecena, fino ad allora molto popolare.

Russia (Cecenia): continua a mietere vittime la guerra dimenticata della Cecenia, territorio del Caucaso strategico per il passaggio di oleodotti e gasdotti verso la Russia.
Almeno due soldati russi sono morti e undici sono rimasti feriti in attacchi suicidi da parte di ribelli ceceni nei dintorni della capitale Grozny. Anche due attentatori sono morti nelle esplosioni.
Altri attacchi a soldati russi sono avvenuti nella settimana, causando la morte di due ufficiali.
La guerra in Cecenia è un conflitto secolare che ha radici nelle politiche espansioniste della tirannide zarista nel Caucaso. I piccoli ma fieri popoli locali hanno sempre lottato per salvaguardare la loro autonomia e i Ceceni sono stati tra i più combattivi. Alla nascita dell'Unione Sovietica la Cecenia e la vicina Inguscezia furono inglobate nella Repubblica Autonoma Socialista Sovietica Ceceno-Inguscia.
Durante la Seconda guerra mondiale, sperando di liberarsi dal giogo russo, molti Ceceni si allearono con gli invasori tedeschi causando, dopo la vittoria dell'Armata Rossa, una durissima punizione. Il 23 febbraio 1944 Stalin ordinò la deportazione in Siberia, nella repubblica sovietica del Kazakhstan, di un milione di cittadini ceceni ossia l’intera popolazione (Operazione Lentil). Fu loro concesso di ritornare alla loro regione d'origine solo nel 1957, alla morte di Stalin.
Al crollo dell’Unione Sovietica la Cecenia ha tentato la via della secessione da Mosca. Due conflitti tra i ribelli separatisti e le truppe russe hanno causato la totale distruzione della capitale Grozny e la morte di circa 200.000 persone, per la metà civili.
La maggior parte della Cecenia è attualmente sotto il controllo dei militari federali russi. Dopo il massacro di Beslan nei media italiani non si è più sentito parlare della causa indipendentista Cecena.

Georgia: continuano le polemiche sul ritiro delle truppe russe dal territorio georgiano in seguito all’accordo di cessate-il-fuoco in sei punti che ha fermato le ostilità in Ossezia del Sud.
La Georgia ha annunciato la rottura delle relazioni diplomatiche con la Russia in seguito al riconoscimento da parte di quest’ultima dell’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud.
Nessun altro governo ha riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche separatiste anche se la Russia ha incassato la formale solidarietà dei membri della Shanghai Cooperation Organisation (SCO), tra cui la Cina. Abkhazia e Ossezia del Sud sono invece pronte al riconoscimento reciproco e alla firma di un trattato di cooperazione militare.
Dopo le firma del cessate-il-fuoco i soldati russi hanno preso posizione in una fascia di sicurezza oltre il confine delle repubbliche separatiste creando posti di blocco a oltre 10 km dalla frontiera e fin nel porto georgiano di Poti. Il Parlamento georgiano ha anche adottato una risoluzione secondo cui i soldati russi sul suolo georgiano, comprese le repubbliche separatiste, sono considerati ‘truppe d’occupazione’.
Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno sollevato forti critiche verso il comportamento del governo russo, secondo il quale invece gli accordi sono stati rispettati.
Secondo un portavoce del Ministero degli Esteri francese l’accordo permetterebbe ai peacekeepers russi di operare solo in immediata prossimità della frontiera sudosseta e in pattuglie, quindi stabilire posti di blocco e zone cuscinetto sarebbe una violazione degli accordi. L’Unione Europea tuttavia non ha aprovato sanzioni contro la Russia.

Thailandia: il governo centrale non riesce a far fronte alla forte inflazione e alla bassa crescita economica, scatenando proteste violente. Il Primo Ministro Samak Sundaravej è accusato di collusione con l’ex Primo Ministro Thaksin Shinawatra, in esilio a Londra e sotto processo per corruzione. Le accuse vengono da intellettuali e imprenditori del PAD, partito politico lealista monarchico che teme un colpo di stato repubblicano da parte del Primo Ministro.
Gruppi di manifestanti hanno bloccato tre aeroporti del Paese, incluso lo scalo turistico di Phuket. Oltre 15.000 persone sono bloccate nel Paese. In risposta il Primo Ministro Samak ha chiesto udienza al Re, rifiutando qualsiasi ipotesi di dimissioni.
In precedenza circa 2.000 manifestanti monarchici avevano distrutto la sede della TV di stato e occupato le sedi di alcuni ministeri e il quartier generale della polizia a Bangkok, innalzando barricate e chiedendo le dimissioni del governo. Le manifestazioni hanno fatto seguito a una campagna contro il governo lanciata da intellettuali e uomini d’affari di fede monarchica. Il Governo non ha annunciato al momento misure di sicurezza speciali ma il Primo Ministro ha affermato di star “perdendo la pazienza”.

Pakistan (Waziristan e regioni tribali): nelle regioni a nord-ovest del Paese e nella regione del Waziristan alla frontiera con l’Afghanistan i miliziani talebani supportati dalle tribù locali semiautonome si scontrano con le truppe governative filoccidentali.
La crisi politica apertasi dopo le dimissioni del dittatore filoamericano Musharraf si accompagna ad un forte intensificarsi delle violenze nelle zone di conflitto.
I due maggiori partiti che con una forte alleanza avevano prodotto le dimissioni di Musharraf hanno cominciato a litigare sulla successione a capo dello stato, presentando due diversi candidati e accusandosi reciprocamente.
In questo clima di crescente instabilità politica aumentano le violenze nel Paese. Nel sud del Waziristan 5 civili sono morti per lo scoppio di un razzo su una casa mentre 40 ribelli sarebbero stati uccisi in scontri con le truppe governative nella valle di Swat, nel nord-ovest del Paese. L’esercito ha attaccato le posizioni dei ribelli con jet e elicotteri causando attacchi suicidi in risposta.
Circa 250.000 persone hanno abbandonato le zone dei combattimenti, alcune delle quali erano mete turistiche fino all’anno scorso. I ribelli godono del sostegno della popolazione locale e i Paesi occidentali sono preoccupati dal fatto che il successore di Musharraf potrebbe non portare avanti la guerra con altrettanta determinazione.

Sri Lanka: il governo ha ufficialmente rotto l’accordo di cessate-il-fuoco con i ribelli Tamil dando inizio ad una offensiva su larga scala per mettere fine alla guerra che sconvolge l’isola dal 1983.
Almeno 45 persone sono rimaste ferite nello scoppio di una bomba in un mercato della capitale Colombo. L’attentato è stato attribuito ai ribelli Tamil.
I ribelli si fanno chiamare Tigri per la Liberazione della Patria Tamil (LTTE o Tigri Tamil). L’insurrezione armata è cominciata nel 1983 con lo scopo di creare una nazione separata per la minoranza Tamil nel nord ovest dello Sri Lanka.
I 21 milioni di persone che abitano lo Sri Lanka sono per tre quarti di etnia singalese e controllano le leve del potere nel Paese da dopo l'indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1948. I Tamil denunciano politiche di emarginazione da parte dei Singalesi e per questo lottano per l’indipendenza. A dispetto della poca celebrità di cui godono, essi detengono la paternità e il primato relativamente agli attacchi suicidi e possono vantare l’uccisione di ministri e capi di stato. La LTTE è considerata una organizzazione di terroristi dai Paesi Occidentali.

Congo: la provincia orientale del Kivu possiede grandi ricchezze nel sottosuolo. Vari gruppi ribelli su base etnica combattono contro il governo centrale continuando nei fatti quella che è stata la Grande Guerra del Congo tra il 1998 e il 2003. Nel gennaio scorso la firma di un accordo tra il governo e una dozzina di gruppi ribelli ha dato il via ad un fragile processo di pacificazione della regione.
I peggiori combattimenti da mesi sono scoppiati nella provincia del Kivu settentionale, nell’est del Congo, tra le truppe governative e i ribelli Tutsi, minacciando il fragile processo di pace. Secondo i peacekeepers dell’ONU scambi di artiglieria sono avvenuti tra l’esercito e i ribelli fedeli al comandante Nkunda. Le due parti si scambiano reciprocamente accuse circa l’inizio degli scontri.
Secondo le Nazioni Unite i combattimenti da un paio di anni a questa parte hanno causato solo in questa regione 857.000 profughi.

Filippine: i ribelli del MILF lottano da 30 anni per uno stato autonomo musulmano nel sud del Paese, corrispondente ai ‘domini ancestrali’ dei musulmani sull’isola di Mindanao. Un accordo di pace era stato raggiunto dopo anni di trattative e prevedeva l’ampliamento della Regione Autonoma Musulmana esistente, ma la Corte Suprema che ha fermato il progetto per incostituzionalità in seguito all’opposizione dei politici cattolici. Di conseguenza alcuni comandanti del MILF hanno occupato parte dei territori contestati causando feroci combattimenti con l’esercito.
Il governo filippino ha approvato la spesa di 38 milioni di dollari per rifornire l’esercito di munizioni in seguito ai recenti combattimenti con i ribelli del MILF. L’esercito ha infatti letteralmente esaurito le munizioni per l’artiglieria pesante avendo martellato nella scorsa settimana le postazioni ribelli con centinaia di granate da 105 mm.
Circa 200 persone sono morte e oltre 400.000 persone hanno lasciato le loro case in seguito ai recenti combattimenti. La guerra ha visto succedersi varie fazioni ini lotta fin dagli anni ’60, e ha causato circa 160.000 morti.

Algeria: nel 1992 un colpo di stato militare evitò l’ascesa democratica al potere di un partito fondamentalista musulmano. Da allora è cominciata una guerra civile che ha ucciso 150.000 persone. Le violenze erano quasi terminate negli ultimi anni ma sono riprese di recente quando l’ultimo gruppo combattente, il Gruppo Salafista di Preghiera e Combattimento, si è tramutato nell’ala nordafricana di al-Qaeda.
I ribelli islamisti hanno teso un’imboscata a un veicolo militare inuna regione montagnosa 350 km a est della capitale Algeri, uccidendo 2 guardie municipali e 5 soldati e ferendone 14. In un’altra regione 120 km a est di Algeri truppe governative hanno ucciso 5 ribelli in uno scontro a fuoco.
I combattenti di al-Qaeda nell’ultimo mese hanno rivendicato vari attacchi che hanno portato alla morte di 48 persone.

Colombia: nel silenzio internazionale continua la guerra tra il governo colombiano conservatore, le bande paramilitari fasciste e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), organizzazione paramilitare comunista clandestina della Colombia di ispirazione bolivariana fondata tra il 1964 e il 1966 come braccio armato del Partito Comunista Colombiano. La guerra ha provocato negli ultimi venti anni 40.000 morti e l’impressionante numero di 3 milioni di rifugiati.
Scontri mortali si sono avuti nella Valle del Cauca, nel sud est del Paese, tra guerriglieri delle FARC e soldati dell’esercito. Gli scontri hanno provocato la morte di due ribelli e di due soldati, ma anche l’uccisione di un bambino. Secondo la famiglia, i guerriglieri erano entrati di forza nella casa per rifugiarsi e quando i soldati hanno fatto irruzione hanno sparato uccidendo il bambino. L’esercito accusa invece i guerriglieri di essersi fatti scudo dei civili.
Il governo di Álvaro Uribe, pur mantenendo una alta popolarità, è considerato uno dei "fantocci" installati dal governo statunitense nel mondo. E’ fortemente criticato per i suoi tagli alla spesa sociale e per i rapporti con le bande paramilitari di destra che insanguinano il Paese.
Tuttavia Uribe, grazie ai forti aiuti militari degli USA, ha saputo costringere nell’angolo le FARC, che sono probabilmente tra le più longeve organizzazioni ribelli ancora esistenti al mondo, con una forza stimata (al 2008) di 6.000 - 16.000 effettivi, di cui tra il 20% ed il 30% con meno di 18 anni di età. I ribelli delle FARC sono considerati terroristi dai governi occidentali mentre i governi di ispirazione socialista, come quello venezuelano, li definiscono “guerriglieri combattenti”.

India (Orissa): un’impressionante ondata di violenza è scoppiata nello stato di Orissa, nell’India orientale, dopo l'assassinio di un leader induista che promuoveva una campagna contro la conversione al cristianesimo delle popolazioni locali di religione indù. Nel clima di forte intolleranza tra le due comunità religiose, la colpa del delitto è stata scaricata sui missionari che diffondono la religione cristiana tra i membri delle caste più basse.
Da quando sono cominciati gli scontri, una settimana fa, sarebbero almeno 22 le vittime delle violenze a sfondo religioso scatenate da fondamentalisti indù contro i Cristiani nello stato di Orissa. Il premier Manmohan Singh, pressato anche da appelli internazionali, ha schierato 3mila uomini a presidiare le comunità cristiane. Ciononostante, chiese e case continuano a essere nel mirino degli indù. Più di 40 chiese sono state bruciate, le case distrutte ammontano a circa 1800, ma il bilancio può crescere ancora. Più di 50mila le persone sono fuggite dai villaggi cercando riparo all'interno della giungla. Il premier Singh ha descritto gli avvenimenti come "una sciagura nazionale". Le 25mila scuole cristiane presenti nel paese sono rimaste chiuse in segno di preghiera. Finora sono state arrestate 167 persone responsabili di incendi e violenze.


Le notizie sono tratte dai maggiori quotidiani internazionali


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