sabato 23 agosto 2008

Guerra aperta in Pakistan e Somalia

Da alcune settimane il BIPPIblog lavora come Redazione Internazionale sperimentale dell’iniziativa di Informazione ScatenaTA.
Abbiamo provato a seguire il conflitto in Ossezia del Sud contemporaneamente a tutte le altre crisi che colpiscono il mondo ed è stato un lavoro difficile ed entusiasmante.
Da oggi proviamo a dare giorno per giorno un panorama di ciò che succede al mondo.


Pakistan: nelle regioni a nord-ovest del Paese e alla frontiera con l’Afghanistan i miliziani talebani supportati dalle tribù locali semiautonome si scontrano con le truppe governative filoccidentali.
La crisi politica apertasi dopo le dimissioni del dittatore filoamericano Musharraf si accompagna ad un forte intensificarsi delle violenze nelle zone di conflitto.
Un attentatore suicida ha introdotto un’autobomba in una stazione di polizia nella città di Chaharbagh, distruggendo l’edificio nell’esplosione e uccidendo 8 agenti. L’attentato è stato rivendicato dai Talebani.
Un altro attentato ha ucciso una bambina ed un uomo nella città di Barikot mentre alcuni razzi lanciati su un’altra stazione di polizia a Bada Bahr hanno ucciso un poliziotto ferendone altri due.
Scontri sono avvenuti nel distretto settentrionale di Swat. Combattenti locali avrebbero teso un’imboscata alle truppe governative. Secondo l’esercito 4 soldati e 35 ribelli sarebbero rimasti uccisi. Altri 16 ribelli sarebbero stati uccisi nella regione.
Nella stessa area i ribelli hanno fatto saltare 4 ponti.
In una delle regioni tribali semiautonome, Bajaur, un offensiva dell’esercito nelle scorse due settimane ha lasciato 500 morti. L’esercito afferma che si trattasse in maggioranza di conbattenti talebani.
In risposta a queste operazioni i Talebani hanno rivendicato un doppio attacco suicida che ha ucciso 64 persone in una delle maggiori fabbriche di armi del Paese, nella città di Wah.
E’ di oggi la notizia che il Partito del Popolo (PPP) avrebbe nominato Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, come prossimo candidato alla presidenza del Paese. (Al Jazeera.net)

Somalia: non tengono i fragili accordi di pace del giungo 2008 tra il debole governo di Mogadiscio, l’Etiopia e i signori della guerra locali appoggiati dai miliziani delle Corti Islamiche.
Dopo tre giorni di combattimenti e 70 morti, un gruppo armato ribelle fiancheggiatore delle Corti Islamiche, al-Shabab, ha preso il controllo del porto meridionale di Kismayu, il più grande del Paese.
Lo stesso gruppo era stato cacciato dalla città dall’arrivo dell’esercito etiopico accorso in aiuto del governo somalo contro le potenti Corti Islamiche a inizio 2007.
In questo momento al Shabab opera indipendentemente dalle Corti Islamiche e si propone di non negoziare col governo fin quando le truppe etiopiche saranno in Somalia.
A causa della sua posizione strategica il porto di Kismayu ha cambiato padrone almeno 30 volte da quando è cominciata la guerra civile in Somalia che ha provocato 6mila morti solo nell’ultimo anno.
Dalla caduta del dittatore Siad Barre nel 1991, il Paese ha visto almeno 14 diversi tentativi di riempire il vuoto di potere, tra cui la più disastrosa di tutte le missioni ONU, la UNOSOM, terminata nel sangue nel 1994. Attualmente il processo di pace è supportato dai ‘caschi verdi’ dell’Unione Africana, peacekeepers dell’Uganda e del Burundi. Secondo gli accordi la forza multinazionale dovrebbe prendere il posto dell’esercito etiope.

Sri Lanka: le forze governative si avvicinano alle roccaforti tamil.
Continua da tre giorni la pesante offensiva delle forze governative contro i ribelli delle Tigri tamil. 24 guerriglieri tamil sono rimasti uccisi e altri 40 feriti, mentre tra le fila dell'esercito di Colombo si contano 4 soldati morti e altri 14 feriti.
Negli ultimi mesi la campagna del governo contro l'Ltte (Liberation Tigers of Tamil Eelam) ha subito una brusca accelerazione. Da quando è ufficialmente caduto, a gennaio, un debolissimo cessate-il-fuoco, Colombo ha mosso attacchi da terra, aria e mare nel tentativo di circondare e isolare i ribelli nelle roccaforti del nord: Jaffna, Vavuniya, Kilinochchi Mullaitivu. Tra la fine di luglio e gli inizi di agosto, le Tigri avevano offerto una tregua per consentire il tranquillo svolgimento del meeting regionale South Asian Association for Regional Cooperation (Saarc). Il governo ha risposto attaccando massicciamente, non volendo concedere tempo al nemico per riprendere fiato. Più volte il premier Ratnasiri Wickramanayaek si è detto intenzionato a concludere la guerra entro la fine dell'anno che da quando è cominciata, 25 anni fa, ha provocato la morte di circa 70.000 persone.

Algeria: nel 1992 un colpo di stato militare evitò l’ascesa democratica al potere di un partito fondamentalista musulmano. Da allora è cominciata una guerra civile che ha ucciso 150.000 persone. Le violenze erano quasi terminate negli ultimi anni ma sono riprese grazie al supporto di al-Qaeda.
L’ala nordafricana di al-Qaeda, ex Gruppo Salafista di Preghira e Combattimento, ha rivendicato gli attentati con autobombe della scorsa settimana che hanno ucciso 12 persone e ferito altre 42 nella città di Bouira, vicino Algeri.

Filippine: i ribelli del MILF lottano da 30 anni per uno stato autonomo musulmano nel sud del Paese, corrispondente ai ‘domini ancestrali’ dei musulmani sull’isola di Mindanao.
Almeno 10 persone sono state uccise appena dopo che il governo ha rotto un accordo di pace con i separatisti musulmani del MILF. Secondo fonti governative i ribelli hanno teso un’imboscata a una pattuglia di soldati e nello scontro sarebbero morti 10 ribelli mentre 5 soldati sarebbero stati feriti.
L’accordo di pace raggiunto tra governo e ribelli dopo anni di trattative prevedeva l’ampliamento della Regione Autonoma Musulmana, ma l’opposizione dei politici cattolici a provocato il blocco dell’accordo da parte della Corte Suprema che ha tacciato il progetto di incostituzionalità. In seguito alle manovre della Corte Suprema alcuni comandanti del MILF hanno occupato parte dei territori contestati causando feroci combattimenti con l’esercito.
Oltre 160.000 persone hanno lasciato le loro case in seguito ai recenti combattimenti.

Iraq: un grosso contingente di forze internazionali guidato dagli Stati Uniti ha invaso il Paese nel 2003, portando alla caduta del dittatore Saddam Hussein e alla creazione di un governo filoccidentale.
I governi di Stati Uniti ed Iraq sono vicini ad un accordo sul futuro status dei soldati americani nel Paese. L’accordo dovrebbe governare i limiti di sovranità delle forze di occupazione e del governo stesso. Secondo alcune fonti l’accordo prevederebbe il ritiro del grosso delle forze americane dal prossimo giugno, mentre piccoli contingenti rimarrebbero a controllare alcune basi fino alla fine del 2011. Resta comunque il problema della presenza militare americana percepita dalla gente come forza di invasione.
Al momento vi sono 144.000 soldati USA in Iraq.

Afghanistan: negli ultimi mesi molti analisti concordano nel dire che i Talebani starebbero ricostruendo il loro potere e lentamente rioccupando il Paese.
Centinaia di Afghani hanno inscenato una protesta nel distretto di Shindand cantando slogans anti-americani e gettando pietre verso i soldati dell’esercito afghano dopo che il Ministero degli Interni afghano ha dichiarato la morte di 76 persone, in maggioranza donne e bambini, colpiti da un raid aereo americano. I soldati hanno dovuto sparare in aria per disperdere la folla.
Secondo le Nazioni Unite, dei 700 civili uccisi dai combattimenti quest’anno, 255 sarebbero morti in seguito ad azioni della coalizione guidata dagli Americani.
La coalizione internazionale ISAF, che ha invaso l’Afghanistan nel 2001 e rovesciato il governo dei Talebani, conta su circa 53.000 soldati, per i due terzi americani. La guerra ha causato ad oggi oltre 40.000 morti, per oltre metà civili.

Georgia: continuano le polemiche sul ritiro delle truppe russe dal territorio georgiano in seguito all’accordo di cessate-il-fuoco in sei punti che ha fermato le ostilità in Ossezia del Sud.
I soldati russi continuano a ritirarsi dalla Georgia ma le autorità georgiane denunciano la presenza di posti di blocco russi a oltre 10 km dalla frontiera e fin nel porto di Poti. Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno sollevato forti critiche verso il comportamento del governo russo, secondo cui invece gli accordi sono stati rispettati.
Secondo un portavoce del Ministero degli Esteri francese l’accordo permetterebbe ai peacekeepers russi di operare solo in immediata prossimità della frontiera sudosseta e in pattuglie, quindi stabilire posti di blocco e zone cuscinetto sarebbe una violazione degli accordi.
Allo stesso tempo fonti georgiane confermano che la città di Gori è di nuovo controllata dalle forze di sicurezza di Tbilisi.

Perù: continua il braccio di ferro tra il Presidente Garcia e le tribù indigene circa i diritti di sfruttamento del territorio amazzonico.
Migliaia di indigeni peruviani hanno festeggiato dopo che il Parlamento ha votato il ritiro di due leggi proclamate dal Presidente Garcia, grazie ai suoi poteri speciali, per permettere lo sfruttamento del sottosuolo amazzonico che sembra sia ricco di materie prime.
Le tribù indigene si oppongono fermamente a questa ipotesi temendo la distruzione del loro ambiente e stile di vita. In segno di protesta 12.000 indigeni appartenenti a 65 tribù differenti avevano occupato installazioni petrolifere e generatori di elettricità nella regione amazzonica creando forti disordini.
Garcia ha dichiarato che la non approvazione delle leggi è un terribile errore che condannerà centinaia di migliaia di persone alla povertà e all’esclusione.

India: uno sciopero convocato dai separatisti musulmani ha paralizzato la regione del Kashmir, da sempre teatro di guerre e tensioni tra musulmani e hindu e attualmente divisa a metà tra il Pakistan musulmano e l’India a maggioranza hindu.
I tre giorni di sciopero arrivano dopo una grande manifestazione separatista che ha visto in piazza centinaia di migliaia di persone e dalla quale sono nati scontri tra militanti e soldati che hanno portato alla morte di 15 persone.
La settimana scorsa, nel corso di unàaltra manifestazione di protesta, la polizia ha sparato sulla folla causando 21 morti.

Mauritania: il Primo Ministro è stato messo agli arresti domiciliari dalla giunta militare autrice del colpo di stato che ha rovesciato le autorità democraticamente elette.
Il Primo Ministro è stato arrestato per aver partecipato ad una manifestazione contro il colpo di stato del 6 agosto scorso. La Francia, ex potere coloniale, sta minacciando la sospensione di tutti gli aiuti europei alla Mauritania. Già la Banca Mondiale ha sospeso i versamenti concordati per 175 milioni di dollari su 17 progetti di sviluppo.


Le notizie sono tratte dai maggiori quotidiani internazionali online.


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