domenica 14 settembre 2008

Il separatismo boliviano visto dalla Bolivia

Per quanto nessuno dei prefetti dell'opposizione [in Bolivia la parola "prefetto" equivale a quella di governatore - ndt] ratificati in Bolivia sia riuscito a eguagliare, nelle rispettive regioni, la percentuale di consenso conquistata da Evo Morales a livello nazionale, l'appoggio locale di cui essi godono è indiscutibile. Qui analizzeremo in che maniera la rivendicazione autonomista della regione oppositrice Santa Cruz trova la sua debolezza nella stessa fonte da cui estrae la sua forza, ed esploreremo le possibili ragioni della difficoltà di questo attore a superare il "catastrofico pareggio" nel quale si dibatte lo stato boliviano.

Nonostante tutti i progressi in materia di legittimità regionale, la classe dominante cruceña [relativo alla città di Santa Cruz, ndt] appare ancora chiusa in un angolo dallo stesso muro sul quale si eleva per parlare al paese: la regione. Questo muro le pone limiti e limita le possibilità del cruceñismo, tanto sul piano discorsivo con sul piano pratico e concreto, impedendogli di trasformarsi in un referente nazionale capace di far pendere l'ago della bilancia a suo favore.

Sul piano discorsivo "l'essere cruceño" è il filone dal quale estrae la propria vitalità e capacità di mobilitazione la base su cui [la classe dominante] fonda la propria giustificazione storica ed eleva la propria bandiera rivendicativa. E' da questa centralità identitaria che la classe dominante manda il suo richiamo al "resto del paese". E' la base del suo potere di seduzione, a partire dal quale tesse le sue richieste. "L'essere cruceño" è la ragione stessa della rivendicazione autonomistica, la quale si indebolirebbe se non esistesse questa affiliazione regionale definitoria e differenziatrice.

Tuttavia, una volta giunto ai limiti dipartimentali, il potere regionale si diluisce, e ha bisogno di scommettere sul riprodursi in altre regioni dello stesso tipo di discorso identitario fortemente ancorato alla dimensione dipartimentale. E per quanto sia certo che in Bolivia lo Stato costruito solo per metà ha favorito l'esistenza di sentimenti regionali sostenuti dall'esterno della nazione, non tutti i dipartimenti che attualmente costituiscono la cosiddetta "Mezzaluna" condividono con Santa Cruz le caratteristiche che danno forza al suo regionalismo: una corrente di revisionismo storico che giustifica la richiesta di autonomie, i miti dello sviluppo cruceño come fenomeno esclusivamente locale senza partecipazione statale, un passato recente di modernizzazione urbana, e in minor misura dipartimentale, vissuta come esperienza collettiva e sulla quale si costruisce l'attuale coesione sociale, e una pratica ormai inveterata di occultamento delle crepe, delle contraddizioni e disuguaglianze all'interno della popolazione.

Questi aspetti che confluiscono nel forza del discorso egemonico cruceño, in altri dipartimenti si debilita per un recupero storico che pone più enfasi sulla differenza di classe o allo spartiacque città/campagna ad esempio; per uno sviluppo regionale che continua ad essere un sogno, un debito scaduto più che una fonte di orgoglio; per una disgregazione sociale provocata dal disperdersi della popolazione o per i flussi migratori; e per pratiche discorsive che da tempo fanno leva sulle disuguaglianze interne.

In questo modo, a partire dalla frontiera dipartimentale, "l'essere cruceño" ha dovuto essere tradotto in ogni regione in un "essere tarijeño" [relativo allo stato di Tarija, ndt], "essere pandino" [relativo allo stato di Pando, ndt], eccetera, dalle differenti elite locali a misura delle proprie possibilità, non potendo in alcun caso raggiungere l'alto grado di appoggio di cui gode la versione originale di Santa Cruz.

La rivendicazione autonomista, basata sull'appartenenza identitaria specifica, perde forza una volta che supera i limiti dipartimentali. Ma c'è di più. Questa limitazione si fa ancora più decisa nel momento in cui il reclamo dell'autonomia è posto come barricata di contenzioso alle riforme statali proposte dai movimenti sociali e dal governo di Evo Morales. Così, la rivendicazione regionale passa ad essere da un reclamo contro lo stato a un reclamo contro questo governo specifico, e genera quanto meno sospetto tra quelli che appoggiano il governo e/o il processo di cambiamento che questo cerca di implementare.

D'altro canto, gli interventi pubblici recenti del prefetto cruceño Rubén Costas, collezione di frasi incendiarie e aggettivi insultanti contro le autorità statali, non ottengono altro che convincere quelli già convinti sull'uno e l'altro versante. Considerando che i risultati del referendum revocatorio portarono a un'importante crescita dei voti favorevoi al governo nelle regioni a vocazione autonomista, e considerando che i cittadini di Santa Cruz (soprattutto, e di tutta la Mezzaluna in generale) vivono in uno stato di all'erta da più di due anni per affrontare l'imminente "avvassallamento all'indigeno aymara", un prefetto esacerbato, con voce rauca e barba incolta può dare più impressione di instabilità e violenza che un presidente Morales calmo e conciliatore, come si mostrò alla fine del 10 agosto alla fine della giornata elettorale.

Una popolazione civile angosciata per il futuro immediato e stanca di conflitti e violenza, può ben alimentare ancor più la corrente che, per essere vincolata alla istituzionalità vigente, favorisce il governo attuale. Al riguardo, non possiamo dimenticare il significativo assenteismo (attorno al 40% [1]) che offuscò il voto a favore dello statuto autonomistico lo scorso 4 maggio. A dispetto della onnisciente propaganda regionale, molta della popolazione si astenne dal partecipare a un processo criticato per la sua mancanza di legalità e trasparenza, e sul quale la dirigenza cruceña insiste anche dopo il revocatorio, convocando elezioni di rappresentanti dipartimentali secondo questi stessi statuti, e proponendo la creazione di una forza repressiva regionale.

Questa continua umiliazione della dimensione legale può alla lunga giocare contro il movimento regionale (può essere bloccato dalla legalità esterna), e a breve può sottrargli l'appoggio di una classe media sempre incline alla stabilità e alle certezza politiche.

Sul piano pratico e concreto, vediamo una dirigenza cruceña rabbiosa e decisa quanto alle sue rivendicazioni, ma errabonda e confusa sui suoi meccanismi di pressione. Lo sciopero della fame in piazza giorni prima del revocatorio, che esigeva la devoluzione delle risorse dell'IDH [imposta sugli idrocarburi, ndt], confiscato dal governo centrale per incrementare il supporto alle persone di terza età, e che già contava su centinaia di digiunatori, si mantenne fermo durante il referendum, ma alcuni giorni dopo fu sospeso a sorpresa senza aver raggiunto alcun risultato visibile. Questo sciopero inaspettatamente sospeso è paragonabile a quello del dicembre 2007 contro l'Assemblea Costituente, che fu sospeso poco prima di Natale, anche in questo caso prima che si conseguisse alcun risultato concreto.

Il fatto è che a livello pratico, la dirigenza cruceña non ha trovato la maniera di fare breccia su uno stato nazionale il cui centro si trova a un migliaio di chilometri di distanza, in uno spazio fisico blindato da una popolazione per la maggioranza affine al governo di Morales. Gli scioperi della fame a Santa Cruz, che in entrambe le occasioni sono stati guidati dagli uomini più rappresentativi del movimento, le cui fila furono rapidamente ingrossate da gruppi affiliati o dipendenti da istituzioni affini, e che (tanto a livello dipartimentale che nazionale) trovano una copertura giornalistica fenomenale, non impediscono il lavoro dell'esecutivo, né intorpidano i lavori nei ministeri o nelle ripartizioni statali che hanno sede nei dipartimenti. L'apparato statale continua nella sua marcia spedita, mentre l'istituzionalità cruceña digiuna e giace al suolo davanti alle telecamente della TV.

Quando lo sciopero è sospeso, gli impiegati dei mass media legati al potere regionale si affrettano a coltivare nuovi spazi di scontro, sicuri che quando metteranno frutti daranno alla luce nuove ragioni per opporsi al governo del MAS, celebrare manifestazioni di massa, mettere in questione il potere dello stato centrale, e preparare il cammino verso una nuova istituzionalità, emergente dallo statuto autonomo, ancora apparentemente assurda e grottesca: l'istituzionalità regionale.

E' evidente che le iniziative, i conflitti e i discorsi dei dirigenti regionali sono destinati a seminare nell'immaginazione cruceña, passo dopo passo, una istituzionalità a loro misura (che nasce deforme, illegale e sediziosa) a detrimento della isituzionalità statale, che via via si distrugge.

Tuttavia, per quanto si sostenga che "Evo Morales governa nello spazio astratto della nazione, ma non nello spazio concreto dei dipartimenti (...) il sostegno politico al Presidente si mantiene al livello diffuso della nazione e non può tradursi nello scenario quotidiano della gestione dipartimentale"[2], è ormai dimostrato che sebbene l'Esecutivo non può far atterrare velivoli negli aeroporti nelle mani dei gruppi radicali, può facilmente bloccare i conti dei governatori se i governi centrali gestiscono i propri bilanci al margine della legge, e anche qualora ricusino di render conto allo Stato centrale. Nello "scenario quotidiano della gestione dipartimentale", il governo centrale può facilmente arrestare l'importante flusso economico che inietta nelle regioni grazie a una efficiente politica di rinegoziazione dei contratti petroliferi.

Il dato reale è che, in contrasto, la dirigenza regionale cruceña non trova ancora la maniera di bloccare le politiche statali. Riesce sì a ritardare misure come la redistribuzione della terra e il riscatto di comunità indigene schiavizzate nel latifondo nel sud del paese, ma ciò non è minimamente sufficiente per immaginare, elaborare, creare consenso, offrire un progetto di paese capace di sedurre al di là della ristretta lettura regionale, sempre incompleta e insufficiente. E nonostante tutte queste considerazioni, la domanda rimane. Se gode di una vibrante legittimità regionale, se ha un potere di mobilitazione sorprendente, se ha fatto progredire la democrazia, perché insiste con lo scontro cieco e l'insulto gratuito? Perché non lascia spazio al dialogo? Perché insiste a costruire un muro tra est e ovest del paese? Perché fa vivere la popolazione cruceña nella paura e nell'incertezza?

Se smettiamo di guardare questo muro secondo la logica del potere regionale, forse troveremo risposte al di là dell'apparente irrazionalità. Nel subire l'intimidazione che si propaga contro tutta la popolazione locale, la violenza razzista, i discorsi grossolani, la cosa più preoccupante è che la risposta possa essere "perché non è né il dialogo né un accordo ciò che il potere regionale cerca".

La cosa più preoccupante è che possa aver già trovato ciò che cercava

Note:

[1] Più significativo quando lo compariamo con l'assenteismo che il referendum revocatorio registrò a Santa Cruz (tra il 15 e 20%), più vincolato ai normali standard della recente storia democratica boliviana, nonostante il discorso ufficiale regionale, che insistette fino alla fine sull'illegalità della consultazione.

[2] Roberto Barbery Anaya, "Ocho conclusiones, la guerra de los matices", El Deber, 13 de agosto de 2008. http://www.eldeber .com.bo/2008/2008-08-13/vernotacolumnistas.php?id=080812222617


Tratto da:
Cuando lo irracional es sólo apariencia di Claudia Peña Claros
su
Bolpress.com, Bolivia, 12 settembre 2008
tradotto da Gianluca Bifolchi su Acthung Banditen

Articoli di riferimento:
Bolivia: cosa è in gioco col referendum revocatorio di domenica


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