mercoledì 17 settembre 2008

Il Turkmenistan nel mirino dei Wahhabiti

Il movimento rigorista islamico dei wahhabiti torna a farsi vivo - con la forza delle armi - nella Turkmenia. La notizia è delle ultime ore. Si apprende da fonti diplomatiche e da alcuni dispacci dell’agenzia iraniana Irna, che nella capitale Askabad “gruppi di terroristi legati ai wahhabiti e ai narcotrafficanti armati” hanno già attaccato ed occupato alcune zone della città dove si trovano i serbatoi delle riserve di acqua potabile. Le informazioni, al momento, sono scarse e contraddittorie anche per il fatto che il paese - da sempre - è isolato e pochissime sono le fonti che possono confermare o smentire la situazione che si sarebbe creata. Si parla già di molti morti e si apprende anche che il governo di Askabad avrebbe chiesto aiuto sia alle forze militari russe che operano in Turkmenia che al servizio di sicurezza del Cremlino, l’FSB.

Ora, se verranno confermate le informazioni che giungono a Mosca dalla lontana terra asiatica, vorrà dire che il presidente locale Gurbanguly Berdymuchamedov (classe 1957) - insediatosi nel febbraio del 2007 - si troverà ad affrontare una crisi che potrà vedere schierate non solo le formazioni estremiste dei Wahhabiti e quelle criminali dei narcotrafficanti, ma anche quelle degli oppositori tradizionali. E di conseguenza il paese si troverà nel pieno di una lotta collegata anche al potere economico, soprattutto per quanto riguarda la gestione dell’industria del gas e delle maggiori risorse energetiche.

Quanto al dissenso interno va rilevato che i maggiori oppositori si trovano all’estero e non possono entrare nel paese. Alcuni di loro nei tempi passati si erano recati in Ucraina alla ricerca di un appoggio da parte del presidente Juscenko. Ma ora, vista anche la situazione politica di Kiev, ogni aiuto è praticamente impossibile. E così si torna a parlare di un possibile colpo di Stato, dal momento che l’attuale presidente Berdymuchamedov è stato sempre considerato come una figura transitoria. Alle sue spalle ci sono ben altre forze che rappresentano le strutture reali del potere dal punto di vista economico-militare.

Ecco perchè gli occhi di molti paesi - Russia in primo luogo seguita dagli Usa, Turchia, Cina ed India - sono concentrati su Askabad in vista di influire sulle scelte future. Mosca, tra l’altro, conta anche di ottenere precise risposte sulla difesa delle frontiere e sulla presenza dei suoi militari. Quanto alla politica estera la Turkmenia si è sempre distinta difendendo la propria specificità sullo scacchiere politico dell’Asia centrale e rivelandosi profondamente critica nei confronti dei progetti d’integrazione regionale (economica e monetaria) avanzati nell’ambito della CSI. Preferendo, di conseguenza, di muoversi autonomamente nella ricerca e nella promozione di investimenti occidentali. Ed anche il nuovo Presidente - nonostante le assicurazioni fornite sia a Putin che a Medvedev - cerca via alternative al trasporto dei suoi idrocarburi, evitando il transito attraverso il territorio russo.

Oltre a questo c’è il fatto che il paese (erede delle grandi civiltà dell'Emirato di Bukhara e Samarcanda) è ancora praticamente disastrato. Dal momento del crollo dell’URSS ha fatto sempre registrare i peggiori indicatori sociali, precipitando in una grave crisi. Con anni di sommovimenti che hanno provocato morti, rifugiati e l'emigrazione di 300.000 uomini verso la Russia, in cerca di lavoro. E la conseguente transizione dal modello economico sovietico di scambi, improntati all'economia di mercato, ha contribuito a minare paurosamente il già fragile tessuto sociale.

Da questa catastrofe si salvano solo pochissimi esponenti della nuova nomenklatura del capitalismo selvaggio. Si tratta dei padroni delle coltivazioni di cotone che sono riusciti, grazie ad un sistema di privatizzazione strisciante, a conquistare posizioni di monopolio e ad accaparrarsi, nello stesso tempo, di alcune aziende. Notevoli anche le presenze degli oligarchi locali nei settori nell’estrazione del petrolio e del gas.

Ma la situazione economica generale è pur sempre tragica e Mosca, di conseguenza, guarda con estrema attenzione ai fatti di Askabad temendo rivolte che potrebbero mettere in pericolo gli equilibri asiatici proprio nel momento in cui è aperto il fronte del Caucaso. Medvedev si troverà così costretto a difendere l’attuale presidente turkmeno per non favorire quel “grande gioco” che gli americani vorrebbero sviluppare nell’Asia attuale per influenzare politiche e diplomazie, ma soprattutto per controllare oleodotti e gasdotti. Ancora una volta, di conseguenza, il Cremlino si dovrà confrontare con la realtà delle zone asiatiche ex sovietiche che ha sempre considerato come proprie sfere d’influenza, vedendo in ogni sommovimento locale una minaccia per l’equilibrio generale. Quello russo, per intenderci.


Tratto da:
La Turkmenia nel mirino dei Wahhabiti di Carlo Benedetti
su Altrenotizie
, Italia, 18 settembre 2008


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