mercoledì 17 settembre 2008

Il Messico vive il suo primo vero attentato terroristico

Corpi disfatti in pozze di sangue, le sirene delle ambulanze, per la prima volta il Messico ha vissuto sul suo suolo scene di terrorismo che conosceva solo dalle immagini provenienti da altri paesi. L’esplosione di due granate a frammentazione, lunedì scorso a Morelia, capitale dello stato di Michoacan, ha investito una folla raccolta per la celebrazione della festa nazionale, causando almeno sette morti e oltre cento feriti. Questo attacco segna un drammatico punto di svolta nel confronto tra stato messicano e bande di trafficanti di droga per il controllo del territorio.

Afghanistan: negli ultimi mesi molti analisti concordano nel dire che i Talebani starebbero ricostruendo il loro potere e lentamente rioccupando il Paese. Sempre più diffuso è il sentimento di inimicizia nei confronti della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, responsabile della morte di un numero enorme di civili.
I governi di Stati Uniti ed Iraq sono vicini ad un accordo sul futuro status dei soldati americani nel Paese. L’accordo dovrebbe governare i limiti di sovranità delle forze di occupazione e del governo stesso. Secondo alcune fonti l’accordo prevederebbe il ritiro del grosso delle forze americane dal prossimo giugno, mentre piccoli contingenti rimarrebbero a controllare alcune basi fino alla fine del 2011. Resta comunque il problema della presenza militare americana percepita dalla gente come forza di invasione. Il Governo afghano ha chiesto un cambio sostanziale nelle regole che governano l’intervento della coalizione internazionale nel Paese in seguito all’uccisione di oltre 90 civili in un bombardamento aereo dell’ISAF, guidata dagli Stati Uniti.
Dopo la denuncia dei giorni scorsi di Human Rights Watch, ora anche l'Alto Commissario per i Diritti Umani dell'ONU conferma il peggioramento della situazione. Dall'inizio anno sono 1.445 i civili rimasti uccisi nei combattimenti fra coalizione internazionale e talebani, il 39 percento in più rispetto all'anno precedente.
In Afghanistan sono presenti circa 70.000 soldati da 40 Paesi. La coalizione internazionale ISAF, presente su mandato dell’ONU in scadenza a ottobre, conta su circa 53.000 soldati, per i due terzi americani. La guerra ha causato ad oggi oltre 40.000 morti, per oltre metà civili. 900 civili sono morti solo quest’anno.

Bolivia: guerra aperta tra Evo Morales, presidente indigeno, e i prefetti delle regioni più ricche del Paese, la cosiddetta mezzaluna. Al centro del contendere c'è la richiesta delle regioni ricche della restituzione dell'Impuesto Directo a los Hidrocarburos col quale Morales ha deciso di finanziare un progetto per gli anziani boliviani che vivono in situazione di estrema povertà.
Dopo settimane di duro scontro politico fra i prefetti ribelli dei dipartimenti della mezzaluna e il governo di Evo Morales, forse si apre uno spiraglio per il dialogo.
Scioperi, blocchi stradali e violenze sono culminati in un massacro nel dipartimento di Pando, 30 morti, 50 feriti e più di 100 desaparecidos causati dall'intervento di forze paramilitari che hanno intercettato una marcia di circa mille contadini armati di bastoni diretta a Cobija, capoluogo della regione. Ne è seguito l’arresto del prefetto della regione, accusato di aver fomentato le violenze.
Alla fine il prefetto di Tarija, Mario Cossio, ha firmato a nome del Consejo Nacional Democratico (organismo creato dalle regioni autonomiste) un accordo con il governo per dare inizio a una nuova fase di dialogo fra le parti e fermare definitivamente le violenze.
Nel frattempo Morales ha incassato il pieno appoggio diplomatico di tutti gli stati sudamericani.

Ciad: a partire dal 2003, ondate di rifugiati iniziarono a entrare in Ciad dalla regione confinante del Darfur, come conseguenza del conflitto sudanese. Un susseguirsi di incidenti di confine nella zona ha portato il 23 dicembre 2005 alla dichiarazione da parte del governo del Ciad dello stato di guerra col Sudan. Il governo del Ciad ha in particolare accusato il Sudan di sostenere militanti ribelli antigovernativi nel Ciad. Da allora si sono susseguiti numerosi scontri, incluso il tentativo dei ribelli di conquistare la capitale il 13 aprile 2006 e, più recentemente, il 1 febbraio 2008. Quest’ultimo attacco è stato respinto in extremis grazie al sostegno militare della Francia.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha raccomandato al Consiglio di Sicurezza l'invio di 6000 soldati per il mantenimento della pace in Ciad e Repubblica Centrafricana (CAR) nel prossimo mese di marzo per sostituire i soldati dell’EUFOR.
L’EUFOR ha la responsabilità di garantire la sicurezza di una missione di polizia delle Nazioni Unite, la MINURCAT, facilitare il lavoro umanitario e proteggere i rifugiati dal Darfur in Ciad orientale e nel nord-est della Repubblica Centrafricana, nonché gli sfollati ciadiani, vale a dire più di 450.000 persone.
Ma nonostante gli sforzi delle autorità per cercare di migliorare la situazione, insicurezza e instabilità in Ciad e CAR sono molto elevate.

Filippine: i ribelli del MILF lottano da 30 anni per uno stato autonomo musulmano nel sud del Paese, corrispondente ai ‘domini ancestrali’ dei musulmani sull’isola di Mindanao. Un accordo di pace era stato raggiunto dopo anni di trattative e prevedeva l’ampliamento della Regione Autonoma Musulmana esistente, ma la Corte Suprema che ha fermato il progetto per incostituzionalità in seguito all’opposizione dei politici cattolici. Di conseguenza alcuni comandanti del MILF hanno occupato parte dei territori contestati dando il via a feroci combattimenti con l’esercito.
I ribelli del MILF hanno attaccato una pattuglia militare a Calanugas uccidendo 7 soldati. In altri attacchi quasi contemporanei sono stati feriti altri soldati.
In una intervista ad Al Jazeera Haji al-Murad Ebrahim, capo del Moro Islamic Liberation Front (MILF), ha negato ogni legame col terrorismo internazionale, rivendicando la sua lotta per i diritti inalienabili del popolo Moro.
Circa 200 persone sono morte, per la metà civili, e oltre 500.000 persone hanno lasciato le loro case in seguito ai recenti combattimenti. La guerra ha visto succedersi varie fazioni ini lotta fin dagli anni ’60, e ha causato circa 160.000 morti.

Georgia: continuano le polemiche sulla guerra e le sue conseguenze politiche, militari e diplomatiche.
Se da un lato le repubbliche separatiste di Ossezia del Sud e Abkhazia hanno ricevuto il riconoscimento di Nicaragua e Hamas, nel frattempo in Georgia divampano le polemiche. Il Presidente Saakachvili sta cercando ogni strada per dimostrare che la Georgia si è soltanto difesa, negando in ogni modo di aver cominciato le ostilità, ciò che invece viene sostenuto da tutte le parti internazionali, anche quelle che condannano senza mezze misure la risposta di Mosca. Ma l’opposizione interna chiede una commissione d’inchiesta per stabilire se la guerra era una decisione evitabile. Il candidato alla presidenza sconfitto lo scorso gennaio attacca apertamente il presidente eletto parlando di brogli elettorali e nuove elezioni.
L'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) ha rinunciato al piano di inviare altri osservatori in Georgia oltre i 20 già in zona per dissenso sulle modalità della missione.

Messico: stato messicano e bande di trafficanti di droga si affrontano per il controllo del territorio, specialmente nello stato centrale di Michoacán e in quello settentrionale di Baja California, mettendo a rischio la popolazione. Tijuana e altre città sono diventate luoghi molto violenti.
Il clima di insicurezza è assai aumentato e ci sono stati oltre 3000 morti e 400 rapimenti per riscatto dall’inizio dell’anno. Si comincia a temere un passaggio dalla criminalità organizzata a una situazione di paramilitarismo che ricorderebbe quella colombiana. Una grossa manifestazione contro le violenze dei narcos si è tenuta il 30 agosto in oltre 70 città del Paese.
Il conflitto è cominciato nel 1989 dopo l'arresto di Miguel Ángel Félix Gallardo, che gestiva il traffico di cocaina. Vi fu una tregua verso la fine degli anni novanta, ma dal 2000 il ritorno alla violenza è aumentato, nonostante la militarizzazione del territorio voluta dal Presidente Vincent Fox.

Pakistan (Waziristan e regioni tribali): nelle regioni a nord-ovest del Paese e nella regione del Waziristan alla frontiera con l’Afghanistan i miliziani talebani supportati dalle tribù locali semiautonome si scontrano con le truppe governative filoccidentali.
La crisi politica apertasi dopo le dimissioni del dittatore filoamericano Musharraf si accompagna ad un forte intensificarsi delle violenze nelle zone di conflitto.

Il governo di Islamabad ha espresso oggi il proprio sconcerto per non essere stato avvisato in tempo riguardo all'operazione statunitense portata in territorio pakistano. Per combattere i miliziani talebani che si rifugiano nelle valli di confine, ieri sera, le forze della coalizione avevano lanciato un missile, uccidendo 5 persone. Questo dopo che in giornata Washington si era impegnata a rispettare la sovranità nazionale pakistana in seguito ad un incidente di frontiera tra soldati pakistani e elicotteri USA.
Nel frattempo 300 bambini sono stati presi in ostaggio da militanti pakistani e poi liberati in seguito ad uno scontro a fuoco.
Circa 250.000 persone hanno abbandonato le zone dei combattimenti, alcune delle quali erano mete turistiche fino all’anno scorso. I ribelli godono del sostegno della popolazione locale e i Paesi occidentali sono preoccupati dal fatto che il successore di Musharraf potrebbe non portare avanti la guerra con altrettanta determinazione.

Sri Lanka: il governo ha ufficialmente rotto l’accordo di cessate-il-fuoco con i ribelli Tamil dando inizio ad una offensiva su larga scala per mettere fine alla guerra che sconvolge l’isola dal 1983.
Una violenta esplosione avvenuta all'interno di un autobus nella città di Colombo, capitale dello Sri Lanka, ha causato il ferimento di almeno tre persone. Secondo i racconti della polizia l'autobus era stato velocemente evacuato prima dell'esplosione perchè i passeggeri si erano accorti della presenza di un bagaglio sospetto.
Le forze delle Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie stanno lasciando in queste ore la zona settentrionale dello Sri Lanka. La decisone è stata presa in seguito all'intensificarsi degli attacchi governativi contro i gruppi ribelli delle Tigri Tamil, che hanno il loro quartier generale nella città di Kilinochchi. Secondo quanto riferito dal portavoce dell'esercito delle filippine, le truppe sarebbero ora a soli 5 chilometri dal quartier generale dei ribelli.
I ribelli si fanno chiamare Tigri per la Liberazione della Patria Tamil (LTTE o Tigri Tamil). L’insurrezione armata è cominciata nel 1983 con lo scopo di creare una nazione separata per la minoranza Tamil nel nord ovest dello Sri Lanka.
I 21 milioni di persone che abitano lo Sri Lanka sono per tre quarti di etnia singalese e controllano le leve del potere nel Paese da dopo l'indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1948. I Tamil denunciano politiche di emarginazione da parte dei Singalesi e per questo lottano per l’indipendenza. A dispetto della poca celebrità di cui godono, essi detengono la paternità e il primato relativamente agli attacchi suicidi e possono vantare l’uccisione di ministri e capi di stato. La LTTE è considerata una organizzazione di terroristi dai Paesi Occidentali.

Thailandia: il governo centrale non riesce a far fronte alla forte inflazione e alla bassa crescita economica, scatenando proteste violente. Il Primo Ministro Samak Sundaravej ha rassegnato le dimissioni, essedno accusato di collusione con l’ex Primo Ministro Thaksin Shinawatra, in esilio a Londra e sotto processo per corruzione. Le accuse al Partito del Potere del Popolo (PPP), mosse da intellettuali e imprenditori del PAD, partito politico lealista monarchico, vanno avanti da molti mesi ma non hanno cambiato l’atteggiamento del partito al governo.
Come risposta alle critiche dell'opposizione, che accusa il governo di essere semplicemente una copertura per gli interessi dell'ex primo ministro Thaksin Shinawatra, il PPP thailandese ha messo alla guida del paese il cognato dell'ex premier e magnate dei media, rifugiatosi in autoesilio in Gran Bretagna per scappare alle accuse di corruzione in patria. Somchai Wongswat, marito della sorella minore di Thaksin, è stato eletto primo ministro della Thailandia. Ma la sua nomina, da parte del Parlamento, difficilmente farà scendere la tensione che da quasi un mese regna nel paese del sud-est asiatico.
Somchai entrerà in carica appena la sua nomina verrà sottoscritta dal re e ha già detto di volersi impegnare per far arrivare il suo governo alla scadenza del mandato, nel 2012. Ma la maggioranza degli osservatori dà al suo esecutivo non più di qualche mese di vita, dato che il PPP – accusato di aver rubato voti nelle elezioni del dicembre 2007 – potrebbe essere sciolto dalla magistratura già entro fine anno.
La Thailandia si trova in uno stallo dal quale non si vedono vie d'uscita. Se si andasse di nuovo al voto, probabilmente vincerebbe ancora il PPP o qualsiasi partito vicino a Thaksin, data la popolarità dell'ex premier nella classe medio-povera e nelle zone rurali. L'opposizione, forte in particolare nella capitale Bangkok, è una precaria unione di democratici, monarchici e aperti fautori di un ennesimo colpo di stato militare, uniti solo dall'ostilità verso Thaksin. Le forze armate e il re, secondo molti osservatori, propendono al momento per l'opposizione, ma è evidente che i vertici militari vogliono capire da che parte tira il vento, prima di schierarsi.

Zimbabwe: Robert Mugabe governa il Paese da venti anni con metodi dittatoriali, ricorrendo anche a persecuzioni e torture. Le elezioni del marzo scorso hanno visto le accuse di brogli da parte dell’oppozione guidata da Morgan Tsvangirai e un lentissimo spoglio che ha dato la vittoria finale al dittatore. L’opposizione è scesa in piazza e si sono temuti gravi disordini, alimentati anche dalla grave crisi alimentare.
Il Presidente Mugabe e il suo principale avversario, Tsvangirai, hanno firmato il 15 settembre scorso un accordo di condivisione per il potere, storico ma precario. Il nuovo governo vede 15 ministeri al partito di Mugabe, 13 a Tsvangirai che ne è il Primo Ministro e 3 ad una fazione dissidente all’opposizione.
Lo stallo politico rimane inalterato e l’accordo per la condivisione del potere tra il Presidente e l’opposizione, che ha la maggioranza in Parlamento, non viene considerato sufficiente ad un radicale cambiamento. La situazione in Zimbabwe rimane critica e molti pensano che il Paese sia sull’orlo di una guerra civile, in preda ad una forte penuria alimentare e con un tasso di inflazione inimmaginabile pari a 11.000.000%.


Le notizie sono tratte dai maggiori quotidiani internazionali online.


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