domenica 28 settembre 2008

L’Occidente attacca sul fronte bielorusso

Le opposizioni sino ad ora parlano di “iniqua campagna elettorale” e molti media occidentali di ispirazione americana sostengono che il paese è nelle mani dell’ultimo dittatore d’Europa. Si riferiscono all’“autocrate” che occupa la poltrona presidenziale di Minsk e tutto questo va nel conto del personaggio – il presidente Lukascenko - che l’ovest contesta e attacca in modo particolare mentre la Bielorussia va al voto per il rinnovo del Parlamento: 282 i candidati per 110 seggi. La contestazione locale, comunque, non è nuova, perchè la dissidenza continua a farsi forte dell’appoggio degli USA, del miliardario Soros e di tutte quelle organizzazioni cosiddette umanitarie spesso collegate direttamente ed indirettamente alla CIA, tramite il National Endowment for Democracy, che è una potente organizzazione statunitense creata nel 1983, con lo scopo di “rafforzare le istituzioni democratiche nel mondo mediante azioni non governative”.

Un’istituzione che utilizza le ONG dell’Est europeo per contrastare i governi che non si allineano agli USA come, appunto, è il caso della Bielorussia. E così contro la politica del Presidente si scatenano molti schieramenti che vorrebbero vedere una Bielorussia integrata pienamente nell’Occidente, lontana dalla Russia e dalle politiche della CSI, la Confederazione di Stati Indipendenti nata sulle ceneri dell’Unione Sovietica.

Lukascenko, intanto, resiste e attua una politica di rapporti normali con il Cremlino e con gli altri paesi dell’ex URSS e contesta gli attacchi che vengono rivolti al sistema elettorale vigente. Ricorda a tutto il Paese che queste elezioni avvengono anche sotto il controllo dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) dal momento che Minsk ha consentito l’accesso alle urne agli osservatori internazionali, per accorciare le distanze con Stati Uniti ed Unione Europea che chiedono garanzie democratiche. In questo contesto di aperture democratiche, Lukascenko fa anche notare che, per la prima volta in dieci anni, nelle liste si sono ritrovati 70 candidati dell’opposizione. Le leggi elettorali, inoltre, sono state riviste e corrette in modo da venire incontro alle richieste dell’Occidente. Questo vorrà dire che Minsk è pronta a convivere con l’opposizione, sparita dal Parlamento quattro anni fa.

Nonostante queste novità di rilievo c’è però chi, contestando il sistema elettorale, ha deciso di astenersi dalla consultazione. Domina infatti molto scetticismo sulle reali possibilità di svolta democratica in Bielorussia. E da oggi in poi - sulla base dei risultati delle legislavive – si vedrà se l’Unione Europea, alleggerirà o meno le sanzioni economiche imposte a Minsk. Ma è chiaro, intanto, che le opposizioni si faranno sentire. In primo luogo alzeranno la voce personaggi come Alexander Milinkevich (che nel 2006 cercò invano di sfidare Lukascenko alle presidenziali ricevendo anche un assegno di 50mila euro grazie al Premio Sacharov), Aleksander Kozulin (ex ministro dell'Istruzione e rettore dell'Università statale bielorussa passato poi all’opposizione) e Anatoli Lebedko, leader della formazione “ODS”.

La leadership di Lukascenko sembra però sempre dominante. Il Presidente – pur se chiacchierato - trova consensi per la sua politica interna ed estera e per i princìpi che ispirano la sua concezione economica. Viene sempre più alla luce il suo carattere di uomo d’azione, legato alla tradizione, la cui politica ha appunto l’appoggio della schiacciante maggioranza della popolazione bielorussa. Perché quindi – nonostante accuse ed attacchi - tanta popolarità? La risposta per capire il “fenomeno bielorusso”, notano gli analisti più accreditati, consiste nel fatto che la Bielorussia è l’unico paese, all’interno della CSI e dell’Europa orientale, ad essersi espresso contro ogni tipo di aiuto ispirato a princìpi e idee occidentali, ad aver avuto il coraggio di dichiarare apertamente la decisa volontà di scegliere una via di sviluppo del tutto autonoma, che rispetti le tradizioni nazionali e risponda ai propri interessi.

Non va poi sottovalutato il fatto che dopo il crollo dell’URSS e la dichiarazione di indipendenza dell’agosto del 1991, la Bielorussia è riuscita a superare indenne le guerre politiche esplose nei territori postsovietici. Si è sapientemente tenuta fuori dal gioco di determinate scelte geopolitiche: o avvicinarsi alla Polonia e alla Lituania o entrare a far parte della cosiddetta “Federazione Baltico-Mar Nero” con l’Ucraina e la Lituania. Ha mantenuto una sorta di equidistanza interpretando e realizzando le aspirazioni più profonde della coscienza nazionale. Nessuna capitolazione di fronte a Mosca, ma nessun movimento anti-russo. Ed ha anche saputo ricomporre lo storico mosaico delle etnie.

Sta in questo, forse, il vero segreto della gestione di Lukascenko dal momento che il suo “opportunismo” ha alle radici un pragmatismo elementare e un populismo profondamente legato alle tradizioni slave orientali. C’è nella sua linea politica una particolare concezione del mondo e della vita, che è comune a buona parte della popolazione russa, bielorussa e ucraina. E che, tuttavia, ha poco in comune con il fondamentalismo religioso o comunista. Ad esempio, il rapporto che Minsk ha con le nuove oligarchie è piuttosto critico, ma non ostile. Si può così parlare di una Bielorussia che da un lato cerca di far sopravvivere le vecchie tradizioni sovietiche unendo a tutto questo un rispetto notevole per il libero mercato, per l’imprenditoria e l’Occidente in generale. Severità e precauzione è lo slogan dell’era di Lukascenko.


Tratto da:
L’Occidente attacca sul fronte bielorusso di Giuseppe Zaccagni
su Altrenotizie
, Italia, 28 settembre 2008


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