venerdì 12 settembre 2008

11 settembre. Quello cileno.

Ci preme ricordare oggi un altro 11 settembre, quello cileno. L’11 settembre 1973, 35 anni fa, per diretto intervento della Cia, ispirata dal presidente americano Nixon e dal fido consigliere Kissinger, il generale Augusto Pinochet con un colpo di stato, un golpe delle forze armate, mise fine alla presidenza e alla vita del socialista Salvador Allende, e insieme alle speranze di rinnovamento di un popolo, bombardando pesantemente il palazzo presidenziale, e instaurando per decenni una dittatura feroce contro qualsiasi tipo di opposizione o sospetta tale.

Salvador Allende era un rivoluzionario democratico. La sua utopia era stata quella di risollevare le sorti del suo paese dalla prepotenza delle aziende e compagnie americane, prima fra tutte la Itt che ne sfruttava gli immensi giacimenti di rame, attraverso l’arma del voto e del consenso popolare. Ma non solo: Allende era socialista, era amico di Fidel Castro quando la piccola Cuba si faceva beffe del gigante statunitense; Allende era amatissimo dalla maggioranza del suo popolo, che gli aveva fatto vincere elezioni democratiche e che lo accompagnava a fiumi in ogni uscita pubblica al grido: «Allende, Allende, el pueblo te defende»; e era odiatissimo da tutti gli altri cileni, che paventavano il potere degli straccioni, che aborrivano allo stesso modo la campagna di nazionalizzazione delle grandi imprese (americane e cilene) e gli espropri dei grandi latifondi incoltivati, e la loro redistribuzione ai consigli di fabbrica e ai contadini.

«Make the economy scream», «fate urlare l’economia [cilena]»: così annotava il direttore della Cia Richard Helms sul suo bloc-notes un memorandum di un suo incontro avvenuto il 15 settembre 1970 con Nixon e Kissinger registrando gli ordini del presidente degli Stati Uniti di incoraggiare un colpo di stato in Cile. E da lì un susseguirsi di attentati, di uccisioni mirate, finanziamenti dell’ordine di decine di milioni di dollari, traffici d’armi, appoggio a gruppi fascisti come Patria y libertad, sollevazioni dell’esercito, corruzione di giornalisti per preparare l’opinione pubblica, appoggio e copertura di scioperi pilotati per destabilizzare il paese (come quello dei camionisti). Tutto provato, tutto registrato e catalogato minuziosamente (visibile addirittura on-line) dai National archives americani che (come sono democratici questi americani), in nome della “trasparenza”, hanno raccolto l’ordine dell’amministrazione Clinton, nel 1998, a “declassificare” e rendere noti gli atti top-secret delle malefatte compiute dagli Stati Uniti in Cile. Consigliamo di darci un’occhiata: la visione degli atti originali va oltre qualsiasi commento.

E on-line anche il giubilo del Dipartimento della difesa degli Stati Uniti, che considera la riuscita del golpe l’11 settembre 1973 come «our D-Day», e giudica il «coup de etat» cileno «vicino alla perfezione». On-line i rapporti dell’Fbi sugli interrogatori agli oppositori, condotti insieme alla polizia segreta cilena della famigerata “Operazione Condor”.

Secondo il rapporto della Commissione nazionale cilena per la verità e la riconciliazione, la dittatura militare cilena diretta tra il 1973 e il 1990 dal generale Augusto Pinochet fu responsabile della morte o della scomparsa di oltre 2.000 persone, mentre 27.555 persone sono state vittime di torture o di detenzione politica. Ecco il profilo delle vittime tracciato dalla Commissione (1991) e quello sulla detenzione politica e sulla tortura (2004), conosciute anche con i nomi dei loro presidenti, Raul Rettig e Sergio Valech:

- Totale dei morti e dei dispersi 2.279 secondo il rapporto Rettig. La cifra comunemente indicata dai media è di circa 3000 tra assassinati e dispersi. Di questi

- il 94,5% erano uomini (2.153) (rapporto Rettig);
- il 97,76% erano cileni (2.228) (rapporto Rettig);
- il 17,8% (405) appartenevano al Partito socialista;
- il 16,9% (384) al Movimento della sinistra rivoluzionaria (MIR, di estrema sinistra)
- il 15,5% (353) al Partito comunista.
- il 46% non aveva un passato conosciuto come militante politico (rapporto Valech);
- su 33.221 persone arrestate tra il 1973 e il 1990, 27.255 sono state riconosciute vittime di detenzione politica e di tortura dalla commissione Valech. La stampa parla generalmente di oltre 30.000 persone torturate;
- il 68,7% (22.824) furono arrestate nel 1973;
- l' 87,5% (23.856) erano uomini;
- il 44,2% (12.060) avevano tra i 21 e i 30 anni e il 25,4% (6.913) tra i 31 e i 40.

Il sogno di Allende naufragò dunque. Con l’esperienza cilena gli Usa hanno maturato le tattiche che poi avrebbero messo in pratica, direttamente o per interposto dittatore, nel “cortile di casa” del loro impero, il Sudamerica, e non solo – la vicenda di Gladio insegna. E la lezione fu chiara anche a tutti i partiti comunisti occidentali: risale proprio al dopo-11 settembre 1973 la decisione del Pci di Berlinguer di abbandonare per sempre le residue velleità della conquista del potere, come Partito comunista, tramite le elezioni, e l’inizio della politica del «compromesso storico» con gli altri partiti dell’arco costituzionale (in primis la Dc) che tante conseguenze continua ad avere nella politica italiana di oggi.


Tratto da:
11 settembre. Quello cileno.
su
Progetto Gramigna, Italia, 11 settembre 2008


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