giovedì 25 settembre 2008

Verso una nuova guerra fredda?

Le relazioni tra Bolivia e Venezuela da una parte e gli Stati Uniti dall’altra sono ai minimi storici. Dopo che i due paesi latinoamericani hanno dichiarato gli ambasciatori Usa a La Paz e Caracas persona non grata, Washington ha risposto adottando identica misura. Ciò che risulta evidente da questa crisi è che gli Stati Uniti stanno perdendo terreno in America Latina , sia dal punto di vista diplomatico sia dell’esercizio di un’autorità morale in discussione come forse raramente in passato. Sia la Bolivia che il Venezuela si dicono pronti a riempire eventuali vuoti lasciati da Washington facendo ricorso alla Russia. Considerando anche i recenti eventi nel Caucaso, crescono i timori per una nuova guerra fredda che investa anche l’America Latina.

Come si spiega la crisi diplomatica nelle Americhe
L’episodio delle espulsioni di personale diplomatico tra Bolivia e Stati Uniti va inquadrato nel difficile processo di riforma costituzionale in atto in Bolivia. Il presidente Morales ha di fatto forzato una riforma costituzionale che limita l’autonomia delle province orientali, le più ricche del paese e feudo dell’opposizione, e che impone un’imposta redistributiva sugli idrocarburi. L’opposizione chiede invece maggiore autonomia soprattutto nella gestione dei proventi delle risorse petrolifere e gasifere. Lo scontro tra le due fazioni ha prodotto una trentina di morti, saccheggi e devastazioni di edifici pubblici e scarsità di approvigionamenti alimentari ed energetici.

Morales ha accusato l’ambasciatore nordamericano Goldberg di utilizzare i fondi della cooperazione Usa per sostenere invece l’opposizione e ha proceduto all’espulsione del diplomatico. Viene però da chiedersi quale reale interesse possano avere gli Stati Uniti, sostenitori della stabilità innanzitutto, nella disgregazione del paese. Tanto più che Morales si è dimostrato piuttosto efficiente nella lotta al narcotraffico, priorità numero uno di Washington in America Latina.

Il Venezuela ha espulso l’ambasciatore statunitense per solidarietà con la Bolivia. Chavez ha poi annunciato la scoperta di prove di un tentato colpo di stato sostenuto dagli Stati Uniti contro di lui. Per quanto le motivazioni immediate possano essere plausibili, nel caso del Venezuela più ampi interessi politici e strategici sembrano prevalere. Chavez è alla ricerca di un nuovo equilibrio di potere in America Latina e, in nome della lotta allo sfruttamento capitalista, punta a ridurre il ruolo e l'influenza degli Usa nella regione. In più le difficoltà del regime a livello interno consigliano di ridirezionare l’attenzione pubblica verso un nemico esterno e farne il responsabile di tutti i mali. Sarà anche una coincidenza, ma i governi di Morales e Chavez, oltre a essere alleati ideologici, sono anche quelli che meno risultati possono vantare al momento sul fronte economico e sociale interno.

La “mini-crisi” sembra in fase stallo e una escalation non appare probabile. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Mc Cormack, ha sottolineato come i destini di Bolivia e Venezuela non siano nelle mani degli Stati Uniti, ma dei popoli di quei paesi. Inoltre, gli Stati Uniti hanno ben altre preoccupazioni sul fronte medio-orientale e quello caucasico. Un’amministrazione agli sgoccioli, come quella di George Bush, difficilmente si imbarcherà in azioni significative in America Latina se non provocata. Dal canto suo, Chavez ha chiarito che non sono previste ulteriori misure mentre Morales accoglierebbe volentieri un ambasciatore Usa di orientamento diverso. Resta da valutare questo episodio nel più ampio contesto delle relazioni continentali.

Conseguenze per le relazioni Stati Uniti-America Latina
Ciò che emerge è la perdita di influenza degli Stati Uniti nel resto del continente. L’espulsione di personale diplomatico è una scelta grave, ma Bolivia e Venezuela sembrano averla operata a cuor leggero, con Chavez che si è spinto fino all’insulto nei confronti degli statunitensi. Bolivia e Venezuela non sembrano preoccuparsi poi troppo di perdere il favore, già precario, e gli aiuti di Washington. Fino ad un passato molto recente, qualsiasi crisi latinoamericana avrebbe visto Washington in prima fila al tavolo dei mediatori. Non è più così.

L’America Latina sembra finalmente decisa ad affrontare da sé i suoi problemi. La crisi andina del marzo 2008 è stata risolta con la “fattiva astensione” degli Stati Uniti per i giustificati timori che eventuali buoni uffici venissero invece recepiti come ingerenze indebite. Nell’attuale caso boliviano, i paesi latinoamericani hanno preferito fare da sé con la convocazione di un vertice straordinario della neonata Unione dei paesi sudamericani (Unasur). Benché un’offerta di mediazione diretta brasiliana fosse stata rifiutata, la mozione di Unasur è di chiara matrice brasiliana, ulteriore riconoscimento all’emergere del Brasile come potenza non solo regionale.

Anche l’Organizzazione degli Stati americani, un tempo il braccio multilaterale del Dipartimento di Stato nel continente sembra affrancarsi dal predominio statunitense e in ogni caso appare meno incisiva che in passato come dimostra il ruolo marginale avuto nel negoziato tra governo e opposizione in Bolivia. Gli Stati Uniti si trovano quindi a fronteggiare non solo l’avanzata commerciale e finanziaria dell’Unione Europea e della Cina in America Latina, ma anche l’embrionale creazione di un vero e proprio polo latinoamericano intorno al Brasile.

Verso una nuova guerra fredda?
Un’ulteriore variabile sembra affacciarsi sullo schacchiere continentale. Di fronte alla prospettiva di perdere svariati milioni di dollari l’anno in aiuti, traffici commerciali e forniture petrolifere in caso di irrigidimento delle relazioni con gli Stati Uniti, La Paz e Caracas hanno fatto spallucce suggerendo che eventuali vuoti lasciati da Washington potrebbero venire colmati dalla Russia. Morales ha fatto intendere che tagli Usa dei fondi contro il narcotraffico potrebbero essero compensati da Mosca. Venezuela e Russia hanno annunciato una prossima esercitazione militare congiunta nel Mar dei Caraibi, mentre alcuni caccia russi sono già stazionati in territorio venezuelano.

Secondo gli analisti russi questa potrebbe essere la risposta del Cremlino all’accerchiamento della Nato e ai progetti Usa in Polonia e Repubblica Ceca nell’ambito dello scudo spaziale. In considerazione degli avvenimenti in Georgia, crescono le ansie per una possibile nuova guerra fredda anche in America Latina. Più verosimilmente, si prospetta un ritorno al concerto delle grandi potenze e Stati Uniti e Russia potrebbero intendersi su due fronti comuni per appianare altre divergenze considerate minori: la lotta al terrorismo islamico, un pericolo anche per Mosca nelle repubbliche asiatiche, e l’ascesa cinese, temibile tanto per Washington che per Mosca.

Due riflessioni finali. Primo, gli Stati Uniti dovranno gioco forza rivedere la propria politica latinoamericana, pena un declino tanto politico quanto economico e soprattutto morale nelle Americhe. Obama e McCain sembrano già avere in cantiere profondi cambiamenti in materia. Secondo, e contrariamente a quanto molte frange intellettuali sembrano auspicare, siamo sicuri che un mondo in cui gli Stati Uniti venissero superati come prima potenza globale da una qualsiasi altra entità statale o multilaterale, sarebbe un mondo più sicuro, più prospero, giusto e armonioso?

Gian Luca Gardini è docente di Relazioni Internazionali e Politica dei Paesi Latinoamericani, e vice-Direttore dello European Research Institute, University of Bath, Regno Unito.


Tratto da:
Verso una nuova guerra fredda? di Gian Luca Gardini
su AffarInternazionali, Italia, 24 settembre 2008