mercoledì 22 ottobre 2008

Dalla frontiera tra Kenya e Somalia

In fuga dai combattimenti, i rifugiati somali si accalcano alla frontiera con il Kenya.
La ragione, l' impotenza o il cuore, non si sa ciò che l'ha causato, ma il fatto è là: la frontiera con la Somalia rimane ufficialmente chiusa, ma le autorità Keniote, sommerse, ora chiudono gli occhi, e lasciano che i Somali disperati si infilino nella boscaglia per rifugiarsi sul loro territorio. Per tutti coloro che fuggono il loro paese sprovvisto di governo centrale dal 1991, non c’è alcuna necessità di giustificazioni.


In Somalia, i combattimenti continuano tra i gruppi insorti di tendenza djihadista ed i loro nemici del governo federale di transizione (TFG), una struttura tronca sostenuta dall'Etiopia ed il suo contingente dispiegato nel paese.
L'Amisom una forza di mantenimento della pace dell'Unione africana, è anch’essa oggetto di violenti attacchi.
Lontano dagli occhi, lontano dalla crisi finanziaria, la Somalia è oggi alla soglia d' una catastrofe di grande portata.
"è una tragedia dimenticata", ha dichiarato Rama Yade, segretario di Stato agli affari esteri incaricato dei diritti dell'uomo, in visita, giovedì 16 ottobre a Dadaab, all’estremo est del Kenia, riconoscendo i Somali che arrivano senza sosta.
Alcuni arrivano fino da Mogadiscio, a molte centinaia di chilometri, dove i combattimenti uccidono i civili a caso. Dall'inizio dell'insurrezione, nel 2007, circa 700.000 persone sono fuggiti dalla città. Circa la metà di loro si sono accampati intorno alla capitale, mentre gli insorti più radicali hanno lanciato un movimento per cacciare le organizzazioni umanitarie internazionali dalla Somalia.
Quante persone si aggirano ogni giorno, ogni notte, nei dintorni di Dadaab? Almeno 200. Arrivano, estenuati, come Nasra Abdi Farah, che è fuggito dalla zona di Tawfiq, a Mogadiscio, bombardata e devastata da diciotto mesi. Sua figlia, d'una magrezza estrema, riprende le forze bevendo del latte arricchito. " Io non ho un posto dove dormire. E ce ne sono tanti come me", spiega tristemente.
All'esterno dei tre campi che compongono Dadaab, aperto dal 1991, delle orde di infelici si ammucchiano in capanne sommarie.
L'alto commissariato dei rifugiati (HCR), che è stato aperto a Dadaab nel 1991, ed ha visto delle generazioni intere di Somali nascere e crescere, lavora per l'apertura urgente di un nuovo campo in mezzo alla pianura ingrata dove prosperano soltanto le piante spinose e la polvere. "Occorrerebbe aprirne due. Ma non si sa se ci saranno i fondi", spiega Ephraïm Tan, incaricato dei censimenti, che nota che la popolazione di Dadaab è aumentata del 25% nel corso degli ultimi otto mesi.
Sollecitazione di aiuto
Comunque questi arrivi non rappresentano che una parte modesta del dramma vissuto dai Somali all' interno del loro paese. Il numero di persone dipendente dall' aiuto umanitario internazionale è aumentato del 77% da gennaio, secondo l' ONU, per arrivare ormai ad un totale impressionante: 3,2 milioni di Somali, la metà della popolazione del paese. Ma, sul posto, gli umanitari sono diventati degli obiettivi militari. Un gruppo di 52 organizzazioni umanitarie ha lanciato, il 6 ottobre, una richiesta di aiuto, ricordando che, dall'inizio dell' anno, 24 persone che lavorano per le ONG, somali per la maggior parte, sono state assassinate. Due settimane più tardi, occorre aggiungere due nuove vittime all'elenco, mentre la siccità regionale e l' inflazione galoppante sta per causare una catastrofe ancora più grande.
L’unica speranza è rappresentata dall'iniziativa di pace portata avanti da Ahmedou Ould Abdallah. Il rappresentante speciale del segretario generale dell'ONU ha già ottenuto da una parte dei belligeranti la firma di un accordo che prevede uno spiegamento di unità congiunte TFG-insorti. A Nairobi, la signora Yade ha tenuto a garantire che la Francia sosteneva l' iniziativa di Ahmedou Ould Abdallah, il quale, dice lucidamente, è condannato a fare miracoli.


Tratto da:
Fuyant les combats, les réfugiés somaliens affluent au Kenya di Jean-Philippe Rémy
su
Le Monde, Francia, 20 ottobre 2008
tradotto da Mario Squarotti


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