Al di là della realtà sempre più inquietante offerta dai media, c’è dell’altro.
Gli esseri umani non sono soltanto serial killer, “terroristi” o torturatori, come i mass media ci vorrebbero far credere.
I media non trattano i casi in cui i protagonisti sono d’altro genere. Si tratta di persone generose, compassionevoli e coraggiose nel far prevalere l’empatia, l’amore sull’odio, anche quando ciò non è conveniente.
Ad esempio, lo scorso 9 luglio nei cieli di Shiwashan, in Afghanistan, due piloti italiani si sono rifiutati di aprire il fuoco contro civili, agendo in modo contrario alle richieste. Uccidere civili è un fatto consueto nelle cosiddette “missioni di pace”, anche se i media non lo dicono.
Il responsabile del comparto Difesa dell'Osservatorio militare, Domenico Leggiero, dialogò con i due piloti presso l'ospedale militare romano del Celio, dove si trovavano ricoverati. Essi raccontarono che, nonostante fossero stati colpiti da “fuoco ostile” decisero di non rispondere perché ciò avrebbe significato sparare contro case di civili e rischiare di uccidere donne e bambini.
Dunque, i due aerei Mangusta si rifiutarono di aprire il fuoco, e i piloti furono immediatamente messi in condizioni di dover rispondere al “grave” comportamento, con la conseguenza di dover essere ricoverati per “sindrome da stress post-traumatico”.
I protagonisti del fatto, il tenente Gabriele Rame e l’aviere Francesco Manco, raccontarono che alcuni colpi di armi leggere graffiarono appena il timone di coda del Mangusta, e dunque ritennero di non dover aprire il fuoco con i loro potenti cannoncini rotanti da 20 millimetri, che avrebbero potuto uccidere persone innocenti. Di conseguenza decisero di sorvolare, ma tale decisione fatta col “cuore umano” non fu gradita, e immediatamente i due piloti furono presentati al comando per dare spiegazioni, come si trattasse di un grave reato.
I due piloti si difesero dicendo che in fondo essi stavano svolgendo una “missione di pace” che poteva prevedere di evitare di rispondere al fuoco, specie quando c’è la certezza di uccidere civili. Tali argomenti erano del tutto ragionevoli, e si decise di non aprire una procedura disciplinare, limitandosi a rimpatriarli immediatamente, forse per timore che tale comportamento potesse essere "contagioso".
Secondo Leggiero “La loro decisione è stata un atto di alto profilo etico e morale, che come pilota mi sento di condividere al cento per cento”.(1)
Ma in ambito militare ha serpeggiato da subito un’aria di grave riprovazione, facendo intendere che tali piloti avessero mostrato debolezza o vigliaccheria, e che fossero poveri “traumatizzati” da aiutare. In realtà il logoramento psichico, se c’era, era dovuto al trattamento che essi ebbero dopo il fatto, ovvero essi furono trattati da “colpevoli”, o da persone inette, inadatte ai loro compiti. In ambito militare sembrerebbe che essi, con tale atto sensibile, abbiano compromesso la loro carriera futura.
Ad ogni modo, sarebbe stata negata loro l’assistenza psicologica per stress di guerra, dato che il nostro paese non ammette di essere in guerra. Spiega l’avvocato Angelo Tartaglia, esperto di diritto militare: “Nessun assistenza è garantita ai reduci con Ptsd (stress post traumatico da combattimento). Nel nostro paese lo Stato non ha mai riconosciuto questa sindrome. Manca completamente una normativa al riguardo ed è sempre mancata la volontà politica del Ministero della Difesa, di qualsiasi colore politico esso fosse, di affrontare questa realtà. I militari che tornano dal fronte psicologicamente traumatizzati da eventi bellici, con tanto di diagnosi da Ptsd, possono ottenere il riconoscimento della causa di servizio, quindi un risarcimento, o il congedo con pensione di invalidità, ma non ricevono dallo Stato nessuna forma di assistenza terapeutica post-traumatica. Questa è demandata all’iniziativa del singolo, che deve provvedere da solo a rivolgersi a strutture sanitarie specializzate. Il problema è tutto politico, legato al fatto che i nostri governi continuano a parlare di ‘missioni di pace’ negando la vera natura di queste missioni militari”.(2)
Non soltanto viene negata la guerra, ma le notizie che vengono date su queste “missioni” sono spesso alterate, modificate, sono simil-vere, ovvero piene di particolari falsi. Ad esempio, la storia dei due piloti è stata raccontata come un’imboscata da cui i piloti si erano difesi ed erano rimasti feriti. Scriveva Il "Corriere della Sera" del 9 luglio: “Due militari italiani sono rimasti feriti in un'imboscata nell'ovest dell'Afghanistan. Sono fucilieri dell'aria dell'Aeronautica: un ufficiale e un sottufficiale… I militari sono stati vittime di una vera e propria imboscata. La pattuglia è stata attaccata con lanciarazzi e raffiche di kalashnikov, mentre stava svolgendo un pattugliamento anti-mortaio a circa 5 chilometri a nordest da Herat. La pattuglia era composta da due Vtlm Lince: i militari italiani hanno subito risposto al fuoco, ma gli aggressori si sono dileguati. Hanno quindi messo in sicurezza la zona in attesa dell'arrivo dei soccorsi… Anche il presidente del Senato, Renato Schifani, ha inviato un messaggio a Camporini: «La notizia del ferimento dei due soldati italiani in missione in Afghanistan ci ha fortemente preoccupato. A nome mio personale e dell'intera Assemblea di Palazzo Madama, desidero esprimere la nostra più sincera vicinanza ai militari feriti nell'attentato, augurando loro pronta e completa guarigione. Il Senato rimane al fianco dei nostri militari che, con altissima professionalità e senso del dovere, stanno compiendo una missione fondamentale per la tutela della pace… Si è trattato - ha detto il ministro della Difesa, La Russa - di un attacco in una zona normalmente abbastanza tranquilla, ma questo dimostra che, senza bisogno di cambiare nessun atteggiamento, non c’è in realtà nessuna zona tranquilla quando si è in missione di pace. E questo è un merito ancora maggiore per i nostri soldati che fanno ogni giorno il loro dovere”.
Nessuna parola sulla vera dinamica dei fatti, come se dire la verità fosse una vergogna per chi deve “portare la pace” uccidendo civili.
Soltanto quando i piloti arrivarono a Ciampino si seppe la verità sul fatto, ma i media non smentirono le sciocchezze che avevano scritto o detto. Soltanto alla fine di luglio qualche giornale raccontò i fatti in modo più realistico, curandosi però di porre l’accento sulla “nevrosi da guerra”. Ovviamente, nessun giornale di regime ha esaltato il gesto dei piloti come eroico, o perlomeno "umano".
Sembrerebbe che fatti analoghi abbiano visto coinvolti anche soldati di altre nazionalità, ad esempio tedeschi, che non hanno voluto uccidere civili. Un gruppo di ufficiali tedeschi avrebbe scritto una lettera aperta al Parlamento tedesco, chiedendo chiaramente il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, facendo notare l’assurdità di combattere una guerra contro un popolo inerme.
Il nostro governo attuale sta cercando di rendere “normale” anche il combattimento, spacciandolo sempre per “difensivo”. Berlusconi si vanta di essere un “fedele alleato” degli Usa, e come tale rende complice il nostro paese delle guerre coloniali anglo-statunitensi, che a noi costano soltanto molto denaro pubblico, vite umane e l’umiliazione morale di essere trascinati nel degrado dal gruppo criminale oggi imperante.
Le nostre autorità fanno in modo che i nostri militari appaiano sempre come “eroi che proteggono la pace e la sicurezza”, ma per far questo è implicito che devono combattere e uccidere. Quando qualche soldato viene ferito o ucciso non raccontano che spesso si tratta di combattimenti veri e propri, e che in molti casi sono state uccise persone inermi, bambini, donne o vecchi. Le vittime civili afgane non hanno mai nome, semplicemente non esistono. Quando qualche militare non si conforma ai loro voleri, o capisce che le “missioni di pace” a cui loro alludono non esistono, oppure vorrebbe raccontare fatti scottanti, ecco che viene attivata la censura.
I nostri militari non sono tutti fanatici dell’uso della forza, al contrario, molti di essi entrano nell’arma perché non trovano lavoro, oppure perché idealizzano le istituzioni, e ne vedono soltanto il volto benevolo e prosociale propagandato dai media. Molti di essi hanno vissuto fatti agghiaccianti, ma non raccontano nulla per “fedeltà all’arma” o perché ciò potrebbe costare loro molto caro. Altri cercano in vari modi di sfuggire allo stress della situazione assurda che sono costretti a vivere.
Per superare il trauma, il regista Aureliano Amadei, sopravvissuto alla strage di Nassiriya, insieme a Francesco Trento ha scritto il libro "Venti sigarette a Nassiriya" (pubblicato da Einaudi). Spiega Amadei: “penso che sia riprovevole che quanto accaduto a Nassiriya sia stato usato in maniera mediatica per demolire gli sforzi che la società civile aveva fatto per sostenere l'estraneità dell'Italia a questo conflitto. Si sono voluti imporre dei cambiamenti di toni. Parole come "resistenza irachena" sono diventate dei tabù. Si deve parlare obbligatoriamente di "terroristi… Io ero contrario alla presenza delle nostre truppe in Iraq… Ma all'indomani della strage di Nassiriya, chi era contro la nostra presenza in quel paese era come se fosse un filoterrorista. Tutto grazie al modo in cui i mass media hanno trattato la vicenda. Ricordo ancora la scenografia del ‘Porta a Porta’ di Vespa dopo la strage: dietro di lui c'era scritto a lettere cubitali ‘Il nostro 11 settembre’… Sono deluso, non esiste più l'oggettività della notizia, gestita diversamente la strage di Nassiriya poteva essere la dimostrazione dell'assurdità della nostra presenza lì, non l'esaltazione dell'orgoglio nazionale e del patriottismo… Io non sarei dovuto essere lì. Sono partito per girare una fiction celebrativa dei nostri militari in servizio nel sud dell’Iraq, con tanto di attori. Non si trattava di un documentario, quindi non era necessario riprendere i luoghi esatti. Era finzione, quindi sarebbe bastato andare in Giordania, dove era più sicuro e dove il paesaggio è del tutto simile a quello iracheno. I ministeri che hanno commissionato il lavoro ci hanno mandato invece stranamente a girare in loco, in totale disprezzo del pericolo, nonostante le informative che ho già citato. La cosa assurda è che oggi se chiedessi i permessi per girare qualcosa sulle pendici dell’Etna o in autostrada, me li negherebbero perché è troppo pericoloso! ”.(3)
I media non parlano nemmeno dei tanti militari morti o malati in seguito all’uranio impoverito. Fonti ufficiali calcolano 255 militari italiani ammalati di cancro in seguito alle “missioni” estere. Ma altre fonti, come l’Osservatorio militare, sostengono che sarebbero molti di più. L'Osservatorio parla addirittura di “2.536 militari affetti da patologie tumorali, di cui 164 deceduti”. Le menzogne non risparmierebbero dunque nemmeno le vittime italiane delle “missioni di pace”, le cui famiglie spesso non vengono aiutate né materialmente né moralmente.
Decine di filmati, girati talvolta dagli stessi soldati, parlano dell’inferno afgano. Questi filmati mostrano il vero volto della guerra: il disprezzo per i civili, la spacconeria bellica, i traumi dei soldati feriti, le bombe e la disumanizzazione del nemico. Una guerra feroce che si combatte soprattutto contro i civili, che le nostre autorità hanno ancora la faccia tosta di chiamare “missione di pace”.
Una guerra che richiama le classiche guerre coloniali, come quella del Vietnam. In Vietnam i soldati utilizzavano il nome in “Charlie” per indicare il vietcong, e oggi in Afghanistan si usa il mone “Terry” (da “terrorist”) per indicare il nemico. Alcuni soldati cantano una filastrocca per incitarsi alla battaglia. La filastrocca dice: “Stai attento Terry, ti stiamo dando la caccia, non ci sono nascondigli per te a Sangin. Ti cagherai sotto quando spareremo i calibro 50: fuggire ti servirà solo a morire stanco. Gli A-10 sono pronti a riempirti di piombo. Non ce ne frega un cazzo che tu sia senza cibo e acqua. Trema Terry: i Parà sono arrivati e ora attaccheremo la città”. In alcuni video c’è violenza gratuita contro civili inermi (soprattutto da parte di soldati inglesi e statunitensi), una violenza praticata con impeto selvaggio, con una crudeltà indescrivibile.
In quest’inferno è eroico mantenere un cuore umano. Scegliere di dare potere alla capacità di rispecchiarsi nell’altro, comprendendo che gli esseri umani sono fatti per coesistere socialmente in modo costruttivo, e non per distruggersi a vicenda nel nome di chissà quale ideologia di potere.
Per fortuna il mondo non è fatto soltanto da guerrafondai, ci sono miliardi di persone dotate di un cuore umano, che ripudiano la guerra. Il problema è che finché ci sarà il dominio di pochi criminali avere un cuore umano può addirittura costare molto caro. Gli stegocrati ribaltano la logica: agire con il cuore sarebbe da punire, mentre diventare feroci criminali a loro servizio deve essere premiato, la guerra è pace e la dittatura feroce è libertà.
Sottostare al loro potere significa poter diventare disumani e credere di essere eroici “patrioti”.
Come disse lo studioso Dick Bierman, "Ci addestrano per farci diventare dei mostri… siamo spinti... a dividerci, ma questo non è giusto. Potremmo essere collegati tra di noi molto più profondamente ed intimamente di quanto pensiamo."
NOTE
1) http://www.peacereporter.it/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=11819
2) http://www.peacereporter.it/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=11762
3) http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=233
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Tratto da:
Un cuore umano di Antonella Randazzo
su Blog di Antonella Randazzo, Italia, 3 settembre 2008
Articoli di riferimento:
La distruzione dell'Afghanistan
sabato 6 settembre 2008
Un cuore umano
Labels:
Afghanistan,
Italia
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