venerdì 12 settembre 2008

Intervista al nuovo Presidente del Paraguay, Fernando Lugo

Il Paraguay è uno dei paesi più poveri dell’America Latina: il 20% della popolazione detiene il 60% delle ricchezze, mentre circa 400 mila famiglie di contadini non hanno terra da coltivare e più di due milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà. Il 37,4% della popolazione economicamente attiva ha problemi di lavoro; il 58% della popolazione rurale non ha documenti anagrafici; il tasso di mortalità infantile al di sotto dei 5 anni è del 2%, al di sotto di un anno del 19%.

Eppure è un paese dalle immense risorse. Nella zona della cosiddetta Triple Frontera tra Paraguay, Argentina e Brasile si trova uno dei più grandi bacini d’acqua dolce del mondo: l’Acquifero Guaranì. Un serbatoio di quasi 1,2 milioni di chilometri quadrati di cui 70 mila in Paraguay e che, secondo recenti studi, potrebbe dissetare per 200 anni 6 miliardi di persone. Nella stessa zona sono presenti due enormi dighe e le centrali idroelettriche di Itaipù e Yaciretá. La prima, la più grande al mondo, fornisce il 95% dell’energia paraguayana e il 24% di quella brasiliana. La seconda, sul fiume Paraná, genera il 15% dell’elettricità consumata in Argentina.

E poi la terra. Tanta, fertile, che basterebbe a sfamare i 6 milioni di paraguayani ma in mano, in maggioranza, alle multinazionali brasiliane ed argentine. Ed ecco il programma di Lugo: riforma agraria.

L’attuale struttura della proprietà delle terra affonda le sue radici nelle conseguenze della Guerra della Tripla Alleanza del 1871, quando il conflitto contro il Brasile, l'Argentina e l'Uruguay portò alla sconfitta e allo sterminio del 92% della popolazione maschile paraguayana, compresi i bambini, che presero parte alla guerra nell’estremo tentativo di salvare la loro società. La popolazione passò da 525.000 persone a circa 221.000, delle quali solo 28.000 erano maschi.

Per pagare il pesantissimo debito con i vincitori i successivi governi cominciarono a vendere le terre demaniali che all’inizio della guerra costituivano l’80% del territorio e delle quali, 30 anni dopo, rimaneva solo la metà. Si calcola infatti che tra il 1870 e il 1914 lo Stato privatizzò 26 milioni di ettari di territorio alienandoli a favore di società a capitale straniero (in maggioranza brasiliane ed argentine) e a latifondisti locali. Ancora oggi ci sono possedimenti di 80mila ettari e, addirittura, famiglie che ignorano quanta terra possiedono.

Dall’altra parte milioni di contadini lottano quotidianamente per la sopravvivenza in piccoli appezzamenti nei quali continuano a coltivare allo stesso modo dei loro avi guaranì cotone, manioca, mais, zucca. Chi è riuscito ad accumulare un piccolo capitale possiede una o due mucche e qualche gallina. In questo consiste la base alimentare dei contadini. In questo contesto, già di per sé molto precario, si è aggiunta,negli ultimi anni, una pressione crescente per la proprietà della terra da parte di imprese e multinazionali – soprattutto brasiliane - il cui principale interesse è radicato nell’ampliamento della cosiddetta “frontiera della soia”, un tipo di coltivazione che aumenta del 10% all’anno.

Attualmente quasi due milioni di ettari, più della metà del totale della terra coltivata in Paraguay, sono coltivati a soia transgenica di cui il paese è quarto esportatore mondiale con 4 milioni di tonnellate all’anno. Le imprese stanno comprando in maniera massiccia i piccoli appezzamenti ai contadini al prezzo di 500 dollari l’ettaro. La cifra rappresenta una fortuna per i piccoli proprietari e meno di nulla per i compratori che inondano gli orti, i boschi, le piccole abitazioni di erbicidi e passano direttamente alla semina.

Un affare perfetto per le corporazioni transnazionali. I luoghi in cui la cultura ancestrale dei guaranì trovava ancora le sue radici hanno subito un processo di monocoltivazione della soia (sojización in spagnolo).

La riforma agraria si potrà realizzare solo quando il paese ricomincerà a respirare dal punto di vista economico e quindi a prima preoccupazione di Lugo dovrà essere quella di rinegoziare i trattati di vendita di energia elettrica con Brasile e Argentina.

Il Paraguay infatti esporta, in forza dei trattati firmati dal dittatore Stroessner nel 1973, con durata fino al 2023, a un prezzo ridicolo in Brasile e in Argentina. Il Paese che non consuma tutta l’energia prodotta al suo interno, è obbligato a venderla al suo partner al prezzo di costo. Se la potesse mettere sul mercato, secondo calcoli fatti da Ricardo Canese, esperto paraguayano di risorse energetiche, il Paraguay incasserebbe 3,6 miliardi di dollari all'anno contro gli attuali 102 milioni: una ricchezza da destinare alle politiche sociali, sanitarie ed educative sul modello venezuelano.

Ma le buone intenzioni si scontreranno inevitabilmente con l’eterogeneità e la fragilità del blocco sociale che ha eletto Lugo. La governabilità del paese si costruirà su vari fattori: la maggioranza in Parlamento, l’unità del gruppo di governo e, soprattutto, la funzione delle strutture amministrative, di la cui burocrazia è ancora saldamente nelle mani del partito Colorado.

L'intervista a Fernando Lugo

La sua vittoria inaugura un nuovo modo di far politica in Paraguay
Vi è stata una rottura con 60 anni di governo del Partito Colorado. Una politica basata sul nepotismo, la prebenda, il clientelismo. Ora si è imposto un cambiamento, non solo di persona, non solo di partito nel senso dell'alternanza, ma un cambiamento strutturale, un cambiamento di modello di convivenza, un cambiamento di modello sociale, di modello di Stato, un cambiamento nella maniera di far politica.

Che posto avrà la metodologia partecipativa Ñomongeta Guasu (in lingua guaraní "la grande conversazione con il popolo") che l'ha aiutata a vincere le elezioni?
Dobbiamo continuare a mantenere aperti tutti i canali di comunicazione con i cittadini. Le organizzazioni sociali, contadine, civili, tutte avranno la possibilità reale di accesso e comunicazione diretta con le istituzioni che, finalmente, saranno al servizio di tutti e non al servizio di un solo partito. Dobbiamo governare per tutta la nazione senza esclusioni.

Ma le istituzioni mantengono il loro normale funzionamento
Naturalmente. La democrazia è partecipativa e rimarrà partecipativa. Apriremo canali che favoriscano questa partecipazione nella pratica, e che sia effettiva.

Quali saranno le sue priorità?
Quella che ci hanno segnalato i cittadini. Creeremo un piano simile a quello Fame Zero che c'è in Brasile. Per Agosto dovremo garantire alimenti per gli indigeni nel paese. Che non continuino a morire di fame, che non continuino a morire per mancanza di assistenza medica. Nel campo della slute abbiamo un piano generale. Speriamo che in cinque anni nessun Paraguaiano si senta escluso dalla sanità pubblica.

Difende i diritti sociali, l'alimentazione e la salute della popolazione indigena, ma che mi dice riguardo ai loro diritti politici?
Difendiamo l'autodeterminazione dei popoli guaranì. Oggi non sono neanche cittadini paraguaiani, dato che per esserlo occorre figuarare nei registri dello stato civile, e la maggior parte di loro non figurano. I popoli indigeni avranno tutta la libertà di organizzazione. Il movimento politico indigeno in Paraguay non può fermarsi, deve andare avanti. Loro sono le radici della nostra nazione.

Durante la campagna elettorale lei ha proposto la rinegoziazione degli accordi di sfruttamento delle dighe si Yacyreta (con l'Argentina) e Itapú, che copre il 25% del consumo elettrico del Brasile.
Il Paraguay è un paese energetico, non solo agrario. Siamo persuasi che un giusto prezzo dell'energia è in grado di invertire la situazione economica del paese.

Qual è il suo modello di gestione ambientale?
La legge stessa chiarisce che le risorse naturali appartengono al governo paraguaiano. Possono essere sfruttate in vari modi. Può essere una gestione statale o mista, o anche su concessione, anche se sempre a tempo determinato. In ogni caso le risorse appartengo allo stato. Non possiamo rinunciare al loro sfruttamento, anche nel caso si renda necessario ricorrere a capitali privati per farlo in maniera efficiente. Non vogliamo i monopoli, e non crediamo nella privatizzazione o statalizzazione completa.

La riforma agraria fu uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale
La riforma agraria è una rivendicazione del mondo contadino, dove ci sono più di 300.000 famiglie senza terra. Il primo passo sarà un catasto nazionale delle proprietà, e poi introdurremo un modello di riforma agraria che non sarà traumatico o violento, ma solo razionale, equilbrato, basato su principi di cui l'intera società ha bisogno. Sappiamo che non sarà facile, ma non è impossibile.

Ha anche suggerito la possibilità di una riforma costituzionale per riformare il potere giudiziario
Sì, la nostra agenda di lavoro per il 2009 prevede una riforma del potere giudiziario e la riforma costituzionale. Sono i due assi che determineranno la credibilità dello stato e del governo paraguaiano. E non possiamo rimandare troppo.

Denunciano che durante il governo del suo predecessore furono assassinati 35 attivisti contadini, e che più di 3000 sono in galera. Pensa di sottoporre a revisione questi processi e mettere fine all'impunità politica?
Sì. Revisioneremo soprattutto quei processi che hanno portato sul terreno giudiziario le lotte sociali, e hanno condotto in carcere contadini ed operai. Dovranno essere rivisti perché operarono in una logica di sostegno ai precedenti governi, intimidendo i movimenti sociali ed impedendo le giuste rivendicazioni sul debito sociale.

Qual è la sua opinione sul processo di integrazione latinoamericano?
Siamo tutti convinti che nessuno può progredire in maniera isolata. La nostra priorità è integrarci nel sistema del Mercosur e, parallelamente, lavorare ad altri processi comuni. Il sogno della patria grande, il sogno del continente senza frontiere, il sogno di un continente più libero e sovrano, sta nella mente di molti governi progressisti latinoamericani.

Durante la campagna elettorale vi sono state accuse di infiltrazioni chaviste
Ci sono state troppe voci assurde. Hanno detto che eravamo delle FARC, legati a sequestri, finanziati da Caracas e Quito.

Quali saranno i suoi rapporti con i paesi latinoamericani?
Noi vogliamo avere relazioni fraterne con tutte le nazioni. Il Paraguay avrà una chiara politica di difesa della sovranità, di difesa dell'indipendenza del paese. Lo stesso spirito che ci ispirò 200 anni fa per renderci indipendenti dalla corona spagnola, ora è diretto contro ogni forma di imperialismo, contro ogni intromissione negli affati interni di ogni paese. Il principio di autodeterminazione dei popoli orienta oggi la nostra politica nazionale ed internazionale.


Tratto da:
Tra realismo magico e integrazione regionale di Nadia Angelucci
su
Cassandra - Mondo, Italia, luglio 2008
Fernando Lugo: "La prioridad es que los indígenas no sigan muriendo de hambre" di José David Carracedo
su
Diario Público, Spagna, 4 aprile 2008
tradotto da Gianluca Bifolchi per Acthung Banditen


Nessun commento: