martedì 23 settembre 2008

Il Kurdistan si allarga?

La legge che dovrà regolare le prossime elezioni amministrative irachene stenta a nascere, soprattutto per via dei disaccordi tra il governo di Baghdad e quello della regione curda. Pomo della discordia è ancora la città di Kirkuk, esterna ai confini del Kurdistan ma rivendicata dai Curdi, sia per ragioni storiche che per la presenza di ricchi giacimenti petroliferi. Lo stallo politico a Kirkuk si sta però allaragando ad altre città e villaggi controllati dal governo, dove la popolazione è in maggioranza curda.

Nelle ultime settimane l'attenzione del governo verso l'espansione del Kurdistan si è concentrata sul villaggio 'conteso' di Khanaqin, (in cui l'80 percento della popolazione è curda) a sud di Dyala e di qualche chilometro esterno ai confini della regione curda. La situazione nel villaggio ha rischiato di degenerare all'inizio di settembre, quando la decisione di Baghdad di rimpiazzare le milizie Peshmergha con l'esercito nazionale fu accolta da violente proteste della popolazione. Nel frattempo l'esercito era alle porte del villaggio e miliziani curdi rifiutavano di andarsene. Fortunatamente la diplomazia ha prevalso e, il 5 settembre, le forze curde hanno accettato di lasciare pacificamente la città nell'ambito di un accordo, per il quale l'interno dell'abitato sarà pattugliato dalla polizia nazionale, mentre l'esercito rimarrà all'esterno.

Dal 2003 a oggi i Curdi hanno ricominciato a popolare Kirkuk, per riprenderne il controllo demografico dopo essere stati cacciati da Saddam che aveva forzatamente 'arabizzato' la provincia. In città vivono Arabi, Turcomanni e Curdi. Da qualche tempo, l'amministrazione cittadina, che oggi è in maggioranza curda, offre denaro agli Iracheni che accettano di contribuire all'affermazione curda: circa ottomila dollari per i Curdi che si ristabiliscono in città, il doppio per gli Arabi che la lasciano. Quello di Kirkuk è un problema politico che sta diventando cruciale per l'intero sistema federalista iracheno. Le elezioni provinciali sono state rimandate già due volte, per il timore di aggravare gli scontri settari nella zona, ma anche perché alcuni paesi confinanti con minoranze curde, primo tra tutti la Turchia, non accettano l'ipotesi che la regione Kurda irachena possa arricchirsi con il petrolio di Kirkuk.

La nuova legge elettorale tornerà nei prossimi giorni al centro del dibattito parlamentare. A luglio le opposizioni avevano avanzato una bozza che proponeva di trattare Kirkuk come un caso speciale: rimandando l'elezione solo in quella provincia che, provvisoriamente, sarebbe stata gestita da un consiglio ripartito su basi egualitarie tra Arabi, Curdi e Turcomanni. I Curdi però non accettarono quella possibilità: “Se si decidono a priori le percentuali a che serve votare?” commentava allora Safeen Dizayee del Kurdish Democratic Party. Un secondo tentativo è stato fatto lo scorso 17 settembre, quando il parlamento ha votato un'altra versione della legge elettorale proposta dal rappresentante speciale ONU per l'Iraq, De Mistura. Questa prevedeva l'avanzamento di tutte le altre elezioni provinciali, rimandando giusto quella di Kirkuk, e la creazione di un comitato per studiare il caso, composto in parti uguali da Curdi, Arabi e Turcomanni. I Curdi si sono opposti perché contrari alla spartizione del potere in città, mentre Arabi e Turcomanni hanno criticato la proposta per la mancanza di una tempistica che definisca entro quando il comitato dovrà trovare una soluzione. Alla fine il parlamento ha approvato la proposta, che però è stata rigettata il giorno segente dal Consiglio Presidenziale, alla cui guida c'è un Curdo, il presidente Talabani. La mossa di Talabani ha fatto infuriare i leader arabi, come Salah Mutlaq, dell'Arab Bloc for National dialogue, che ha minacciato azioni di disobbedienza civile se si voterà nuovamente con la legge elettorale del 2005, definita un “furto di voti”.

La necessità di superare la vecchia legge ha creato una vera e propria corrente nel parlamento iracheno, dove si è formato un gruppo, detto del 22 luglio, composto proprio dai 128 parlamentari che quel giorno votarono a favore della nuova legge elettorale. Del gruppo fanno parte anche le opposizioni al governo Al Maliki, come gli sciiti Sadristi, i Figli dell'Iraq e anche deputati indipendenti. Oggi sostengono che il presidente Talabani non avesse il diritto di rigettare un emendamento che, al momento del rifiuto, non era ancora stato approvato dal parlamento. Lunedì 22 settembre, alla vigilia del nuovo dibattito, il membro sunnita della Commissione per le Provincie del Parlamento iracheno, Hasim al Tay, annunciava fiducioso: “tutte le divergenze che ostacolano una bozza consensuale sul processo elettorale a Kirkuk sono state risolte”. L'unico nodo ancora in sospeso, secondo al Tay, riguarderebbe il finanziamento del comitato che dovà compilare i registri elettorali di Kirkuk. I Curdi premono perché il comitato sia gestito dal governo locale, a maggioranza curda, mentre Arabi e Turcomanni chiedono che se ne occupi l'esecutivo di Baghdad. Nel frattempo le Nazioni Unite sono sempre più preoccupate di dover rimandare tutte le elezioni, che si vorrebbero tenere entro la fine del 2008.


Tratto da:
Il Kurdistan si allarga? di Naoki Tomasini
su PeaceReporter, Italia, 22 settembre 2008


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