Nel delta del Niger continua il conflitto tra i guerriglieri del MEND e l'esercito governativo, sponsor delle diverse multinazionali petrolifere che operano in Nigeria indagate dalla giustizia internazionale per tangenti e responsabilità nella violazione dei diritti umani.
All’ottavo posto nella classifica mondiale per produzione di petrolio, con un PIL tra i più elevati del continente, la Nigeria è in realtà povera: il PIL pro capite dei suoi quasi 140 milioni di abitanti è di 1.128 dollari, e il paese occupa il trentesimo posto per indice di povertà dell’UNDP (United Nations Development Programme).
La distribuzione della ricchezza generata dalle risorse minerarie é dunque fortemente diseguale. Nella regione del delta del Niger, dove si concentrano gli impianti per l’estrazione del petrolio con afflussi enormi di denaro estero, questa disparità economica è all’origine di un conflitto decennale tra esercito nazionale e Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger (MEND).
Con sabotaggi degli impianti di estrazione e sequestri dei lavoratori stranieri, i guerriglieri del MEND chiedono una redistribuzione delle royalties pagate dalle compagnie estere al governo e lottano contro la devastazione ambientale della regione. L’esercito protegge con difficoltà le compagnie estere, reprimendo i ribelli e terrorizzano la popolazione civile, accusata di sostenere il MEND, di cui il 29 settembre sono stati arrestati duecento membri.
Intanto dal 2006 questa “guerra del petrolio” ha causato una forte riduzione del greggio, passato da 2,6 a 1,5 milioni di barili estratti. Appare evidente l’incapacità delle istituzioni e del presidente Umaru Yar’Adua di controllare la regione, che le multinazionali considerano ormai a forte rischio rapimento per i loro lavoratori. Di conseguenza molte attività di esplorazione petrolifera sono state sospese e gli investitori si rivolgono a nuovi paesi (come l’Angola) mentre il crollo della produzione nigeriana contribuisce all’aumento del prezzo del greggio.
Al centro di tutte queste dinamiche, i legami di corruzione tra ambienti politico-militari e le compagnie estere che operano nel paese, complici delle violazioni dei diritti umani operate dalle milizie governative, che arrivano ad uccidere i civili pur di proteggere gli impianti estrattivi dai sabotaggi.
Sembra però che la giustizia internazionale inizi a chiedere conto alle società multinazionali e ai suoi responsabili per queste pratiche illegali. In particolare un processo contro la Shell si aprirà negli Stati Uniti il 9 febbraio 2009, coinvolta nell’uccisione di nove attivisti ambientalisti del Movimento per l’emancipazione del popolo Ogoni, avvenuta nel 1995.
Un’altra inchiesta riguarda quattro multinazionali che tra il 1994 e il 2004 avrebbero versato 182 milioni di dollari a funzionari pubblici e burocrati nigeriani, per garantirsi la costruzione di una serie di impianti per l’estrazione e il trasporto di gas liquefatto. Anche il gruppo Eni, attraverso la Snamprogetti, è coinvolto nelle indagini, che toccano addirittura il vicepresidente statunitense Dick Cheney, all’epoca manager del colosso petrolifero Halliburton.
Tratto da:
Nigeria: corruzione e guerra del petrolio di Benedetta Pagotto
su Nigrizia, 13 ottobre 2008
martedì 14 ottobre 2008
Nigeria: corruzione e guerra del petrolio.
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Nigeria (Delta del Niger)
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