domenica 5 ottobre 2008

Al suono delle trombe cade il muro di Bagdad

Un uomo soffia dentro una tromba arrugginita in mezzo a via Qulafah, mentre la gru aggancia il primo blocco di cemento. Intorno la folla: uomini che guardano con le mani dietro la schiena, donne un po' spaesate, bambini incuriositi e pentoloni di riso e verdure che bollono nei retrobottega ai lati della strada. Così è cominciata la festa di Fadil, anonimo quartiere nel centro di Bagdad.

Sono i giorni dell'Eid, la fine del Ramadan. Ma questa è una festa nella festa, un avvenimento mai visto in Iraq dopo la caduta di Saddam. Allora, aprile 2003, cadevano le statue del Raìs. Adesso sta cadendo un muro. Uno dei tanti, il primo. Gli addetti del comune smantellano la barriera di protezione che per un paio d'anni ha diviso la zona sunnita da quella sciita denominata Abu Saifain. Una delle numerose «linee del fronte» in cui la guerra civile irachena ha spezzettato Bagdad. Una trincea spesso «aggirata» dai colpi di mortaio e di rpg, dai cecchini appostati sui tetti. Un cimitero urbano dove hanno perso la vita centinaia di civili.

Suona una tromba nel tiepido autunno iracheno (20 gradi, il periodo migliore dell'anno) e il piccolo muro di Fadil viene giù. Solo poche decine di metri di cemento. «Ma non mi ricordo una cosa simile — dice al Corriere Abu Haider, 37 anni — E' la prima volta, un buon segno». Le telecamere della tv Al Hurra, finanziata dagli americani, riprendono: ecco il capo delle milizie sunnite, Khaled al-Qaisi, che dà la mano allo sceicco sciita Faris Abdel Hassan. «Siamo un'unica famiglia», dice il primo. «Siamo tutti iracheni» gli fa eco l'altro. La gente canta, si preparano i piatti di riso e carne. Uomini armati vegliano sulla festa (rischio kamikaze di Al Qaeda), kalashnikov abbassati verso terra. Sarà pure una «photo-opportunity», quella gru che rimuove i blocchi di cemento fatti in Kurdistan, sarà la volontà del governo di mostrare che è cominciato il lento ritorno verso la convivenza pacifica tra comunità ed etnie diverse. Certo Al Qaeda non ha cessato le sue azioni assassine. A settembre sono morti circa 350 iracheni (una cifra comunque enorme), contro gli oltre 700 di un anno fa. Le tensioni settarie potrebbero riaccendersi.

Proprio in questi giorni nella capitale le milizie del Risveglio sunnita, quei centomila guerriglieri che hanno rinunciato alla violenza, sono passati a libro paga del governo (a maggioranza sciita) dopo essere stati per un anno «alle dipendenze» dei comandi USA (300 dollari mensili cadauno). C'è diffidenza, perché i capi della Sahwa («risveglio» in arabo) temono di essere imprigionati e il governo non vuole assorbire il grosso degli ex nemici nelle forze di sicurezza. Eppure chi ha conosciuto il labirinto di muraglie e check-point che ha ridisegnato la mappa di Bagdad negli anni passati non può fare a meno di sorridere davanti a quella tromba e a quel muro che cade. Non esiste «il» muro di Bagdad come esisteva il muro di Berlino, o quello di Cipro. A Bagdad i muri sono l'arredo urbano — si fa per dire — più diffuso, le uniche costruzioni su cui si sia investito a pioggia: muri tra i quartieri sciiti e sunniti, muri a proteggere le strade-corridoio, muri intorno a moschee, alberghi, ospedali, ville-fortino, muri sul lungo fiume, quelli che separano una carreggiata dall'altra per «contenere» le auto kamikaze.

Le chiamano «linee di pace». Agli inizi del 2007 una squadra di marines andò a Belfast per studiare la lezione irlandese dei separè tra cattolici e protestanti. Le autorità dell'Ulster caldeggiarono il loro utilizzò in Iraq: «Servono a ridurre la violenza — disse il vice capo della polizia —. Anche se poi c'è il rischio che restino per anni». Qualcosa è cambiato. Il surge americano, il risveglio sunnita, il ridimensionamento del signore della guerra sciita Moqtada Al-Sadr. Il piccolo muro di Fadil è caduto, per primo, quasi in sordina. Cadessero altri, più strategici, farebbero più rumore: la muraglia di Adhamiya, roccaforte sunnita in riva al Tigri (dove ieri è stato ucciso il capo bombarolo di Al Qaeda). O quella nuova di zecca che divide (e indebolisce) Sadr City, regno delle milizie sciite di Moqtada. Ci vorranno anni prima di vedere le gru da quelle parti. Ma tra gli iracheni che a migliaia nei giorni dell'Eid hanno affollato il parco di Al Zawra, la più popolare e sicura delle mete festive di Bagdad, lo squillo di Fadil non è passato inascoltato. Abu Haider tre giorni fa ha aperto un nuovo caffè in città. Nome? Luxury, all'americana. «Il lusso più grande, per noi, è camminare per strada senza paura. Forse ora ce lo possiamo permettere». (ha collaborato da Bagdad Walid al Iraqi)


Tratto da:
Al suono delle trombe cade il muro di Bagdad di Michele Farina
su Corriere della Sera.it, Italia, 5 ottobre 2008


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