venerdì 22 agosto 2008

Ossezia del Sud: l'opinione di Mikail Gorbachev

Mikhail Gorbachev (o Gorbaciov), Premio Nobel per la pace 1990, è stato l'ultimo segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS) dal 1985 al 1991, propugnatore dei processi di riforma legati alla Perestrojka e protagonista nella catena di eventi che hanno portato alla dissoluzione della Federazione dell'URSS e dello stesso PCUS.
La sua politica ha portato alla conclusione della guerra fredda.
Circa la guerra in Ossezia del Sud Gorbachev ha scritto un autorevole commento sul giornale Novaya Gazeta che riportiamo nella traduzione di Enzo Suella per Comedonchisciotte.


La Russia è stata trascinata in questa crisi. Non poteva stare a guardare.

La fase acuta del conflitto, provocato dall’attacco mosso dalle truppe georgiane contro la capitale dell’Ossezia del Sud, Tskhinvali, è alle spalle. Ma impossibili da scacciare dalla mente sono le terribili immagini: i lanci notturni di missili contro una città pacifica, la barbara distruzione di interi quartieri, la morte di esseri umani, che avevano trovato rifugio nelle cantine delle case, la distruzione di antichi monumenti, di tombe di antenati.
La Russia non voleva questo inasprimento. La sua dirigenza gode di una posizione sufficientemente solida all’interno del paese – non aveva bisogno di una “piccola guerra vittoriosa”. La Russia è stata trascinata in questa crisi; essa è il risultato dell’avventura di Saakashvili, che non vi si sarebbe deciso se non avesse avuto un appoggio dall’esterno. La Russia non poteva stare a guardare. Vi è stata una risposta, si è posto fine all’aggressione.
La decisione del presidente Dmitrij Medvedev di far cessare le operazioni militari è stato un passo giusto e responsabile. In questi giorni il presidente russo ha agito con calma, con convinzione e con fermezza. Se qualcuno aveva contato su una Russia in preda allo smarrimento, ebbene, ha fallito.

Ora è sempre più chiaro un altro calcolo: qualsiasi sia l’esito, scaricare sulla Russia la colpa dell’inasprimento della situazione nella regione e nel mondo. Contro la Russia è stato sferrato, da parte degli organi di informazione occidentali, soprattutto americani, un vero e proprio attacco propagandistico su vasta scala. Nei servizi giornalistici sulla crisi, soprattutto dei primi giorni, non c’è stato un minimo di obiettività. All’opinione pubblica occidentale non è stata fornita un’informazione completa e obiettiva.
Tskhinvali era in ginocchio, dappertutto vi erano rovine fumanti, migliaia di persone si mettevano in salvo fuggendo dalla città – non vi erano ancora le truppe russe – e la Russia già veniva accusata dell’aggressione, mentre si ripetevano le frasi del leader georgiano; costui ha superato ogni limite e si è superato nel dire bugie.

Era a conoscenza l’Occidente dei piani di Saakashvili? Ecco una domanda seria, che ancora non ha avuto una risposta del tutto chiara. Qualunque sia questa risposta, i programmi di addestramento delle truppe georgiane e le massicce forniture di armi non contribuivano certo alla pace, ma bensì incitavano alla guerra.
Ma anche nell’ipotesi che questa avventura militare sia giunta inaspettata per i protettori del leader georgiano, anche in questo caso non va bene: il risultato è che il più debole manipola il più forte. Quanti complimenti sono stati rivolti a Saakashvili: “un alleato, un democratico”, dà una mano in Iraq, e così via. E ora a tutti – a noi, agli europei e, soprattutto, ai pacifici cittadini – tocca porre rimedio alle conseguenze delle azioni del “migliore amico” degli Stati Uniti.

Prima di dare un giudizio sui fatti del Caucaso e, soprattutto, prima di avere la pretesa di poter esercitare un’influenza laggiù, bisogna perlomeno averne un’idea, di questa regione enormemente complessa. Gli abitanti dell’Ossezia vivono sia in Georgia che in Russia. E in tutta la regione è lo stesso. In tutti i paesi siamo in presenza di una vera e propria frammentazione etnica, diversi popoli vivono fianco a fianco. E vanno rigettate tutte le chiacchiere del tipo “questa è la nostra terra” e “noi stiamo liberando la nostra terra”. Su quella terra ci vivono persone, a loro bisogna pensare. Non si può cercare di risolvere con la forza i problemi del Caucaso. Ci hanno provato più di una volta, e ogni volta si sono dati la zappa sui piedi. C’è bisogno di un accordo, che abbia forza giuridica, sul non impiego della forza. Saakashvili si è ripetutamente rifiutato di firmarlo, e ora appare chiaro il perché. Se l’Occidente contribuisse al raggiungimento di un tale accordo, farebbe una buona cosa. Ma se invece l’Occidente prende un’altra direzione, e cioè condanna la Russia e riarma la Georgia ( e di questo già parlano figure istituzionali americane), allora è inevitabile un nuovo inasprimento, che finirà ancora peggio.

Negli ultimi giorni il segretario di stato americano Condoleezza Rice e anche il presidente Bush, mettono paura alla Russia, minacciandola di isolamento; i politici americani parlano di escludere il nostro paese dal G8, parlano della soppressione del Consiglio Russia-NATO, minacciano di non permettere alla Russia l’accesso al WTO. Minacce vane. E in Russia ci si chiede: se non siamo presi in considerazione, che ce ne facciamo di tutti questo? Solo per il gusto di sedersi a una tavola ben apparecchiata, dove ci fanno la predica?

Ed effettivamente, in tutti questi anni, la Russia è stata continuamente messa davanti a fatti compiuti: ed ecco quindi il Kosovo, l’uscita dall’accordo sullo SDI e l’installazione di elementi antimissilistici in paesi vicini, ecco ancora l’incessante allargamento della NATO e così via, mentre sullo sfondo si pronunciavano dolci discorsi sulla “partnership”. Questo non è altro che un paravento! A chi piacerà?
Ora negli Stati Uniti si sentono voci che invitano a “rivedere” i rapporti con la Russia. Penso che se c’è qualcosa da rivedere, questo è prima di tutto il modo di rivolgersi alla Russia con tono di superiorità, senza tenere conto della sua posizione e dei suoi interessi. I nostri paesi possono elaborare un serio ordine del giorno, che abbia per oggetto una collaborazione vera, non fatta solo di parole. Mi pare che questo lo capiscano sia molti americani, sia i russi. Ora tocca ai politici.
Recentemente è stata creata una commissione bipartisan sulle relazioni russo-americane, presieduta dall’ex senatore Gary Hart e dal senatore Chuck Hagel. Ne fanno parte persone serie, e, a giudicare dal mandato che la stessa commissione ha ricevuto, e che è stato reso pubblico, queste persone capiscono che cosa è la Russia e quanto sia importante instaurare con essa relazioni costruttive.

La commissione ha dichiarato che elaborerà delle raccomandazioni, per “portare avanti gli interessi nazionali americani nelle relazioni con la Russia”. Se si pensa solo a questo, non ne verrà fuori niente di buono. Ma se si tiene conto degli interessi della controparte, dell’interesse alla comune sicurezza, se si aggiunge una dose, necessaria, di ragionevolezza e di realismo, allora è possibile intraprendere un cammino che porti alla ripresa della fiducia e a un serio lavoro in comune.


Tratto da:
Предварительные итоги di Mikail Gorbachev
su
Novaya Gazeta, Russia, 18 agosto 2008
tradotto da Enzo Suella per Comedonchisciotte


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