Terminate ufficialmente le operazioni militari in Ossezia del Sud, sia la Russia che la Georgia hanno accettato il piano di pace in 6 punti presentato dal Presidente francese Sarkozy a nome della UE e che prevede sostanzialmente il ritorno allo status quo. Intanto anche i leader separatisti abkhazo e sudosseto, rispettivamente Serghei Bagapsh e Eduard Kokoity, hanno firmato a Mosca il piano di cessate-il-fuoco.
Secondo Le Monde, il Presidente georgiano Saakashvili ha giocato le sue carte invadendo l'Ossezia del Sud, ma ha perduto. Come i pifferi di montagna che andarono per suonare e furono suonati. In questo caso, al prezzo di danni incalcolabili!
Secondo BBCNEWS il governo georgiano lamenta 175 morti, in maggioranza civili. Mosca invece afferma che 74 soldati russi hanno perso la vita, ma denuncia la morte di circa 2.000 civili sudosseti a causa dei bombardamenti georgiani.
Numeri da verificare. Certo invece il numero di 100.000 sfollati tra Russia, Georgia e all'interno dell'Ossezia del Sud, cifra fornita dall'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Certa anche la distruzione della capitale sudosseta Tskhinvali.
Dopo aver mentito e smentito per giorni, la Russia ha ammesso l'occupazione di Gori e Poti, sebbene sia ufficialmente in atto il ritiro e la riconsegna delle città alle autorità georgiane.
Dall'altro lato del confine duecento prigionieri di guerra georgiani stanno lavorando a Tskhinvali per rimuovere le macerie causate dai bombardamenti dei giorni scorsi.
Sembra quindi si stia raffreddando la crisi che scuote le regioni separatiste dopo l'attacco delle truppe georgiane in Ossezia del Sud nella notte tra giovedì e venerdì scorsi e il contrattacco russo in Ossezia e Abkhazia.
Eppure chiunque parli di pace o di soluzione mente sapendo di mentire. E mente spudoratamente chiunque racconti che improvvisamente è scoppiata la guerra.
La verità è che in Ossezia del Sud e in Abkhazia si è riaccesa in questi giorni una delle tante guerre dimenticate dai media nostrani. Chi invece mastica un po’ di geopolitica sa che tutto il Caucaso è una polveriera da secoli e tale purtroppo rimarrà per lungo tempo.
E avendo letto e ascoltato per giorni fiumi di dichiarazioni del noto pacifista George Bush e dei suoi alleati, citati a ripetizione dai principali giornali occidentali, ci permettiamo di segnalare qualche voce discordante che a nostro giudizio andrebbe ascoltata per pura onestà intellettuale.
Dietro l'Ossezia lo scontro tra Usa e Russia di Carlo Benedetti
apparso su Cani Sciolti
"Saakashvili ha commesso un grave errore politico" di Antonella Marrone
apparso su Comedonchisciotte
Guerra tra Russia e Georgia in Ossezia del Sud e Abkhazia di Bruno Picozzi
apparso su BIPPIblog
Chi sa dov'è l'Abkhazia?
apparso su BIPPIblog
Cosa succede nel Caucaso di Maria Magarik
apparso su Articolo 21 Liberi di
Il Bossi di Tbilisi di Maurizio Blondet
apparso su EFFEDIEFFE
NB: gli articoli di Blondet sono analisi sempre molto profonde ma non sempre sono condivisibili nei toni, a volte sporcati di xenofobia e antisemitismo.
Da considerare che persino un articolo di Al Jazeera, giornale tutt'altro che tenero con la Russia, riporta quanto segue:
Giona Hull, reporter di Al Jazeera da Tbilisi, ha detto che la guerra è stata "fatta oggetto di disinformazione da entrambe le parti".
"I Russi hanno agito, senza dubbio, in modo atroce e con disproporzionato vigore. Essi hanno causato la morte di civili e distrutto installazioni civili", ha detto. "Ma c'è bisogno a un certo punto di tenere in conto ciò che i Georgiani hanno fatto in tutto questo, dando effettivamente avvio alla guerra per primi... con un fuoco di fila monumentale contro Tskhinvali, la capitale dell’Ossezia meridionale."
"Io sono stato a Tskhinvali per otto ore venerdì scorso, non c'era niente se non brevi pause nell'enorme fuoco di sbarramento di artiglieria [georgiana] contro una città delle dimensioni di un sobborgo di Londra. La distruzione e i danni causati lì, che riteniamo potrebbe essere costati la vita a 2.000 persone, non sono stati fatti dai Russi".
Cenni storici sulla crisi in Ossezia del Sud
I piccoli e fieri popoli che abitano queste regioni di confine tra Asia e Europa, esposti da sempre ai capricci dei grandi imperi, si sono convertiti all’occasione in cristiani e musulmani, bolscevichi e menscevichi, filonazisti e antinazisti, filorussi e filoccidentali, sempre e solo alla ricerca della propria identità e autonomia. Di tanto in tanto la storia del Caucaso vede nascere e repentinamente morire una repubblica autonoma o indipendente.
Gli Zar russi fecero terra bruciata nel Caucaso a partire dal 1700, contrastando l'avanzata del potente Impero Ottomano. La rivoluzione d’ottobre mise questi popoli gli uni contro gli altri. A partire dal 23 febbraio 1944, alla ricerca di una soluzione definitiva del problema caucasico, il georgiano Stalin deportò oltre un milione di Ceceni, Ingusci, Balcari, Caraciai, ecc. in Asia centrale e in Siberia. (Un terzo di essi morì durante il trasporto in carri bestiame non riscaldati e sigillati. La stessa sorte toccò ai Tatari di Crimea, ai Calmucchi e ai Meschi di Georgia, e ai Tedeschi del Volga, installati nella zona da due secoli e che erano stati il pilastro del potere bolscevico durante la guerra civile). I popoli deportati tornarono decimati alle loro terre solo dopo la morte del dittatore sovietico.
In Ossezia del Sud la guerra recente è scoppiata alla caduta del regime sovietico che aveva diviso gli Osseti tra una regione amministrativa russa e una georgiana, essendo la Georgia parte dell'Unione Sovietica. I leader politici dell’Ossezia del Sud, crollato il potere forte centrale, hanno spinto per la riunificazione con l’Ossezia del Nord in seno alla nuova Russia. Ma la Georgia, supportata dai Paesi occidentali, ha fatto orecchie da mercante. Ne è nata una guerra (1991-92) che ha causato fino a 3.000 morti e quasi 100.000 profughi. In conseguenza di ciò solo il 15% degli Osseti vive oggi nell'Ossezia del Sud, e la quasi totalità di questi ha un passaporto russo.
Altra conseguenza della guerra fu l’espulsione dal territorio osseto dei Georgiani, come avvenne anche in Abkhazia per dinamiche simili. In Ossezia fu istituita una forza di peacekeeping costituita da Osseti, Russi e Georgiani. Nel 1992 l'OSCE organizzò una missione in Georgia per monitorare le operazioni di peacekeeping.
Da allora fino alla metà del 2004, l'Ossezia del Sud è stato un territorio sostanzialmente pacifico, formalmente autonomo e de facto indipendente.
Nel giugno 2004, è riesplosa la tensione in seguito alla ‘rivoluzione delle rose’ contro Shevardnadze, allora Presidente della Georgia ed ex Ministro degli Esteri dell’Unione Sovietica. Mikheil Saakachvili, nuovo Presidente della Georgia, filoccidentale e riformista, sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Europa, batté il tasto del nazionalismo contro le tre province indipendentiste di Ossezia del Sud, Abkhazia e Ajaria. Solo quest’ultima regione, culturalmente poco dissimile dalla Georgia, ha accettato infine di essere una provincia autonoma della Georgia. Le altre due regioni, confinanti con la Russia, continuano ad autogovernarsi col sostegno di Mosca.
La guerra a cui assistiamo oggi ha radici lontane nel tempo e mescola questioni storiche, problemi di identità nazionale, lingua e religione, equilibri strategici dovuti al controllo delle risorse di gas e petrolio della regione, considerazioni sull’autodeterminazione dei popoli.
Ciò che è innegabile è che gli Osseti (del nord e del sud) sono un popolo la cui cultura e lingua non sono né russe né georgiane, e hanno il diritto, come tutti, di vivere in una terra propria e di decidere del proprio futuro.
Il presidente Dmitri Medvedev ha affermato che Mosca appoggerà «qualsiasi decisione sullo status di Abkhazia e Ossezia del sud che verranno prese dai popoli di quelle repubbliche in considerazione dello statuto del'Onu, della convenzione internazionale del 1966 e dell'atto di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa». E se da un lato Washington e gli alleati occidentali si schierano apertamente a favore della Georgia e non considerano in discussione l'integrità territoriale georgiana, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov sottolinea che l'integrità territoriale georgiana è «limitata de facto» e la questione non può essere risolta se non «con la ricerca di strade mutualmente accettabili».
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