giovedì 7 agosto 2008

I conflitti sociali inseguono Morales alla vigilia del referendum

La Bolivia vota domenica 10 agosto la continuazione del mandato del Presidente, Evo Morales, del suo vice presidente, Álvaro García Linera, e di otto dei nove Governatori regionali, sei tra questi all’opposizione.

Il governo boliviano ha investito molto in questo referendum ma non bisogna mai vendere la pelle dell'orso prima di averlo ucciso.

La competizione sembrava vinta da Morales ancora prima di iniziare, ma i presupposti sono cambiati in questi giorni in un folle e imprevedibile sprint dopo l'entrata in scena di profondi disordini a sfondo sociale che hanno aggiunto ingredienti destabilizzanti alla grave crisi istituzionale guidata dai movimenti separatisti di destra, cui si confronta il Paese.(
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Alla vigilia di un voto così determinante, la Bolivia appare come un calderone in ebollizione in attesa di scoppiare ancora una volta. I giorni appena trascorsi hanno prodotto scontri, feriti e morti. I protagonisti dei conflitti si schierano sia da sinistra che da destra contro il governo di Morlaes.
Cochabamba, Oruro, Sucre, Tarija e Santa Cruz le regioni coinvolte.

Il 6 agosto scorso, il 183° anniversario della nazione boliviana è stato festeggiato a Sucre senza il suo Presidente e senza nessun parlamentare o rappresentante del partito di governo.
Evo Morales ha scelto di rimanere a La Paz per evitare probabili tensioni che la sua presenza durante i festeggiamenti avrebbe potuto scatenare. Ciò che si trova ad affrontare Morales è senza dubbio il momento più difficile della sua storia di governo: di fatto, in quest’ultima settimana, solo due dei nove dipartimenti hanno potuto ospitare il presidente, gli altri sono stati ritenuti troppo rischiosi per la sua stessa incolumità.

Così come ieri a Sucre, capitale costituzionale del paese, anche martedì a Tarija Morales è stato costretto a cancellare il suo arrivo a causa dei tumulti scoppiati nella capitale chapaca. Il presidente boliviano insieme alla presidente dell’Argentina Cristina Fernández de Kirchner e del Venezuela Hugo Chávez avrebbero dovuto firmare alcuni progetti d’integrazione energetica nella comunità di Portillo, a 10 kilometri dalla città di Tarija.

Le proteste dei civicos, gruppi di destra, nel recente passato più volte protagonisti di violenze razziste contro gli indigeni, hanno però impedito che l’incontro si tenesse: hanno tentato di occupare l’aeroporto della città scontrandosi ripetutamente con le forze dell’ordine e occupato l’hotel dove avrebbero dovuto alloggiare i venezuelani del gruppo di Chavez.

Martedì scorso a Trinidad, sicari aderenti all’ultradestra hanno tentato di assassinare Juan Ramón Quintana, ministro del governo, sparando contro l’auto che lo portava e distruggendone i finestrini.

A Cochabamba, sempre nella giornata di martedì, anche qui per la legge sulle pensioni, maestri rurali e urbani hanno bloccato per alcune ore le strade principali della città e la strada statale verso Oruro. Migliaia tra padri e madri di famiglia simpatizzanti del governo del Mas, armati di pali e pietre, hanno marciato verso i punti dove si trovavano i blocchi stradali, disposti a scontrarsi con i maestri che sono stati costretti ad indietreggiare.

A Santa Cruz il prefetto Ruben Costas e il presidente del Comitato Civico Branko Marinkovic, nel Beni il prefetto Ernesto Suárez, e gruppi aderenti ai partiti di destra in tutto l’Oriente boliviano contestano il governo con picchetti e scioperi della fame perché venga restituita ai ricchi dipartimenti secessionisti la Tassa diretta sugli idrocarburi, confiscata dallo stato centrale con la legge Renta dignidad.

Martedì scorso a Caihuasi, nel dipartimento di Oruro, sono morte due persone, due minatori, due ragazzi, uno di 22 e uno di 25 anni, uccisi probabilmente da proiettili di arma da fuoco esplosi dalle forze dell’ordine, che erano intervenute per disperdere i manifestanti e per rimuovere i blocchi stradali sulla strada principale Oruro-Cochabamba.

I manifestanti hanno incendiato un autobus civile e colpito con attacchi dinamitardi un camion e un ponte. Attualmente detengono sotto sequestro un sergente della Polizia e hanno dichiarato di rilasciarlo solo in cambio della scarcerazione di alcuni minatori detenuti in seguito agli scontri.

I minatori hanno chiesto al presidente la rapida esecuzione delle promesse di miglioramenti per un settore che, rappresentando una fonte di ricchezza nel paese, va avanti in condizioni deplorevoli. La fiducia è stata spezzata e, dopo le violente proteste del 2006 con 16 morti, Villarroel è stato sostituito.

Da allora, Morales ha avuto i minatori contro. Dapprima li ha accusati di essere "intransigenti" e "capricciosi", poi al servizio di una cospirazione di "elementi interni ed esterni" per porre fine al suo progetto indigenista. Oggi lo supportano solo le cooperative di minatori. Domenica andranno a votare per lui sotto la pressione di perdere i loro contratti con lo stato se Morales perde. Invece i minatori statali, in gran parte appartenenti alla potente Centrale Operaia Boliviana [Central Obrera Boliviana], il più grande sindacato della Bolivia, esigono che il governo di Morales approvi la riforma delle pensioni solidali, abbassando l'età pensionabile da 65 a 55 anni, e rifiuti il modello vigente basato sulla capitalizzazione individuale. Felipe Machaca, leader della COB, ha avvertito che dopo i morti di martedì, le dimostrazioni sono diffuse in tutto il paese.

Il problema delle pensioni ha inoltre portato in piazza migliaia di insegnanti statali che martedì hanno bloccato diverse strade del Paese e si sono scontrati con bastoni e pietre contro i genitori degli alunni, ai quali si rifiutano di insegnare fino a quando il Presidente abbia soddisfatto le sue promesse. Gli insegnanti hanno proclamato uno sciopero generale indefinito, che entrerà in vigore domani.

Colpisce in modo particolare il caso dei disabili i cui rappresentanti accusano il governo di rompere le promesse elettorali. Nel corso della campagna elettorale del 2004, Morales aveva promesso loro un bonus di 3.000 boliviani ogni anno (circa 428 dollari) in cambio dei loro voti. Morales ha vinto, ma il bonus non è mai stato pagato. E benché non sia un conflitto di grande impatto economico come i primi due, le immagini delle forze di polizia che vanno alla carica dei disabili nelle strade di La Paz sono un grande colpo ai fianchi dell'attuale amministrazione boliviana, che più di altri ne ha sporcato l’immagine.

I minatori aderenti alla COB mantengono tuttora i blocchi stradali e non sembrano intenzionati a diminuire la portata della protesta. Come più volte riportato da alcune firme dei principali giornali del paese, l’attuale e importante mobilitazione operaia, che articola minatori, lavoratori del settore sanitario e maestri in uno scontro contro il governo, mette in luce uno dei punti deboli del proceso de cambio portato avanti dal Mas: «Secondo i sindacalisti, l’esecutivo propone di consolidare il modello di pensioni neoliberale attraverso un sistema ‘misto’ sostenuto principalmente dai contributi individuali dei lavoratori».

Nella giornata di ieri a Sucre è stata forte la contestazione da parte della COD [Central Obrera Departamental] che ha accusato direttamente il governo della responsabilità dei due morti e si esprime, d’accordo con la Centrale nazionale, per il No a Morales nel referendum revocatorio.
Il vicepresidente Alvaro Garcia Linera afferma che la COB si è convertita nell’ «ariete della destra antidemocratica» e accusa direttamente Jaime Solares, dirigente della COD di Oruro, di essere il diretto responsabile degli scontri e delle due vittime, accusandolo inoltre di collusione con i partiti di destra. Intanto Solares, per salvaguardare la propria incolumità, si è dato alla clandestinità.

I due morti di martedì si sommano alle altre decine (da 28 a 41) che per varie circostanze violente hanno perso la vita da quando Morales è entrato in carica nel gennaio 2005. Il primo indiano a diventare capo di Stato in questo paese mantiene ancora un elevato indice di popolarità, che è circa al 50%, e che dovrebbe essere sufficiente per avere successo nel voto di domenica.

Gli oppositori del presidente fino a pochi giorni fa sono stati i politici che si oppongono al suo modello di stato indigenista sancito nella nuova Costituzione, ancora in attesa di approvazione. Tuttavia, ore prima della apertura delle urne, violente proteste sono venute da ambienti del disagio sociale e del lavoro, due settori in cui Morales sembrava imbattibile e sui quali si è appoggiato per raggiungere la carica di Capo di Stato. Nonostante la propaganda che invade da più di un anno televisioni, radio e giornali con lo slogan ‘Evo riunisce’, gli scioperanti lo accusano di agire altrimenti.

Le principali controversie vedono protagonisti i minatori e gli insegnanti della scuola pubblica. Con Morales all’opposizione, i primi si convertirono nella forza di sfondamento del leader indigeno. La luna di miele è durata per un po' di tempo dopo l'arrivo al potere del leader del Movimento Al Socialismo (MAS). Morales ha nominato ministro Walter Villarroel, leader sindacale.

A questo cocktail di problemi sociali si somma la rivolta autonomista cui ha aderito quasi la metà del territorio boliviano insorto contro l'autorità dell’esecutivo fino all’approvazione di leggi considerate illegali dal governo centrale.

Davanti a questo panorama di scontri e violenze, il governo di Morales, dalla sede sicura di La Paz, invita a guardare con serenità al referendum del prossimo 10 agosto e a rispettare il voto popolare che uscirà dalle urne. La consapevolezza di una molto probabile riconferma di Evo sposta l’attenzione sul fatto che coloro che dovrebbero temere di più il referendum revocatorio sono quegli stessi prefetti che da lunghi mesi e con strategie di destabilizzazione portano avanti la bandiera dell’autonomia, ma che nell’arco di due anni non sono riusciti mai a raggiungere la base elettorale del MAS. Almeno fino ad adesso.

Ma la ciliegina sulla torta di tutti questi contrasti è la discussione sulla percentuale di voti necessari a che le 10 persone che sono sottoposte al plebiscito di domenica debbano abbandonare il potere. Mentre il governo difende l'attuale legge, in virtù della quale sono necessari più voti di quelli con i quali i politici sono stati eletti alla carica, il Tribunale elettorale ritiene che basti solo un 50% più uno dei voti complessivi. "La legge è legge e il resto è opinione," ha ripetuto Morales.


Tratto da:
Bolivia con il fiato sospeso di Andrea Lorini Associazione Yaku
su
Carta, Italia, 7 agosto 2008
Los conflictos sociales cercan a Evo Morales en vísperas del referéndum di M. Azcui / J. Marirrodriga
su
EL PAÍS, Spagna, 7 agosto 2008
tradotto da Bruno Picozzi

Articoli di riferimento:
La parte ricca della Bolivia boicotta il referendum sulla gestione di Morales


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